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Cristiani nel mirino

Sessanta cristiani uccisi in una chiesa di Baghdad da un gruppo di terroristi legati ad Al-Qaeda. Un evento che, come molti altri, passa quasi sotto silenzio dalle nostre parti ma che rivela la difficoltà dei cristiani nel nuovo Iraq. Ecco perchè l'integralismo islamico rischia di prendere piede in società frammentate come quella irachena.

Da: Centro di Formazione Politica

LA TRAGEDIA – Una tragedia che si sarebbe potuta evitare, questo l’unico commento possibile al massacro di sessanta iracheni di fede cristiana nella chiesa di Saiydat al Nayat a Baghdad. Un attacco in piena regola, organizzato da tempo e scattato inesorabile, nonostante ci fossero da mesi segnali di pericolo. I terroristi, appartenenti al braccio iracheno di Al Qaeda denominato Stato islamico dell’Iraq, hanno fatto esplodere un’autobomba all’esterno della chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso, per poi fare irruzione all’interno del luogo di culto e prendere in ostaggio un centinaio di fedeli riunitisi per la messa domenicale. L’intervento delle forze di sicurezza ha scongiurato una carneficina, ma restano molti dubbi rispetto a quanto accaduto. In primo luogo, non si è capito come abbia fatto il commando ad entrare nella chiesa praticamente senza incontrare resistenza, dato che l’edificio avrebbe dovuto essere presidiato dalle forze di sicurezza in quanto considerato obiettivo sensibile. Secondariamente, è impossibile non chiedersi perché siano stati praticamente ignorati molti dei segnali di pericolo negli ultimi mesi. Le maggiori comunità cristiane si trovano nella zona della capitale e nelle province nel nord. Kirkuk, Irbil e Mosul ospitano infatti ancora oggi molte famiglie cristiane rimaste in Iraq nonostante le feroci repressioni perpetrate da Saddam Hussein. Durante il periodo della dittatura, il regime dell’ex leader baathista avrebbe costretto più di 150 mila cristiani iracheni ad emigrare, la maggior parte verso Stati Uniti e Canada, per sfuggire alle persecuzioni. La situazione sembrava essere cambiata dopo il secondo intervento statunitense, tanto che molti cristiani decisero di rientrare in Iraq dopo essersi rifugiati in Giordania durante la guerra. La speranza di una convivenza pacifica non era quindi scemata del tutto. In millenni di storia i musulmani iracheni hanno sempre avuto buoni rapporti con le minoranze cristiane, il vero problema al momento sono quelle formazioni islamiche legate ad Al Qaeda o guidate da imam estremisti che cercano di fomentare la lotta tra i diversi gruppi che si contendono il potere nel paese mediorientale.

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LA SITUAZIONE DEI CRISTIANI – L’odio religioso è infatti uno dei modi per nascondere la guerra latente tra le diverse tribù, che si combatte ogni giorno nelle strade per assicurarsi il controllo del paese. I cristiani hanno sempre convissuto pacificamente con i musulmani, ma i vari gruppi etnici e religiosi non si sono mai integrati realmente. Era il regime di Saddam Hussein a garantire l’unificazione della società con la violenza e la paura: alla caduta del dittatore si è quindi aperta una lotta spietata per il potere che rischia di cancellare le minoranze. Non avendo milizie per l’autodifesa, i gruppi cristiani sono quelli maggiormente esposti al rischio di attentati e al momento il governo di Baghdad non sembra essere in grado di garantire la sicurezza minima alle comunità sparse in tutto il paese. Monsignor Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha dichiarato che i cristiani rischiano di essere vittime del caos che regna in Iraq da qualche mese a questa parte e ha attaccato duramente l’esecutivo iracheno, incapace di controllare la situazione. Come detto in apertura, secondo molti osservatori sarebbe pronto un esodo di massa dei cristiani iracheni. Verso l’Europa o gli Stati Uniti, perché nella regione esistono pochissime realtà pronte ad accogliere comunità di immigrati che non siano di fede musulmana. In molti paesi del Medio Oriente i cristiani sono infatti considerati cittadini di seconda classe, discriminati a livello lavorativo e sociale. In Libano, ad esempio, le maggiori discriminazioni riguardano l’accesso alle funzioni pubbliche, anche se la libertà di culto non è mai stata messa in discussione.

GLI SCENARI – La situazione irachena appare invece profondamente diversa. Al Qaeda in Iraq ha fatto sapere che tutti i cristiani sono obiettivi legittimi, un monito che lascia presagire scenari inquietanti. Il rischio maggiore è che in tutta l’area del Medio Oriente allargato l’islamismo estremista diventi l’elemento in grado di compattare tessuti sociali attualmente frammentati, realtà in cui i governi centrali non riescono a far fronte a spinte centrifughe sempre più forti. Se un tempo era l’arabismo il collante tra i diversi gruppi etnico-tribali, ora sembra essere l’appartenenza all’Islam a determinare l’identità di molte nazioni. Rispetto al passato, quindi, l’Occidente dovrà essere in grado di modificare il proprio approccio alle questioni che interessano realtà lontane così come quelle più vicine. L’Islamophobia è un lusso che non possiamo permetterci, soprattutto se è figlia di quell’intolleranza latente che permea molte delle società occidentali.

Simone Comi

[email protected]

 

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