Ristretto – Stanotte c’è stata la tanto attesa risposta iraniana, o comunque una prima parte. Le notizie sono ancora frammentarie e i dettagli da confermare, ma per quanto è emerso finora la realtĂ ci consegna una rappresaglia limitata e volta a ridurre escalation.
L’attacco è avvenuto in Iraq, contro la base militare “Al Asad” a 160 km da Baghdad dove sono presenti soldati USA e iracheni e contro la base di Erbil, dove oltre ai militari statunitensi sono presenti anche gli italiani, a indicazione di voler mantenere il confronto localizzato. Le armi usate appaiono altisonanti, ma si tratta di missili a bassa precisione, che fanno molta scena, ma danni limitati (a meno che il bombardamento non duri giorni e giorni, e non appare il caso), il che indica la risposta simbolica (ad attaccare dovrebbero essere state le unitĂ un tempo guidate dal defunto Qassem Soleimani). La dichiarazione di “successo” da parte della Guida Suprema Ali Khamenei indica che quanto fatto è sufficiente (almeno per ora), ossia che non si intende fare un’ulteriore escalation. Del resto, l’Iran sta giĂ ottenendo una discussione sul futuro della presenza USA e internazionale in Iraq, e rovinare tale vantaggio sarebbe stato inopportuno.
Da parte sua anche Trump, sembra convinto dal Pentagono, mostra sicurezza “va tutto bene, non ci hanno fatto niente”. E’ una guerra di parole, dove ciascuno salva la faccia dichiarando alla propria parte che si è vinto e possiamo aspettarci altre parole forti, ma sostanzialmente tutto questo indica una riduzione del rischio immediato di conflittualità .
L’Iran ha risposto, come aveva dovuto per salvare la faccia, ma non l’ha fatto in modo eccessivo, permettendo agli USA di non dover rispondere eccessivamente. Chi ha vinto quindi?Tutti nel momento in cui non si è arrivati a qualcosa di peggio, ed entrambi hanno ottenuto qualcosa: gli USA l’eliminazione di un personaggio chiave iraniano, cosa che ha creato una nuova deterrenza; l’Iran che ha forzato gli USA a fare i “cattivi” e sta ottenendo possibilitĂ diplomatiche insperate. Entrambi però hanno da recriminare, proprio per queste stesse motivazioni al contrario.
Tutto bene quindi? Non proprio. Ricordiamoci che le problematiche alla base che hanno portato alla crisi recente rimangono. Anche solo parlando dell’Iraq, la popolazione irachena continua a non volere eccessiva influenza iraniana sul territorio e l’Iran continua a vedere sempre tutto questo come una minaccia. L’ISIS è ancora un pericolo in vaste aree del nord e dell’ovest. Il JCPOA (l’accordo sul nucleare iraniano) è sempre in bilico e sempre meno considerato. Il successore di Soleimani, Ismail Ghaani, è considerato perfino più oltranzista del generale ucciso. E rimane il dubbio circa il futuro della presenza USA nell’area, anche se Washington ha smentito di volersene andare in mancanza di una chiara richiesta irachena che, per ora, è appoggiata solo dalla parte sciita del Parlamento. In altre parole, dopo l’aumento di rischio di conflitto in seguito all’escalation culminata con l’eliminazione di Soleimani siamo tornati a livelli più contenuti, ma le tensioni rimangono, così come lontana appare ancora una soluzione. Continuiamo a seguire con attenzione la vicenda.
Lorenzo Nannetti