Analisi – L’area dell’Artico è l’eldorado delle ricchezze naturali e lo scenario di nuove alleanze geopolitiche, come dimostra l’importante accordo tra Riyadh e Mosca per il progetto Arctic LNG 2.
GHIACCI E IDROCARBURI
L’Artico è la regione nord del Circolo Polare Artico. L’area non è propriamente un continente, ma un mare, il Mar Glaciale Artico, circondato dalle estreme regioni settentrionali di Canada, Danimarca, Groenlandia, Isole Far Oer, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti. La caratteristica principale dell’Artico è di avere la superficie perennemente ghiacciata, nonostante l’influenza delle stagioni e delle correnti marine. La natura impervia custodisce importanti giacimenti di idrocarburi. Secondo le stime rese disponibili dai programmi di studio internazionali del CARA (Circum-Arctic Resource Appraisal) e dello United States Geological Survey l’area custodisce il 13% del petrolio e circa il 30% del gas naturale, ovvero il 22% delle risorse complessive della terra. Fino ad oggi la maggior parte delle esplorazioni nell’area è avvenuta sulla terra ferma, come dimostrano i giacimenti petroliferi di Prudhoe Bay e North Slope in Alaska, ma restano inesplorate dorsali, piane abissali, fosse e bacini oltre i 500 metri di profondità. Oltre agli idrocarburi, l’Artico è al centro dell’attenzione per altri due motivi: il primo è che le sue preziose risorse naturali coinvolgono anche oro, diamanti, cobalto, manganese e zinco; il secondo le numerose alterazioni dell’ecosistema locale causate dai cambiamenti climatici, che potrebbero aprire nuove vie di commercio, turismo e trasporto internazionali.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – La bandiera della Flotta del Nord russa sventola sul Mar di Barents, situato all’interno del Circolo Polare Artico
UNA NATURA IMPERVIA MA GENEROSA
Secondo lo studio Arctic Opening: Opportunity and Risk in the high North, pubblicato da ricercatori inglesi nel 2011, l’intera area sarà sempre più oggetto di importanti cambiamenti ambientali e geostrategici: l’aumento delle temperature e la conseguente riduzione dei ghiacci renderanno le rotte commerciali fruibili tutto l’anno e non più solo nel periodo estivo, dimezzando i tempi di percorrenza, come nel caso della Northern Sea Route che collega l’Europa settentrionale con l’Estremo Oriente russo, transitando per il Pacifico, lo Stretto di Bering e la penisola della Kamchatka. È opportuno precisare però che l’Artico non diventerà commerciale come i Canali di Suez e di Panama, perché i cambiamenti climatici influenzano e modificano l’area di continuo, e le zone inesplorate restano un ostacolo serio ai nuovi scenari geopolitici che l’area presenta. Mosca, ad esempio, considera l’Artico il prossimo bacino energetico del Paese perché il gas della Siberia occidentale è in esaurimento. Gazprom e Rosneft, importanti compagnie petrolifere russe, nei mesi scorsi hanno costruito piattaforme di trivellazione nella regione, così come la statunitense Exxon, la francese Total e la norvegese Statoil, le quali hanno iniziato le perforazioni nel Mare di Barents, nei pressi delle coste norvegesi e nel Mar Ciukchi vicino all’Alaska. Se gli scenari futuri sembrano incentivare l’attenzione della comunità internazionale, a temporeggiare ci pensa il diritto internazionale. L’Artico, secondo la disciplina, non può essere oggetto di dispute per il controllo sovrano da parte di nessuno Stato rivierasco, perché area non disciplinata da alcuno specifico trattato internazionale. La sua regolamentazione legale è soggetta alle varie sovranità che si affacciano sui mari territoriali nel quadro giuridico internazionale della Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). In particolare l’UNCLOS prevede che ciascuno Stato possa definire, in modo unilaterale e senza alcuna interferenza esterna, l’estensione della sua piattaforma entro 200 miglia nautiche dalla costa. Un’ulteriore estensione, ma non superiore a 350 miglia nautiche, può essere richiesta alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale e deve ottenere il riconoscimento internazionale. Nonostante la consuetudine, sono in atto diverse dispute ed è essenziale quindi avere una strategia pianificata e alleati importanti a livello internazionale. Ciò sembra essere ben chiaro a Mosca, che sta cercando di coinvolgere vari partner nei suoi progetti energetici per la regione. Uno di essi è l’Arabia Saudita.
Fig. 2 – Lo stand di Rosneft all’ultimo Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo
UN’AMICIZIA RITROVATA
I rapporti diplomatici tra la Russia e l’Arabia Saudita sono sempre stati precari, legati ai cicli storici. E proprio questi ultimi li hanno spinti a tornare “alleati” in tempi recenti. La bolla petrolifera scoppiata negli ultimi mesi del 2018 vede l’Arabia Saudita sotto pressione a causa del sonoro tonfo del Brent, che è sceso fino a 60 dollari al barile, provocando un ribasso del valore delle esportazioni petrolifere mondiali da 780 a 555 miliardi di dollari annui. Ciò significa che, dall’inizio della crisi, le economie dei 15 paesi dell’OPEC hanno bruciato oltre 225 miliardi di dollari, col rischio di perdere altri 44 miliardi in caso di un ulteriore ribasso dei prezzi. Riyadh si è esposta molto negli ultimi tempi per arginare le perdite, confermando nell’incontro dell’Organizzazione del 6 dicembre scorso il taglio delle forniture per ancorare il prezzo del Brent intorno ai 67-70 dollari al barile. Contemporaneamente ha cercato di salvaguardare anche la sua posizione proprio all’interno del cartello, tenendo in considerazione la sua economia: il Paese, infatti, esporta in media 7,5 milioni di barili al giorno, ma la bolla petrolifera ha causato perdite per 64 miliardi di dollari ovvero il 10% del PIL. Essendo un’economia sostenuta per la maggior parte proprio dal petrolio, tali perdite potrebbero causare diversi problemi, tra i quali il probabile deterioramento della bilancia dei pagamenti, perché Riyadh, a differenza di Mosca che ha liberalizzato il tasso di cambio, ha legato il rial al dollaro, equivalendolo a un peg di 3,75. L’economia saudita non può quindi aumentare il valore dei barili in valuta locale per compensare il crollo delle quotazioni in dollari. Una rigidità che ha causato, dunque, 250 miliardi di dollari di minori riserve valutarie in poco più di 3 anni e mezzo. Sulla scia degli ultimi eventi e delle sempre più ampie possibilità geostrategiche e geopolitiche offerte dal Mar Glaciale Artico, sia Riyadh che Mosca hanno iniziato a tessere una rete di nuovi interessi tutti da sviluppare.
Fig. 3 – Visita del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Riyadh, marzo 2019. Al suo fianco il collega saudita Adel al-Jubeir
IL PROGETTO ARCTIC LNG 2
Il ritrovato rapporto con Mosca implica un cambio di passo per l’Arabia Saudita: accedere ai principali mercati dell’export del gas naturale da cui al momento è esclusa. In base a stime della BP, il Paese possiede infatti riserve di gas naturale superiori a 280 miliardi di miliardi di metri cubi, ma finora le sue esportazioni sono quasi inesistenti. Riyadh punta quindi a partecipare allo sfruttamento dei giacimenti di gas di altre regioni, a cominciare proprio da quella artica. Non a caso, i prossimi mesi, saranno cruciali per il progetto Arctic LNG 2, importante terminal situato nella Penisola di Gydan, di cui la compagnia di bandiera saudita Saudi Aramco controlla il 30% delle quote di partecipazione. Il progetto costerà 25,5 miliardi di dollari e prevede la realizzazione di tre impianti per la liquefazione del gas naturale per una capacità di 6,6 milioni di tonnellate all’anno, equivalenti circa a 535mila barili al giorno. Dotato di piattaforme di supporto Gbs (Gravity base structure), il terminal ospiterà anche le strutture di stoccaggio del Gnl per un totale di 687 mila metri cubi. Sarà operativo dal 2023, coprendo i mercati strategici di Asia, Cina, Giappone e Europa. Il coinvolgimento nel progetto russo permette a Riyadh di avere una posizione privilegiata nell’accesso diretto alle risorse dell’Artico e di puntare successivamente alla posizione di membro osservatore dell’Arctic Council, monitorando da vicino i futuri progressi economici ed energetici della regione.
Sara Barchi