Analisi – Sotto la leadership di Hun Sen a Hun Manet, le prigioni del Regno di Cambogia non si limitano a essere strutture di detenzione, ma rappresentano dispositivi strategici di controllo sociale e politico, riflettendone l’inefficacia del sistema giudiziario e, al contempo, la deliberatezza di uno strumento volto a produrre conformitĂ e vulnerabilitĂ sociale.
LE CARCERI IN CAMBOGIA: INTRODUZIONE
Dal termine del conflitto interno negli anni Novanta, la Cambogia ha progressivamente consolidato un sistema politico caratterizzato dal predominio del Partito Popolare Cambogiano, il quale esercita un controllo esteso sugli apparati statali, sul settore giudiziario e sulle forze di sicurezza. Tale processo ha ridotto gli spazi di partecipazione democratica, marginalizzato le opposizioni e trasformato progressivamente gli strumenti giuridici e amministrativi in dispositivi funzionali alla preservazione della stabilità politico-istituzionale. In questo quadro, il sistema penitenziario non risponde primariamente a finalità di reinserimento o tutela dell’ordine giuridico, ma si configura come meccanismo di gestione e neutralizzazione delle categorie sociali percepite come potenzialmente destabilizzanti. Il tema delle carceri in Cambogia costituisce, pertanto, un osservatorio privilegiato per comprendere le forme contemporanee del controllo sociale in contesti autoritari, evidenziando il nesso tra politiche securitarie, governance della marginalità e consolidamento del potere politico
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Membri e attivisti dell’opposizione arrivano in tribunale a Phnom Penh per essere processati per “cospirazione volta al tradimento”, gennaio 2021
SOVRAFFOLLAMENTO E RISCHI SANITARI
La Cambogia registra oggi circa 190 detenuti ogni 100mila abitanti, un tasso superiore non solo alla media dell’ASEAN, ma persino a quello della Repubblica Popolare Cinese. Questo incremento non è correlato a un effettivo aumento delle attività criminali, bensì all’adozione di un paradigma securitario fondato su campagne punitive simboliche. Emblematico è il caso della campagna anti-droga lanciata nel 2017, che ha determinato un aumento del 30% della popolazione carceraria in un solo anno. Tale politica ha funzionato principalmente come mezzo di disciplinamento delle fasce marginalizzate, consolidando la centralità dello Stato nella gestione della devianza sociale. Il sovraffollamento che ne deriva assume proporzioni strutturali. Le carceri cambogiane operano mediamente a oltre il 343% della loro capacità ufficiale, con 38.977 detenuti stipati in strutture concepite per ospitarne 8.804. In alcuni istituti, come il complesso CC2 di Phnom Penh, la saturazione supera il 400%, aggravando la carenza di acqua potabile, la limitata ventilazione, la scarsità di cure mediche e l’assenza di spazi vitali minimi. Durante la pandemia di Covid-19, tali condizioni sono state definite da Amnesty International come una “bomba a orologeria sanitaria”, in grado di generare un imminente collasso epidemiologico. Inoltre, si aggiungono morti di detenuti mai investigate in maniera trasparente, suggerendo un deficit strutturale nei meccanismi di accountability istituzionale. Particolarmente critica è la condizione delle donne e dei minori. Numerose detenute vivono la maternità all’interno delle strutture carcerarie, condividendo con i figli razioni alimentari molto scarse. I bambini privi di registrazione anagrafica diventano giuridicamente invisibili: non hanno accesso all’istruzione, alle vaccinazioni, né ai servizi sanitari di base. L’ambiente di crescita, segnato da malnutrizione, mancanza di luce solare, assenza di stimolazione cognitiva e contatto costante con dinamiche coercitive, produce effetti permanenti sullo sviluppo motorio e psichico, evidenziando l’impatto transgenerazionale di un sistema che, anziché interrompere cicli di marginalità , li riproduce e consolida. Parallelamente, ricerche condotte dall’Istituto Nazionale di Statistica nel 2016 mostrano che almeno il 5% delle famiglie ha subito furti o rapine, ma la maggior parte dei reati non viene denunciata, a causa della radicata sfiducia verso la magistratura e della percezione della corruzione come fenomeno sistemico. Lo stesso vale per le violenze sessuali, che secondo studi del Programma di Sviluppo Nazionale del 2014 risultano in larga parte non denunciate. La paradossale coesistenza tra criminalità sommersa e carcerazione crescente rivela la natura selettiva della repressione: lo Stato non interviene davvero contro il crimine, ma agisce per neutralizzare gruppi e comportamenti considerati socialmente “disturbanti” o politicamente scomodi. Il carcere in Cambogia si configura dunque come elemento centrale di un più ampio sistema di governo autoritario, volto a produrre conformità , contenere l’immaginario sociale del dissenso e prevenire la formazione di reti comunitarie autonome. La detenzione diviene strumento politico di gestione della società , più che luogo deputato alla tutela dell’ordine giuridico o al reinserimento del detenuto.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Manifestazione di esuli cambogiani in Corea del Sud contro il regime, novembre 2025
UN’IPOTESI SPECULATIVA
Analizzando il sistema penitenziario cambogiano emerge come molte criticità siano frutto di un modello di gestione che utilizza il carcere come strumento di controllo sociale. Come mostrato nella Figura 3, anche negli scenari più favorevoli una quota rilevante di condizioni critiche permane. Il sovraffollamento, le carenze igienico-sanitarie, la scarsità di risorse alimentari e la mancata registrazione dei minori colpiscono soprattutto le fasce più vulnerabili. La pandemia di Covid-19 ha evidenziato ulteriormente tali squilibri, aggravati dall’assenza di distanziamento, dal ridotto accesso alle cure e da morti non investigate. In questo contesto, pratiche come la detenzione preventiva e le campagne repressive, in particolare quella antidroga, rafforzano un sistema selettivo orientato più al contenimento dei gruppi marginalizzati che alla riabilitazione.
SCENARI PREVISIONALI
L’evoluzione futura della situazione carceraria cambogiana appare legata a tre variabili principali: la direzione politica assunta dal Governo centrale nel processo di successione dinastica del potere; l’orientamento della politica estera di Phnom Penh nel bilanciamento tra partner occidentali e Repubblica Popolare Cinese; la capacità della società civile e delle organizzazioni internazionali di mantenere alta la pressione diplomatica e mediatica sui temi dei diritti umani.
- BEST CASE
Un primo scenario di miglioramento, sebbene non immediato, potrebbe affermarsi qualora il Governo decidesse di procedere a una riforma strutturale del sistema penitenziario, in parte per consolidare la propria legittimità interna e migliorare la propria immagine nel contesto regionale e multilaterale. Tale esito presuppone l’adozione di misure di amnistia mirata per i detenuti condannati per reati minori, l’implementazione di programmi di reintegrazione sociale, nonché una progressiva apertura al monitoraggio indipendente delle strutture detentive da parte di agenzie ONU e ONG internazionali.
- MEDIUM CASE
Uno scenario intermedio, più verosimile, vedrebbe la prosecuzione dello status quo con interventi correttivi esclusivamente marginali, adottati in risposta a pressioni diplomatiche episodiche e principalmente orientati alla gestione dell’immagine internazionale del Paese. In tale configurazione, potrebbero essere introdotti provvedimenti di decongestione temporanea degli istituti penitenziari o riforme regolamentari di facciata, senza tuttavia incidere sul nesso strutturale tra repressione politica, carcerazione preventiva estesa e criminalizzazione della marginalità sociale.
- WORTS CASE
Infine, uno scenario peggiore potrebbe scaturire da un inasprimento delle politiche securitarie, particolarmente nel caso in cui si registrasse un indebolimento del consenso interno, un aumento delle tensioni socioeconomiche o una rinnovata necessità di contenimento del dissenso politico. In questa eventualità , la popolazione detenuta potrebbe aumentare ulteriormente, anche in relazione a nuovi cicli repressivi contro attivisti, oppositori o gruppi marginalizzati. Le condizioni igienico-sanitarie e nutrizionali, già critiche, rischierebbero di peggiorare, mentre l’isolamento diplomatico del Paese potrebbe incentivare un rafforzamento ancora più stretto dei legami con Pechino, riducendo gli spazi di intervento della comunità internazionale.

Fig. 3 – Possibili scenari di sviluppo del sistema carcerario cambogiano in percentuale | Autore: Federica Leone
LA DETENZIONE COME CONTROLLO POLITICO E SOCIALE
Il sistema penitenziario cambogiano si configura oggi come un nodo strutturale del più ampio assetto politico e istituzionale del Paese, in cui l’incarcerazione assume principalmente una funzione di controllo sociale e stabilizzazione autoritaria. Il sovraffollamento cronico degli istituti, la carenza delle garanzie fondamentali, l’assenza di condizioni sanitarie adeguate e la presenza di minori cresciuti all’interno delle prigioni indicano un modello di detenzione volto a neutralizzare le fasce ritenute vulnerabili o non conformi, in luogo di processi reali di rieducazione e reinserimento. Tale quadro si è reso ancora più critico durante la pandemia di Covid-19, quando la combinazione tra densità carceraria e limitate capacità di intervento sanitario ha trasformato la detenzione in una condizione di rischio sistemico per la vita e la salute. L’attuale scenario riflette dunque un sistema in cui il carcere opera come strumento di ingegneria politica e sociale, contribuendo a consolidare la centralizzazione del potere e a limitare l’emergere di forme autonome di partecipazione civica. Il superamento di tale impianto richiederebbe una revisione profonda del modello di governance e del rapporto tra Stato, cittadinanza e dissenso, accompagnata da un rafforzamento delle garanzie procedurali, degli standard detentivi e del monitoraggio indipendente. Senza un intervento strutturale in tal senso, la detenzione continuerà a rappresentare non una risposta ai fenomeni criminali, ma uno degli strumenti attraverso cui si riproduce e si perpetua l’ordine politico esistente.
Federica Leone
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