Caffè lungo – Nel silenzio ovattato della diplomazia vaticana, la relazione con Taiwan continua a raccontare una storia di fedeltà e prudenza. In un mondo segnato da tensioni geopolitiche e scelte strategiche, la Santa Sede si muove con discrezione tra Cina e Stati Uniti. Quale sarà il futuro di questo equilibrio fragile dopo Papa Francesco?
UN LEGAME STORICO SOTTO PRESSIONE
Il Vaticano è uno dei pochi Stati europei che ancora intrattengono relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, isola democratica che la Repubblica Popolare Cinese considera una propria provincia ribelle. Questo legame affonda le radici nel secondo dopoguerra e ha raggiunto un traguardo significativo con la celebrazione dell’80º anniversario nel 2022.
La presenza della nunziatura vaticana a Taipei, unico esempio di ambasciata papale in territorio sinofono non riconosciuto da Pechino, ha un peso simbolico rilevante. Essa testimonia non solo un’alleanza diplomatica consolidata, ma anche una vicinanza pastorale e culturale, che descrive i rapporti Vaticano-Taiwan come “un sodalizio diplomatico sui generis”.
In un contesto globale in cui molti Governi rivedono la propria posizione su Taiwan per non compromettere i rapporti economici e strategici con la Cina continentale, il Vaticano continua a distinguersi. Questa eccezionalità solleva interrogativi: quanto potrà durare questa linea? E quale valore strategico assume Taiwan per la Santa Sede?
L’accordo del 2018 tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi, rinnovato nel tempo, ha rappresentato una svolta importante nella diplomazia vaticana. Tale intesa, pur nella sua natura provvisoria e riservata, potrebbe definire il lascito di Papa Francesco. L’obiettivo era quello di ricomporre una frattura tra la Chiesa “ufficiale”, riconosciuta da Pechino, e quella “clandestina”, fedele a Roma. Tuttavia, il bilancio è controverso: secondo alcune fonti autorevoli, Francesco ha allungato la mano alla Cina, ma questa non l’ha mai veramente afferrata.
Nel frattempo, Taiwan ha espresso crescente preoccupazione per gli sviluppi di questo dialogo. Dopo la morte di Papa Francesco nell’aprile 2025, Taipei ha osservato con attenzione i segnali provenienti dalla Santa Sede, temendo un possibile avvicinamento definitivo a Pechino. Le condoglianze inviate al Vaticano hanno ribadito il rispetto e l’importanza dei rapporti, ma anche una certa ansia per il futuro.
Un gesto emblematico è stata l’assenza del Presidente taiwanese Lai Ching-te ai funerali del Pontefice, una possibile scelta diplomatica carica di significati. Non una rottura, ma una sospensione del protagonismo, forse per non interferire in un equilibrio già delicato.
Fig. 1 – Papa Francesco incontra una delegazione di monaci buddisti taiwanesi a Piazza San Pietro, maggio 2019
GESTI PASTORALI E DIPLOMAZIA SILENZIOSA
Durante il pontificato di Francesco, la Santa Sede non ha mai revocato formalmente le relazioni con Taiwan. Anzi, il Papa ha scelto di mantenere aperti i canali attraverso incontri ufficiali con rappresentanze religiose dell’isola. Due momenti in particolare sono significativi: il discorso al Consiglio Nazionale delle Chiese di Taiwan nel 2017 e, più recentemente, l’udienza concessa a una delegazione del Buddhismo Umanistico di Taiwan nel marzo 2023. In entrambe le occasioni – come riportato nei documenti ufficiali della Santa Sede – Francesco ha posto l’accento sul valore del dialogo interreligioso e della cultura dell’incontro.
Questi gesti, seppur simbolici, hanno un chiaro significato pastorale: affermano una continuità spirituale e morale con la comunità taiwanese, senza però costituire provocazioni diplomatiche. La diplomazia pontificia resta attenta a non chiudere porte, lasciando spazio a una gestione silenziosa delle tensioni.
Questo silenzio strategico – privo di dichiarazioni ufficiali sulla sovranità di Taiwan o sulla sua posizione nel contesto cinese – è parte integrante del metodo Francesco: un pontificato fatto più di gesti che di proclami.
Nel contesto delle relazioni internazionali, Taiwan è oggi uno snodo critico non solo per la Cina ma anche per gli Stati Uniti. In questo triangolo Vaticano–Pechino–Washington, il ruolo della Santa Sede resta discreto ma significativo. C’è chi si chiede se Taiwan diventerà il prossimo punto di tensione tra il Vaticano e la Casa Bianca, con l’eventuale rottura dei legami diplomatici che potrebbe essere letta anche come una concessione alle pressioni cinesi.
Il Vaticano, però, non è un attore internazionale qualsiasi. La sua forza non risiede nella potenza economica o militare, ma nella sua capacità di essere “voce morale”. Per questo, ogni sua mossa è interpretata anche in chiave simbolica: sostenere Taiwan – una democrazia con libertà religiosa garantita – rafforza l’immagine della Santa Sede come paladina dei diritti umani.
Nel confronto globale tra religione e geopolitica, Taiwan diventa dunque una cartina di tornasole. Qualsiasi cambiamento nei rapporti Vaticano-Taipei avrà implicazioni ben oltre i confini ecclesiastici.
Fig. 2 – Thomas Chung, vescovo di Chiayi City, riceve l’omaggio dei fedeli dopo essere stato nominato arcivescovo di Taipei da Papa Francesco, luglio 2020
L’EREDITÀ DI FRANCESCO E GLI SCENARI FUTURI
Il pontificato di Francesco ha lasciato un’eredità complessa. Da un lato, il Papa ha cercato un dialogo difficile con la Cina, nel tentativo di garantire ai fedeli cinesi una maggiore libertà religiosa. Dall’altro, non ha mai rinnegato apertamente l’amicizia con Taiwan, mantenendo un equilibrio senza strappi né svolte.
La sua è stata una diplomazia silenziosa, fatta di piccoli segni e di grande attenzione ai tempi. In questa linea si inserisce anche la partecipazione, seppur in forma ridotta, della delegazione taiwanese ai suoi funerali.
Ora la palla passa a Leone XIV, che dovrà decidere se proseguire su questa strada o segnare una discontinuità. Il futuro delle relazioni con Taiwan sarà uno dei banchi di prova della nuova diplomazia vaticana. La scelta sarà tra una fedeltà storica che ha resistito a decenni di isolamento internazionale, e una possibile apertura strategica verso una Cina sempre più influente.
La questione, per la Santa Sede, non è solo politica. È una sfida tra memoria e futuro, tra lealtà e pragmatismo, tra diplomazia e coscienza.
Annachiara Maddaloni
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