Il Presidente USA Barack Obama ritarda l’attacco alla Siria volendo prima consultarsi con il Congresso. Difficile capire questo passo indietro se non comprendiamo prima quali dubbi attanaglino l’Amministrazione statunitense ora – nella consapevolezza che la politica USA in Siria potrebbe essere finita in un vicolo cieco.
NO WIN – In un recente articolo del “Time” si riportava una veritĂ tanto chiara quanto a volte ignorata dal grande pubblico: la politica estera è l’arte del non trovarsi mai in situazioni senza via di uscita favorevoli (no no-win situations). Nel caso della Siria, la politica estera del presidente USA Barack Obama sembra invece non essere riuscita a rispettare tale assioma, e la recente decisione di chiedere il parere del Congresso sugli eventuali attacchi in Siria risponde proprio a questa situazione.
Gli USA, e in particolare il Presidente e il suo staff, appaiono chiusi in un vicolo cieco dove ogni scelta non è esente da problemi, ed è pesantemente influenzata dalle lezioni passate. Una riuscitissima vignetta di “The Economist” sintetizza l’atteggiamento americano meglio di tante analisi: dopo aver usato le maniere forti (il Leviatano, come lo definisce lo stratega USA Thomas P.M. Barnett) in Afghanistan e Iraq, e non essere riusciti a evitare di impantanarsi in situazioni gestite con molti problemi, gli USA ora provano a defilarsi e «guidare da dietro» (come ha detto lo stesso Obama in occasione della guerra in Libia); l’idea è evitare nuovi conflitti diretti, guadagnare un maggior apprezzamento internazionale e fornire il proprio aiuto solo in maniera indiretta, cosa che si sposa bene con i sempre piĂą ridotti interessi statunitensi nell’area mediorientale.
DICHIARAZIONI RISCHIOSE – Il problema per gli USA è stato condire tale strategia con la dichiarazione di non tollerare l’uso di armi chimiche in Siria pena l’uso della forza in risposta – dichiarazione moralmente comprensibile, ma politicamente rischiosa perchĂ© si regge sulla convinzione che la minaccia basti a impedirne l’uso da parte di chiunque. Così non è stato, almeno finchĂ© le indagini ufficiali ONU non smentiscano, e questo ha chiuso il Presidente americano in un angolo.
Cosa fare ora? Abbiamo giĂ parlato delle opzioni militari, ma guardiamo ora il tutto dalla parte di Obama.
ATTACCARE O NO? – Se ordina l’attacco, che sarĂ presumibilmente limitato per limitare al massimo le ripercussioni regionali, il Presidente non abbatterĂ Assad, realisticamente non modificherĂ sostanzialmente gli equilibri sul campo, si guadagnerĂ il biasimo di una parte dell’opinione pubblica mondiale (e dell’elettorato USA) che preferisce soluzioni negoziali e invischierĂ nuovamente il Paese in una crisi regionale dove non ha vantaggi in nessuna soluzione.
Se non lo ordina, avrĂ dimostrato ad avversari e alleati che gli USA sono senza denti, che le minacce statunitensi non hanno fondamento e dunque che è possibile utilizzare qualsiasi arma sul campo – tanto nessuno oserĂ intervenire – oltre a guadagnarsi il biasimo di una parte dell’opinione pubblica mondiale (e dell’elettorato USA) che preferisce l’intervento. Inoltre, confermerĂ ad attori come Turchia, Arabia Saudita, Egitto ecc… che non è piĂą un partner affidabile – a tutto discapito dell’influenza nell’area.
QUALE VIA D’USCITA? – Non agire è ciò che meglio tutelerebbe gli interessi materiali USA, ed eppure è proprio ciò che ne screditerebbe di piĂą l’immagine internazionale. Da qui nasce la decisione di chiedere conferma al Congresso. Il Presidente non ha bisogno del permesso di nessuno per lanciare operazioni militari, ma solo il Congresso può approvare la dichiarazione di guerra. La strategia di Obama si gioca dunque sul filo dei cavilli e sulla consapevolezza che la politica estera USA in Medio Oriente ne esce comunque sconfitta. Se il Congresso votasse contro l’intervento, questo smarcherebbe un po’ il Presidente dal biasimo nazionale per un mancato intervento. Se votasse invece a favore, potrĂ condividerne la responsabilitĂ per gli eventuali scarsi effetti.
Lorenzo Nannetti