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Tubi senza petrolio: il problema energetico del Sudan

Hotspot – Il Sudan è sempre stato un produttore ed esportatore di petrolio, ma la secessione del Sud Sudan lo ha reso “povero”. Le prospettive future rischiano di essere anche peggiori

DA RICCO A “POVERO” (DI RISORSE)

Le recenti proteste in Sudan hanno riproposto la necessità di analizzare l’intera situazione del Paese, inclusa quella energetica che, nel caso specifico, presenta il curioso (e raro) caso di un Paese che passa dall’essere estremamente ricco di risorse ad esserne in gran parte privo. Il Sudan è infatti sempre stato un paese dotato di una ricca produzione petrolifera, in gran parte votata all’esportazione (362.000 barili/giorno nel 2010 tra greggio, condensati e prodotti petrolchimici provenienti dalle sue raffinerie), ma tutto questo è cambiato con la secessione del Sud Sudan nel 2011, che ha tolto al Sudan circa il 75% della produzione petrolifera e circa il 65% di quella totale: dai 465.000 barili/giorno del 2010 ai 176.000 barili/giorno del 2017. Se a questo si somma la crescita nel consumo interno (arrivato a 130,000 barili/giorno nel 2017, in costante crescita dal 2010), non è una sorpresa che il Sudan abbia dovuto iniziare a importare petrolio e prodotti petroliferi (22.000 barili/giorno nel 2017) e abbia davanti a sé una prospettiva di crescente scarsità.

LA QUESTIONE PIPELINE

La relazione energetica tra Sudan e Sud Sudan è comunque stretta: se da un lato gran parte delle riserve e attività estrattive sono infatti al sud, il modo più semplice per esportare il greggio rimane usare le vecchie pipeline che transitano attraverso il nord, in direzione della capitale sudanese Khartoum e fino a Port Sudan sulla costa del Mar Rosso. Anche le principali raffinerie rimangono in territorio sudanese e questo ha portato i due Paesi a trovare accordi che implicavano royalties consistenti per il Sudan. Il sistema non ha però retto la guerra civile che da fine 2013 ha coinvolto proprio il Sud Sudan e che ha visto la produzione sud sudanese crollare progressivamente e, con essa, anche le royalties del vicino settentrionale. Le esportazioni sudanesi, circa 362.000 barili/giorno nel 2010 come prima citato, sono infatti crollate fino ai 19.000 barili/giorno del 2017.

Fonte della mappa: The Economist

PROSPETTIVE POCO ROSEE

La forte riduzione di rendite, export e royalties tra 2011 e 2017 (i dati finali 2018 verranno pubblicati quest’anno, come tradizione, ma non ci sono variazioni al trend) è stata una delle cause degli enormi problemi finanziari del Paese in questi anni e pertanto hanno contribuito a creare le situazioni di tensione che ciclicamente esplodono nel Paese e che vediamo ancora oggi riducendo le opzioni economiche in mano al governo. Da un lato è fondamentale per il Sudan che il vicino meridionale torni stabile e, con esso, torni stabile la produzione di petrolio: la tregua e la prevista formazione di un governo di transizione a maggio 2019 potrebbero fornire indicazioni positive in tal senso. Dall’altro però esiste un rischio addizionale: il Sud Sudan è interessato (fin dal 2013!) a cercare strade alternative per esportare il petrolio che non vadano a nord. In particolare l’idea principale appare essere la creazione di pipeline che portino il greggio verso sudest, fino al porto Kenyota di Lamu. Il progetto originario avrebbe avuto il beneficio di potersi unire ad analoghi progetti da Uganda ed Etiopia, aumentando dunque la cooperazione regionale e riducendo le spese, ma l’Uganda si è tirata indietro, mentre il Kenya sta per ora andando avanti da sola con la sua sezione per rispondere alle proprie esigenze. Il Sud Sudan è al momento incapace di inserirsi nel progetto causa instabilità, ma la prospettiva di una simile soluzione che la taglierebbe fuori non fa dormire sonni tranquilli a Khartoum, che osserva l’evolvere della situazione con preoccupazione.

Nota: i dati energetici sono presi dall’Eni Oil Review 2018.

Lorenzo Nannetti

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Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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