In 3 Sorsi – Il Niger espelle tre dirigenti cinesi del settore petrolifero e accusa Pechino di sfruttamento economico. Dietro la decisione, la volontĂ della giunta militare di rinegoziare i rapporti energetici e riaffermare la sovranitĂ nazionale.
1. ESPULSIONE DI FUNZIONARI E OPERAI CINESI: MISURE E MOTIVAZIONI UFFICIALI
Nel mese di marzo il Governo militare del Niger, presieduto da Abdourahamane Tchiani, ha espulso tre funzionari di alcune delle principali compagnie petrolifere cinesi operanti nel Paese, CNPC, WAPCO e SORAZ. L’accusa alle multinazionali è di non aver rispettato diversi punti dell’accordo siglato il Niger. Al centro del contenzioso c’è un persistente squilibrio tra i salari dei lavoratori nigerini e quelli del personale cinese, con differenze considerate sproporzionate e discriminatorie. Le AutoritĂ di Niamey hanno inoltre denunciato il mancato rispetto delle clausole contrattuali che impongono la progressiva sostituzione del personale straniero con lavoratori locali formati sul campo, in linea con la strategia nazionale di valorizzazione delle competenze interne. Un altro punto critico riguarda la scarsa trasparenza nella gestione dei contratti e l’assenza di trasferimento tecnologico, che ha alimentato la percezione di uno sfruttamento unilaterale delle risorse nazionali. Di fronte a tali inadempienze, il Governo ha ordinato l’espulsione dei manager coinvolti e ha chiesto una riduzione immediata del personale cinese presente da oltre quattro anni nei progetti petroliferi, segnando un passo deciso verso la riaffermazione della propria sovranitĂ economica.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Abdourahamane Tchiani, Presidente del Governo militare, in carica dal golpe del 2023
2. LA SVOLTA SOVRANISTA DEL NIGER
Le tensioni con le compagnie cinesi non sono un episodio isolato, ma rappresentano un tassello di una piĂą ampia ristrutturazione della politica economica e internazionale del Niger. Dopo il colpo di Stato militare del luglio 2023 e la conseguente sospensione degli aiuti internazionali e dei rapporti con partner occidentali come Francia, Stati Uniti e Unione Europea, la giunta al potere ha adottato una linea apertamente sovranista. In un contesto di isolamento regionale e internazionale, le AutoritĂ nigerine hanno fatto della difesa della sovranitĂ sulle risorse strategiche (in particolare uranio, oro e petrolio) una delle prioritĂ della propria agenda. Il settore petrolifero, dominato da investimenti e infrastrutture cinesi, è apparso sempre piĂą come una leva di controllo esterno piuttosto che uno strumento di sviluppo nazionale. In particolare, il progetto della Niger–Benin Oil Pipeline (NBOP), realizzato dalla China National Petroleum Corporation (CNPC) per trasportare il greggio nigerino fino a una piattaforma offshore davanti a Sèmè-Kpodji, a ovest di Cotonou, è stato criticato per le sue clausole contrattuali sbilanciate, la mancata trasparenza sui ricavi e l’esclusione sistematica di tecnici e imprese locali. A ciò si sono aggiunti mesi di tensioni con i lavoratori nigerini, che lamentano condizioni salariali inique e l’assenza di reali opportunitĂ di crescita professionale. Il Governo militare, basandosi su una retorica nazionalista e anti-coloniale, ha così deciso di imporre una rinegoziazione forzata delle concessioni e ridefinire i rapporti con la Cina, accusata, seppur implicitamente, di perpetuare pratiche estrattive a scapito della popolazione locale.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Vista del porto di Cotonou, terminal piĂą importante del Benin
3. SCENARI FUTURI: INVESTIMENTI, RINEGOZIAZIONI E AUTONOMIA ENERGETICA
Le tensioni tra il Governo del Niger e le compagnie petrolifere cinesi aprono una fase di incertezza tanto sul piano economico quanto su quello geopolitico. Da un lato Niamey punta a una rinegoziazione dei contratti che favorisca una maggiore partecipazione nazionale nella gestione delle risorse energetiche, con un rafforzamento dell’aspetto locale e un sistema di controllo più rigoroso sulle attività delle imprese straniere. Dall’altro lato questa linea espone il Paese a possibili ritorsioni economiche, come il rallentamento o la sospensione dei progetti già in corso, per esempio il corridoio petrolifero Niger-Benin, che rappresenta il principale sbocco all’export di greggio. Nel breve periodo, la pressione sulla Cina potrebbe rivelarsi una mossa rischiosa, vista la dipendenza del Niger dagli investimenti di Pechino e la mancanza di alternative finanziarie solide, in un contesto regionale segnato da instabilità e tensioni diplomatiche. Tuttavia la giunta militare sembra disposta a sostenere i costi di questa parziale rottura, presentandola come un passo necessario verso l’autonomia energetica e la giustizia sociale. In prospettiva, l’esito di questa crisi potrebbe fungere da precedente per altri Paesi africani desiderosi di rivedere i termini delle proprie relazioni economiche con la Cina, inaugurando una nuova fase di minore assertività africana nel settore delle risorse naturali.
Daniele Atzori
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