Dopo il Cairo e la cacciata di Mubarak, sono iniziate proteste anche a Teheran, Isfahan e altre città iraniane, chiedendo che ad andarsene sia Ali Khamenei. Iran come Egitto dunque? Prima di lasciarsi prendere da facili entusiasmi, è bene ricordare alcune importanti differenze. Il regime degli ayatollah non è come quello del “faraone” Mubarak.
MEDIA – La rivolta in Egitto ha riscosso una grande popolarità e ha avuto una grande pubblicità mediatica grazie, appunto, ai media come Al Jazeera e agli inviati esteri sul posto. Ma l’Iran mantiene un controllo molto più stretto sulle telecomunicazioni, impedisce ai reporter di seguire le rivolte e agisce più aggressivamente su Internet. Con una minore copertura degli eventi, il regime può permettersi una risposta più forte e feroce.
PUGNO DI FERRO – In Egitto i militari non hanno affrontato i protestanti e hanno impedito un forte spargimento di sangue. In Iran l’esercito viene estromesso e le funzioni anti-rivolta affidate ai Pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione) e ai Basiji, le forze paramilitari antisommossa fanaticamente fedeli al regime e autorizzate a metodi più violenti. Come durante la “rivolta verde” in seguito alle ultime elezioni presidenziali, sono da prevedersi arresti di centinaia di persone, processi sommari ed esecuzioni (sono avvenute numerose anche in gennaio) e in generale il tentativo di spegnere la rivolta tramite l’uso di un pugno di ferro. Per quanto i protestanti potranno resistere a ciò?
ESERCITO  – Sempre in Egitto è stato l’esercito l’ago del bilancia perché, controllando buona parte dell’economia e avendo forti interessi con l’Occidente, ha ritenuto più vantaggioso sacrificare Mubarak per mantenere il controllo e gestire a proprio modo l’eventuale transizione verso la democrazia. In Iran tale assioma non è altrettanto valido. I Pasdaran mantengono il controllo su buona parte dell’economia proprio grazie al regime attuale, dunque un cambiamento provocherebbe una loro notevole perdita di potere. Esiste inoltre una componente di fanatismo religioso nei ranghi tale da rendere difficile prevedere una spaccatura tra soldati e ufficiali. L’esercito iraniano tradizionale invece è più vicino alle posizioni riformiste, ma negli anni è stato progressivamente estromesso e posto in condizione di inferiorità tecnica e operativa. I Pasdaran inoltre controllano le installazioni vitali del paese e sono gli unici presenti nelle città chiave, come la capitale.
OPPOSIZIONE INTERNA – L’istituzione iraniana è sostanzialmente un treppiede, come abbiamo già descritto in passato. Attualmente due delle gambe, gli ultraconservatori e i conservatori, sono strettamente legati e l’opposizione riformista è generalmente estromessa e ridotta all’impotenza. Si può prevedere un qualche sconvolgimento solo se una parte considerevole dei conservatori – che pur non rinnegando la natura islamica della repubblica sono più disposti ad aperture verso l’esterno e verso la modernità , pur senza eccessi – decidesse di appoggiare il cambiamento e, così facendo, cercasse di guidarlo senza che si verifichi una vera rivoluzione. Gli attuali leader dell’opposizione, Karroubi (foto) e Mousavi appartengono proprio a questa fascia e tale potrebbe essere il loro cammino, ma finora hanno avuto ancora troppo poco appoggio. Esistono tuttavia due elementi che potrebbero giocare a loro favore, e a favore della rivolta.
I BAZARIJ – La rivoluzione Khomeinista ha avuto successo grazie alla grande partecipazione dei Bazarij, gli uomini dei Bazar che di fatto controllano gran parte delle attivitĂ commerciali. Una loro adesione in massa non solo aumenterebbe notevolmente la quantitĂ di protestanti – le poche migliaia ora registrate sono lontane dalle centinaia di migliaia o milioni in Egitto – ma soprattutto contribuirebbe a bloccare la giĂ fragile economia del paese in maniera forse decisiva.
IL CLERO – Altro elemento è la divisione all’interno del clero sciita. Ali Khamenei è mal visto da buona parte del clero (soprattutto quello nella città santa di Qom) perché è un Ayatollah di grado minore salito al potere per via politica. In termini a noi più comprensibili, è come immaginare un parroco (o un vescovo ausiliare, o di una piccola diocesi) che viene fatto Papa grazie a legami politici piuttosto che alle sue capacità pastorali. Lo stesso Khomeini decise di cambiare la costituzione perché potesse succedergli qualcuno che possedesse soprattutto abilità politiche. Gran parte del Clero disprezza invece tale visione e ritiene che solo un Marja-e-Taqlid (ovvero, in breve, la fonte suprema di esempio religioso sciita, titolo che Khamenei non ha e non riesce a vedersi riconosciuto) possa essere alla guida del paese. Questa disputa può apparire una sottigliezza poco importante, ma in una teocrazia come è l’Iran è un elemento che contribuisce a creare un’influente corrente dissidente. L’unione tra proteste per motivi politici e fondamenti religiosi potrebbe dare ulteriore forza e legittimità alla protesta.
E’ ancora presto per vedere i risultati, se ce ne saranno, della rivolta iraniana. Tuttavia per meglio capire gli eventi, non possiamo dimenticare questi punti.
Lorenzo Nannetti