Analisi – La possibilità che il Regno Unito lasci l’Unione Europea senza un accordo di separazione con Bruxelles è oggi più che mai concreta. Il premier britannico Boris Johnson ha infatti annunciato che il suo Paese uscirà ufficialmente dall’Unione entro il 31 ottobre (data concordata con l’UE dopo complesse trattative) con o senza un accordo. Molte sono le compagnie e multinazionali giapponesi da tempo attive nel Regno Unito che si trovano ora a dover affrontare i rischi e soprattutto le incertezze di una no-deal Brexit.
UNO SCENARIO TEMUTO DA TEMPO
Il 23 giugno 2016, giorno in cui si è tenuto il referendum sulla Brexit, il mondo tratteneva il fiato. Il Giappone non è stato da meno e per un motivo molto semplice: gran parte delle imprese e compagnie nipponiche attive in Europa sono concentrate in Gran Bretagna. È dunque perfettamente comprensibile che molte di esse abbiano – e stiano tuttora – assistendo con crescente apprensione alla travagliata evoluzione della vicenda. “L’incertezza è una delle grandi preoccupazioni di qualsiasi economia”: sono le testuali parole riportate in un documento ufficiale emanato il 2 settembre 2016 da una task force governativa creata appositamente per studiare il divorzio UK-UE e rivolto ad entrambi gli interlocutori. Questo memorandum, oltre a ribadire il chiaro interesse del Giappone a mantenere rapporti bilaterali forti con l’Europa intesa nel suo complesso, vuole sincerarsi la persistenza di un sistema di libero scambio e soprattutto sottolineare quanto possa essere dannosa per tutte le economie coinvolte una situazione di limbo, senza regole e step chiari. Il Governo di Tokyo si è fatto portavoce di richieste esplicite da parte del mondo economico giapponese: le compagnie e i mercati chiedono che tra Regno Unito e Unione Europea non vengano alzate barriere tariffarie, aumentati i costi alle transazioni finanziarie, aggiunte limitazioni al movimento di forza lavoro qualificata o introdotte regolamentazioni disomogenee. Allo stato attuale tutto questo potrebbe verificarsi.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Takahiro Hachigo, Presidente di Honda, parla alla stampa dopo aver annunciato la chiusura dello stabilimento britannico di Swindon lo scorso febbraio
IL BUSINESS GIAPPONESE NEL REGNO UNITO
Le aziende giapponesi hanno iniziato a investire in Gran Bretagna nel periodo del boom economico. Negli anni Ottanta il Regno Unito veniva considerato come la porta d’accesso all’Europa e al suo mercato e tuttora gli investimenti giapponesi nel Paese sono un terzo di quelli complessivi in Europa (secondo la JETRO – Japan External Trade Organisation – si tratta dunque di circa 163 miliardi di dollari). Sia storicamente che attualmente il principale settore coinvolto è quello automobilistico. Grandi marchi noti a livello internazionale come Toyota, Nissan e Honda producono negli stabilimenti inglesi modelli specifici di auto che poi, per circa la metà, vengono vendute nel continente. Non stupisce dunque il fatto che l’eventualità che queste aziende debbano subire controlli e ritardi alla dogana per le proprie merci, tariffe aumentate e difficoltà a reperire forza lavoro qualificata renda il loro sonno agitato. Tuttavia molti rappresentanti di aziende giapponesi non hanno rilasciato, se non in rari casi, dichiarazioni pubbliche e esaustive sui timori legati alla Brexit e soprattutto su eventuali piani per affrontare una separazione non amichevole tra Londra e il resto del continente. Ciò non significa che non ci sia un certo fermento nel settore automotive: prendiamo il caso di Honda, che a febbraio di quest’anno ha annunciato la chiusura entro il 2021 dello stabilimento di Swindon, che attualmente dà lavoro a circa 3.500 persone. Anche se la motivazione ufficiale è dovuta a “cambiamenti senza precedenti nell’industria automobilistica globale”, rimane il sentore che dietro a scelte di questo tipo ci sia la paura della no-deal Brexit. Un altro esempio significativo è quello di Nissan, che ha deciso di non produrre il nuovo SUV X-Trail nell’impianto di Sunderland, la più grande fabbrica Nissan in Europa.
Parallelamente alcune aziende operanti in altri settori come quello finanziario e dell’hi-tech hanno iniziato a spostare parte delle loro attività dalla Gran Bretagna ad altri Paesi europei, in particolare Olanda e Germania. Per esempio, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, sia Sony che Panasonic hanno annunciato il trasferimento del quartier generale in Olanda, in modo da rimanere nel mercato unico europeo. Lo stesso vale per la Norinchukin Bank, una delle più grandi e internazionalizzate banche giapponesi, che ha annunciato (con chiarezza, in questo caso) la volontà di trasferire la sede europea ad Amsterdam nel 2019 a causa dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Questa può essere considerata una profezia già annunciata (per di più pubblicamente). In un’intervista radiofonica dello scorso giugno l’allora Ministro degli Esteri giapponese Tarō Kōno aveva infatti asserito (in toni comunque pacati) che in caso di no-deal Brexit molte aziende giapponesi in UK avrebbero optato per la riallocazione delle proprie attività.
Fig. 2 – Il Premier giapponese Shinzo Abe con Theresa May durante un forum bilaterale sui rapporti economici nippo-britannici, 31 agosto 2017
VERSO UN NUOVO PARTNERSHIP AGREEMENT?
Un aspetto interessante da considerare in questo contesto è che tra Giappone e Unione Europea è da poco entrato in vigore il JEFTA, un accordo di libero scambio estremamente innovativo e onnicomprensivo. Non si tratta infatti solo di un abbattimento delle barriere tariffarie, ma prevede anche una cooperazione stretta tra le parti su ambiente e protezione dei dati. In un sondaggio della JETRO sulle condizioni del business giapponese in Europa è emerso che a causa della Brexit solo un’azienda su quattro con sede in UK crede che il JEFTA porterà benefici concreti. Detto altrimenti, queste imprese sanno di rischiare di essere tagliate fuori da questa nuova opportunità.
Data la situazione, per mantenere una vasta area “europea” di libero scambio il Giappone seguirà la via di un trattato con il Regno Unito simile al JEFTA, per quanto forse più limitato negli scopi e nella portata. Sarà però necessario attendere che la Gran Bretagna sia ufficialmente fuori dall’Unione per poter iniziare i negoziati e anche nella migliore delle ipotesi ci vorranno mesi prima della firma. Nel frattempo il Governo britannico, a riprova della sua volontà di non guastare i rapporti economici con il Giappone, ha lanciato una “call for input”, ovvero un invito aperto ai privati (prevalentemente le imprese) a segnalare eventuali richieste o problematiche che vorrebbero fossero trattate durante le negoziazioni con Tokyo. La call sarà aperta fino al 4 novembre. Come ha affermato il Ministro del Commercio britannico Liz Truss in una recente visita a Tokyo, “il mondo del business deve essere rassicurato sul fatto che c’è la volontà da entrambe le parti di aprire il prima possibile i negoziati per un trattato di libero scambio UK-Giappone”.
Mara Cavalleri