Ristretto – Ieri il Ministero degli Esteri cinese ha annunciato diverse misure restrittive nei confronti dei principali organi d’informazione statunitensi. In particolare, i giornalisti di New York Times, Wall Street Journal, Washington Post, Voice of America e Time Magazine dovranno lasciare il Paese nei prossimi giorni.
Allo stesso tempo tali media dovranno dare informazioni scritte al Governo di Pechino sulle proprie attività, finanze e proprietà su territorio cinese. Le autorità cinesi si riserveranno infine il diritto a ulteriori azioni restrittive nei confronti di altri giornalisti e media statunitensi in caso di eventuali rappresaglie di Washington contro i propri organi di stampa operativi in America. Le misure adottate valgono anche per Macao e Hong Kong, nonostante gli accordi di Londra garantiscano a quest’ultima un regime autonomo di libertà di stampa sino al 2047.
La decisione di Pechino è una risposta durissima alla recente decisione dell’amministrazione Trump di designare cinque organi informativi cinesi, tra cui il network televisivo CGTN, come “missioni straniere”. Questa decisione ha comportato restrizioni alle attività di tali media negli USA e una riduzione dei loro staff locali. La scelta di Washington era stata a sua volta dettata dall’espulsione di tre giornalisti del Wall Street Journal dalla Cina dopo la pubblicazione, su tale testata, di un articolo pesantemente critico della gestione dell’epidemia di coronavirus da parte di Pechino. Il Governo cinese aveva subito mal digerito tale “affronto”, ma ha atteso pazientemente alcune settimane prima di mettere in atto le proprie ritorsioni, sfruttando anche la rabbia per i discutibili tweet di Trump sul “virus cinese” per giustificare la propria decisione.
Molti osservatori credono che il Governo cinese punti a impedire completamente l’accesso dei propri cittadini ad un’informazione esterna o indipendente, soprattutto ora che l’epidemia ha messo parzialmente in discussione la legittimità politica del regime. Ciò è accompagnato anche dalle accuse cospirazioniste agli USA di aver creato e diffuso il coronavirus per colpire il popolo cinese, promosse persino da figure istituzionali come Lijian Zhao, portavoce del Ministero degli Esteri. Le affermazioni di Zhao hanno provocato l’ira del Dipartimento di Stato statunitense, che ha convocato nei giorni scorsi l’ambasciatore Cui Tiankai per chiedere spiegazioni sul comportamento del suo Governo. Inoltre l’amministrazione Trump non esclude nuove misure contro gli organi di stampa cinesi dopo l’espulsione di ieri dei propri giornalisti in Cina.
Insomma, nel bel mezzo di una pandemia e di una crisi economica globale, le due superpotenze non trovano di meglio che aprire un nuovo fronte della loro “guerra fredda”, aggravando le difficoltà di un sistema internazionale già sotto considerevole stress.
Simone Pelizza
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