In 3 sorsi – Trump punta alla rielezione e i democratici si muovono in ordine sparso. Sulla tragedia di New York l’indecisione iniziale di Cuomo oscura quella di Trump, il quale continua l’attacco ai Governatori e alla Cina – strategia che nel lungo periodo potrebbe pagare, perché Pechino piace sempre meno agli americani. La ripresa economica americana sarà faticosa, ma, forse, più performante di quella cinese.
1. USA ANCORA NEL CAOS
I Democratici cercano frettolosamente simboli anti-Trump, prestando il fianco a situazioni sconvenienti.
Non ha aiutato fare blocco dietro ad Andrew Cuomo, specie ora che si vuole accusare – a ragione – il Presidente di aver fatalmente tergiversato sulla questione Covid-19. Cuomo, a metà marzo, si rifiutava di mettere New York in quarantena, salvo rimangiarsi tutto mentre ormai aumentavano le vittime. Così, mentre Trump resiste sul bailout di New York che fa discutere tutto il Paese, la furia di Cuomo e De Blasio appare poco giustificata.
Nel frattempo, mentre su Biden (che alle spalle ha due presidenziali fallite) spuntano già le accuse di molestie e i sospetti più o meno strumentali di degrado cognitivo, Trump ignora la discesa nei sondaggi e continua l’offensiva verso i Governatori con la foga di chi vede nel caos un prezioso alleato: non solo Washington, Michigan, Minnesota e Virginia, ma anche la Georgia repubblicana: il Presidente spara ad alzo zero.
Chi si rincuora dei sondaggi tenga a mente che Trump si è ripreso da approval ratings ben più bassi e che buona parte dei poll, alla vigilia della sua vittoria su Hillary Clinton, lo davano per spacciato.
Fig. 1 – Una recente ricerca del Pew Research Center mostra la crescente diffidenza del popolo statunitense verso la Cina
2. LA CINA NON PIACE AGLI AMERICANI
Che l’americano medio già non avesse un’opinione positiva della Cina è ampiamente documentato. Mai come ora, però, gli americani vedono in Pechino un nemico. A mal sopportare la Cina è una maggioranza trasversale alle categorie, quasi politicamente super partes.
Durante le primarie democratiche si è parlato di Cina in termini di containment: lo stesso Biden ha dimostrato di saper cogliere lo zeitgeist, riferendosi non soltanto a commercio e proprietà intellettuale, ma anche a Hong Kong e alla situazione degli uiguri nello Xingjiang.
L’immagine della Cina, inoltre, non è favorita dallo stile comunicativo dei suoi portavoce, che fanno perno sulla retorica globalista classica caratterizzante la narrativa della Via della Seta (e il recente “spin off” della “via della salute”), salvo poi ricorrere alle minacce se da più parti si preme per la famigerata indagine sulle origini della Covid-19 e le responsabilità cinesi. Di recente ha fatto scalpore il caso del Primo Ministro australiano Scott Morrison, che ha definito “entirely reasonable and sensible” l’idea di un’indagine indipendente. La risposta cinese, nelle parole dell’Ambasciatore a Canberra Jingye Cheng, è stata: “I cinesi potrebbero decidere di non comprare più prodotti australiani, non visitare più l’Australia per turismo, oppure non mandarvi più i figli a studiare”.
Fig. 2 – L’indagine del Pew Research Center mostra anche come la diffidenza degli statunitensi verso Pechino sia egualmente condivisa da Democratici e Repubblicani
3. IN PENTOLA BOLLE UNA GUERRA FREDDA
Mentre sale la tensione a fronte delle ripercussioni economiche di lungo periodo della pandemia, la Cina “che non piace” è un bersaglio perfetto per distogliere l’attenzione dalle negligenze della Presidenza USA. Se effettivamente le imprese americane in Cina rientreranno seguendo il decoupling economico, Trump traghetterà gli USA post-Covid in una ripresa faticosa, ma, forse, più performante di quella di Pechino, che fa i conti con un calo di popolarità e la necessità di riformare parti importanti del proprio sistema economico, emersa prima dell’epidemia.
A un pubblico sempre meno affezionato ai consessi internazionali, Trump offre uno schiaffo all’OMS, un muso duro sugli accordi bilaterali pre-Covid (che quest’anno Pechino difficilmente potrà onorare) e una collezione di semplici, ma efficaci sospetti, in barba ad Anthony Fauci e alla comunità d’intelligence statunitense.
Oltre al rinforzo delle tariffe, si ipotizzano altre soluzioni per “punire” Pechino, tra cui fare leva sul debito americano in mano alla Cina, soluzione poco praticabile date le ripercussioni finanziarie globali. Difficile sarebbe anche rivalersi sugli asset cinesi negli USA, specie quelli soggetti al diritto diplomatico: diversamente da quando si fece con l’Arabia Saudita post-11 settembre, l’assenza di prove certe di una colpevolezza cinese creerebbe un precedente tale da rendere vulnerabili anche gli asset statunitensi all’estero.
Federico Zamparelli
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