Caffè Lungo – Dopo una settimana di negoziati in Egitto, lo Stato di Israele e Hamas sono giunti a un accordo per la cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi, vivi e deceduti, detenuti dall’attacco del 7 ottobre 2023.
LE TRATTATIVE DI SHARM EL-SHEIK: LA POSTURA TRUMPIANA E IL RUOLO DEI MEDIATORI
I negoziati indiretti tra Israele e i rappresentanti di Hamas sono stati inaugurati lunedì 6 ottobre, a Sharm El-Sheik, in Egitto. Al tavolo negoziale i rappresentanti di Qatar, Egitto, Arabia Saudita e Turchia in qualità di mediatori, Khalil Al-Hayya, uno dei leader più influenti di Hamas, sopravvissuto all’attacco israeliano a Doha del 9 settembre, il Ministro israeliano agli Affari Strategici Ron Dermer e la delegazione statunitense composta dall’Inviato Speciale per il Medio Oriente degli Stati Uniti, Steven C. Witkoff, e dal genero del Presidente, Jared Kushner.
L’oggetto del contendere negoziale: il piano di Trump per la cessazione dell’ostilità nella Striscia di Gaza, il rilascio degli ostaggi israeliani catturati durante il raid di Hamas del 7 ottobre 2023 e la riorganizzazione amministrativo-governativa di ciò che rimane della Striscia. Articolato in 20 punti, il piano di Trump è il risultato concreto di una postura di politica estera “ballerina” ma pur sempre improntata su una buona dose di realismo politico al quale il Presidente sembra si sia votato nell’affrontare due dei principali conflitti dell’arena internazionale contemporanea: quello sul fronte ucraino–russo e quello mediorientale.
Sin dai lavori preparatori per le negoziazioni indirette, infatti, il Presidente statunitense è stato chiaro con entrambe le parti in conflitto invitando – con significative pressioni diplomatiche – il Premier israeliano ad accettare l’accordo e i rappresentanti di Hamas a fare altrettanto, pena una totale disintegrazione del movimento. A dispetto, invece, di tutti i fallimenti di negoziazione ed effettiva implementazione di un cessate il fuoco a cui si è assistito negli ultimi due anni, il 9 ottobre è stato raggiunto un accordo.
È imprescindibile sottolineare, però, che questo successo diplomatico non è imputabile esclusivamente a Trump. L’attività di mediazione e il compattamento delle delegazioni arabe per il raggiungimento dell’accordo fra le parti è stata fondamentale. Elemento riconosciuto anche all’incontro di Parigi di venerdì scorso, durante il quale il Primo Ministro qatarino, lo Sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e i Ministri degli Affari Esteri di Turchia ed Egitto, ospitati dai francesi, hanno incontrato alcuni dei Ministri degli Esteri europei per discutere il futuro di Gaza dopo la guerra. Saranno questi Stati, infatti, a partecipare attivamente al monitoraggio della tregua nella Striscia, assumendosi l’impegno, fra gli altri, di inviare circa 5.000 operatori di polizia già addestrati sul posto a garanzia di un ordine e di un equilibrio tutto da ricostruire.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente Trump in visita in Israele dopo l’accettazione del cessate il fuoco
‘FASE 1’: COMPLETATA. IL RILASCIO DEGLI OSTAGGI E DEI DETENUTI PALESTINESI E IL CAUTO OTTIMISMO INTERNAZIONALE
I primi risvolti concreti del successo diplomatico ottenuto da Trump e dalle delegazioni arabe presenti a Sharm El-Sheik si sono già verificati nelle ore successive all’accettazione dell’accordo da parte del Governo israeliano e di Hamas. Israele ha avviato le procedure per la cessazione di attività militari e il ritiro delle truppe dalla Striscia oltre la linea concordata, Hamas ha accettato di liberare gli ostaggi israeliani, procedendo al rilascio lunedì 13 e martedì 14 ottobre.
Contemporaneamente sono stati rilasciati anche i detenuti palestinesi per cui Hamas aveva richiesto la scarcerazione, compresi alcuni ergastolani, fra i quali mancano però personalità importanti come Marwan Barghouti, leader prominente di Fatah, incarcerato dal 2002 e condannato a diversi ergastoli per fatti connessi alla Seconda Intifada, e Ahmad Sa’adat, Segretario Generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
La cosiddetta “Fase 1” è stata quindi completata senza grandi ostacoli. A livello internazionale è stato espresso un cauto ottimismo per le opportunità pacificatorie che i fatti recenti stanno offrendo sia Israele che alle controparti, impegnate in un conflitto pluridecennale. L’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno espresso l’intenzione a partecipare attivamente alla ricostruzione della Striscia, auspicando un cessate il fuoco permanente e una gestione e distribuzione degli aiuti umanitari in mano alle agenzie internazionali. Di tenore molto cauto le dichiarazioni del Patriarca di Gerusalemme, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, che ha sì riconosciuto le potenzialità dell’accordo raggiunto fra Israele e Hamas, ma ha anche espresso i propri timori sulle incognite ancora pendenti per una pace che sia effettivamente efficace e duratura nel tempo.
Diversi decenni di conflitto, traumi intergenerazionali e una ricostruzione materiale e politica molto complessa sono elementi che non possono essere ignorati nel domandarsi che cosa succederà da ora in poi. Una roadmap di ciò che dovrebbe essere è stata fornita dal Presidente Trump, i risultati concreti si vedranno se tutti gli attori coinvolti agiranno considerando come priorità assoluta la stabilità e la cessazione della violenza.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il rilascio di alcuni ostaggi del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas.
IL DISCORSO DI TRUMP ALLA KNESSET, LE CELEBRAZIONI DIPLOMATICHE E LE ESECUZIONI DELLA ‘SHADOW UNIT’
La prima settimana di “Pax Trumpiana” è iniziata – oltre che con il rilascio degli ostaggi del 7 ottobre, un progressivo diradamento delle truppe dell’IDF nella Striscia di Gaza e la scarcerazione di diversi detenuti palestinesi – con il discorso del Presidente degli Stati Uniti alla Knesset, il Parlamento israeliano. L’ottimismo di Trump per il successo diplomatico appena conseguito lo ha indotto a definire questa una nuova fase non solo per le relazioni fra Israele e la popolazione palestinese, ma anche per il Medio Oriente nel suo complesso.
Tuttavia, diverse sono le incognite relative al futuro della stabilità nella regione e, più specificatamente, di ciò che sarà di Gaza, della sua ricostruzione materiale e della sua riorganizzazione amministrativo-politica. Su quest’ultimo punto, in particolare, si concentra l’attenzione internazionale. Nel piano di Trump, al punto 9, infatti, si cita l’istituzione di un organismo di governo affidato ad un gruppo di tecnici palestinesi apolitici, supervisionato da un’organizzazione internazionale, la Gaza International Transitional Authority (GITA), a guida statunitense e che potrebbe coinvolgere (elemento che ha suscitato non poche polemiche) anche l’ex Premier britannico Tony Blair.
In tale compagine non è ancora chiaro se e quale ruolo avrà eventualmente l’Autorità Nazionale palestinese, anche se il Primo Ministro Mohammad Mustafa ha già dichiarato che il ruolo di qualsiasi organismo internazionale nella ricostruzione dovrà essere di supporto e complementare e non un sostituto politico. Le incognite sono molteplici ma non mancano le celebrazioni diplomatiche. Al momento la “Fase 2” è per ora ferma alle dichiarazioni ufficiali: solo il tempo sarà in grado di decretarne l’effettivo compimento e successo.
Tuttavia, rimane il nodo problematico del futuro di Hamas. Ufficialmente, l’organizzazione islamista ha accettato un parziale disarmo che escluderebbe le armi di piccolo/medio calibro, utili al gruppo per evitare eventuali ritorsioni da parte di quei clan che ritengono il gruppo responsabile dello scempio degli ultimi due anni. Di fatto, già nella mattina di mercoledì, sembra esserci stato un pericoloso ritorno alla violenza, con le esecuzioni sommarie della “Shadow Unit” di Hamas, volte all’eliminazione di presunti collaborazionisti, che tutto fanno supporre tranne una reale e concreta inclinazione al disarmo. Il Governo israeliano reclama ancora alcuni dei corpi degli ostaggi del 7 ottobre 2023, minacciando conseguenze per la tenuta degli accordi di pace. All’indomani delle celebrazioni in Egitto, l’era della tensione non sembra affatto conclusa: quella che poteva essere l’alba di un nuovo Medio Oriente rischia di assumere, sempre di più, i contorni di una fragilissima tregua.
Sara Cutrona
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