Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Nel secondo semestre 2014 l’Italia assumerà la Presidenza dell’Unione Europea, per la prima volta dall’adozione del Trattato di Lisbona nel 2009. Questo fattore è spesso evocato in Italia come un ostacolo insormontabile per eventuale crisi di governo: infatti, un esecutivo per gli affari correnti, sprovvisto quindi di pieni poteri, come potrebbe dirigere l’Unione? E anche se in teoria potrebbe farlo, quale sarebbe la credibilità, e quindi l’efficacia di tale presidenza?
UNA PRESIDENZA “MONCA”? – Per verificare la correttezza di tale affermazione, dobbiamo capire in cosa consiste esattamente la presidenza europea nel contesto istituzionale post – Lisbona. L’ultimo esempio di presidenza “monca”, cioè ostentata da un paese il cui governo gestiva solo gli affari correnti, è quella belga del secondo semestre 2010, portata avanti interamente dal governo dimissionario di Yves Leterme, che in realtà avrebbe continuato a dirigere il Belgio fino al dicembre 2011, quando finirono i 541 giorni di negoziati successivi alle elezioni politiche belghe del giugno 2010. Quella presidenza dovette affrontare le sequele della crisi greca (primo bailout maggio 2010), il successivo intervento per l’Irlanda (novembre 2010)e il processo di preparazione del meccanismo di stabilità, approvato nel gennaio 2011. Interessante notare che la provvisorietà del governo belga ebbe pochi effetti su queste importanti questioni: eventuali ritardi o manchevolezze nell’approccio europeo alla crisi economica possono essere attribuiti a molti fattori, ma di certo non all’eventuale debolezza della presidenza belga in quel momento di grande difficoltà.
Nel quadro istituzionale di Lisbona, esiste un presidente dell’Unione, Herman Van Rompuy, che dà continuità all’azione della presidenza, superando i limiti della semestralità del sistema precedente. E la presidenza rotatoria UE ha perso un’importante funzione che esisteva prima di Lisbona, quella della rappresentanza internazionale dell’UE nei rapporti con i partner del blocco europeo, per esempio la presidenza dei vertici con Usa, Russia, Cina etc. Tale funzione è stata assorbita dalla presidenza permanente e dalla nuova funzione di alto rappresentante per la politica estera e di difesa comune, attualmente coperto dalla britannica Catherine Ashton. Tale cambiamento ha implicato anche la trasformazione delle Delegazioni UE in missioni diplomatiche a parte intera, divenute definitivamente ambasciate incluse nella “lista diplomatica” (elenco delle missioni diplomatiche accreditate in un paese e non più, com’era ancora il caso in alcuni paesi, tra gli organismi internazionali). L’ambasciatore UE oggi rappresenta l’UE in permanenza in un paese terzo, mentre fino al dicembre 2009 lo faceva l’ambasciatore della presidenza di turno.
IL RISCHIO DI UN DOPPIONE – La perdita della dimensione esterna e la presenza d’un presidente permanente hanno quindi molto ridotto le prerogative di quella semestrale, che in tutta coerenza avrebbe dovuto essere eliminata dal Trattato di Lisbona, pur rimanendo, con buona pace della trasparenza instituzionale, il Consiglio UE e il Consiglio Europeo due istituzioni distinte. Il suo mantenimento, dovuto a un atteggiamento conservatore da parte degli stati membri dell’UE, desiderosi di mantenere un ruolo di certa visibilità di fronte alle proprie opinioni pubbliche, ha di fatto creato un doppione abbastanza vuoto di contenuti concreti. Il ragionamento seguito è che si voleva che tutti gli attuali membri dell’UE post – allargamento potessero avere almeno una volta la presidenza UE, che ha un notevole effetto di mobilitazione pro – europea all’interno del paese. In questo nuovo quadro istituzionale, nel quale tra l’altro i vertici si tengono ormai solo a Bruxelles, il ruolo della presidenza semestrale si limita alla presidenza delle sessioni ministeriali del consiglio e alla facoltà di proporre alcuni temi di particolare interesse all’agenda del consiglio UE. In realtà, gli obiettivi raggiungibili in sei mesi sono davvero pochi, questa la ragione per cui la Costituzione prima e Lisbona poi introdussero la presidenza pluriennale. Per esempio, la tanto criticata lentezza delle istituzioni UE nell’approvare decisioni per affrontare la crisi economica sarebbe stata ancora superiore se l’UE fosse stata diretta da presidenze semestrali e non da un abile mediatore come Herman Van Rompuy.
TOCCA ALLA GRECIA… – L’attuale presidenza greca ha proposto come priorità i seguenti temi: 1. Crescita – lavoro – coesione; 2. Ulteriore integrazione dell’eurozona; 3. Migrazioni – frontiere- mobilità; 4. Politiche marittime. La quarta è chiaramente un interesse specifico greco, dato che tocca il principale settore economico del paese, mentre le prime tre sono priorità che difficilmente potrebbero mancare qualunque fosse il paese presidente. Quindi possiamo dire che la presidenza greca è caratterizzata dal tema marittimo, gli altri sono obbligatori. In continuità con quella greca, la presidenza italiana concentrerà’ i propri sforzi sul Mediterraneo e le migrazioni, in particolare sulla necessità d’implicare maggiormente i paesi dell’UE non rivieraschi nello sforzo di contenimento dell’emergenza sulla frontiera meridionale dell’UE; la lotta alla disoccupazione e più in generale, una maggiore attenzione alla problematica della crescita rispetto al rigore nell’approccio alla crisi; il perfezionamento dei meccanismi dell’eurozona.
…E POI A NOI – Un fattore che pero condizionerà tantissimo la presidenza italiana è la rotazione di tutte le alte cariche comunitarie nel periodo successivo alle elezioni europee del 25 maggio 2014. Per la prima volta nella storia dell’UE, tali nomine (Presidente UE, Presidente Commissione, Presidente Parlamento, alto rappresentante politica estera) sono sincronizzate. Siccome è molto difficile immaginare lo scenario successivo alle elezioni europee, nelle quali si prevede un consistente aumento, anch’esso per la prima volta, di consensi per forze anti – integrazione o fortemente critiche dell’attuale modello europeo, non è chiarissimo quali saranno i tempi per l’accordo politico che porterà al rinnovo di tali cariche: ma in ogni caso l’accordo complessivo dovrà essere raggiunto durante la presidenza italiana. Il presidente della Commissione sarà il leader europeo della forza politica più votata il 25 maggio in Europa, Martin Schulz del PSE o un conservatore ancora non identificato, ma ai governi europei spetterà la nomina del successore di Van Rompuy e di quello della Ashton. Il “pacchetto” di nomine dovrà tenere conto degli equilibri politici evidenziatisi nelle elezioni europee, di quello tra generi e nazionalità d’origine delle alte cariche (difficile non immaginare almeno una donna, se non due, e almeno una delle cariche più importanti per un paese dell’est europeo), oltreché’ dell’eventuale peso degli euroscettici, che non si sa bene come influenzerà tali scelte. Non è molto chiaro che ruolo la presidenza rotatoria possa avere davvero nella soluzione di tale rebus. Di certo l’Italia non può proporre propri candidati, disponendo già di Mario Draghi alla BCE.
Il ruolo della presidenza di turno potrebbe in definitiva essere di semplice facilitazione della decisione, senza però un vero peso specifico. In ogni modo, pausa d’agosto, transizione in attesa delle nuove nomine e periodo di rodaggio dei nuovi vertici eroderanno la pratica totalità del semestre. Sbagliato quindi illudersi circa i “miracoli” della presidenza italiana: con tutti i paletti esposti sopra, rimane ben poco spazio per l’ottenimento di risultati significativi.
(Continua)
Stefano Gatto