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Terrorismo, separatismo e confini della governance in Cina

Miscela Strategica – La Repubblica Popolare Cinese diventerà effettivamente una Repubblica del popolo, a sovranità popolare e con un sistema multipartitico negli anni a venire. Sarà certo l’ennesimo traguardo che la superpotenza cinese raggiungerà. Il prezzo da pagare, però, se non si fa attenzione a gradualizzare il passaggio, potrebbe essere lo scadimento della sicurezza interna e la degenerazione di conflitti a sfondo etnico che stanno già proponendo esiti inquietanti. Stiamo parlando del graduale abbandono da parte dell’esercito popolare di Liberazione delle terre di confine come lo Xinjiang e lo Yunnan e degli episodi connessi. 

XINJIANG E YUNNAN – Il primo marzo un gruppo di assalitori all’arma bianca (coltelli, scuri e machete), probabilmente musulmani, ha compiuto una vera e propria carneficina nella stazione ferroviaria di Kunming nello Yunnan. Sono state barbaramente uccise 29 persone e ferite 140. L’evento, mostruoso e scioccante di per sé, ha colpito l’opinione pubblica cinese e suscitato dichiarazioni di cordoglio internazionali. L’azione sembra essere stata perpetrata da soggetti del gruppo etnico degli Uiguri, popolazione non appartenente alla maggioranza cinese Han, che ha da sempre dato vita a instabilità nello Xinjiang e nella Provincia dello Yunnan (regioni dell’Ovest, adiacenti al Tibet e caratterizzate da situazione di criticità etnico-religiosa sino dal 1949). Nello Xinjiang l’attuale rappresentanza etnica uiguri si attesta attorno al 43% circa, connotandosi quindi come maggioranza relativa accanto al 41% circa degli Han. La presenza di questa componente turcofona è stata percentualmente limitata negli anni dalla fortissima e invasiva politica di sinizzazione del Partito, in particolare nel 1966-1969, con la Rivoluzione culturale, e tra il 1978 e il 1997 per le migrazioni indotte dalla politica di apertura e riforma delle Quattro Modernizzazioni di Deng Xiaoping. La reazione del Governo centrale, sebbene nella vacanza di una rivendicazione, si è rivolta contro i gruppi estremisti islamici, e in particolare la formazione Kurban. Al di là dell’atrocità del massacro, i dati inquietanti sono due: i terroristi uiguri hanno colpito tranquillamente al di fuori della regione autonoma dello Xinjiang, nella Provincia cinese dello Yunnan, e hanno perpetrato un attentato che per gravità e grandezza è stato definito dall’agenzia Xinhua «l’11 settembre cinese». Le motivazioni dei killer di Kunming probabilmente non saranno mai conosciute, ma la paura dell’estremismo e del terrorismo colpisce nuovamente al cuore l’impero cinese. Le libertà dell’etnia uigura, già limitate in particolari periodi come il Ramadan e in settori sensibili, come l’istruzione, saranno ancora più colpite e questo potrebbe condurre all’inasprimento delle tensioni, a una maggiore ostilità. Eppure l’indicatore vero e proprio sul quale ci si deve concentrare inizialmente è l’attentato in sé, che attacca il cuore morale della Cina con lo shock di una violenza inaudita e mai perpetrata nel suo territorio – da parte di un attore non statale – dalla nascita della Repubblica popolare. L’episodio va collegato inoltre all’auto carica di liquido infiammabile lanciata contro la folla nel cuore fisico dell’impero il 28 ottobre 2013, e alle oltre 200 vittime causate dagli scontri etnici nella capitale della regione Urumqi nell’anno 2013. Insomma, la Cina è sotto attacco e questo attacco parte anche dalla strada verso la democrazia che il Partito ha intrapreso sempre più dall’epoca di Jiang Zemin, ormai inevitabile da quel lontano 5 giugno 1989 che la storia ricorda come un momento focale (piazza Tienanmen).

Una guida uigura mostra la posizione dello Xinjiang. Notare le scritte in arabo, anziché in cinese
Una guida uigura mostra la posizione dello Xinjiang. Notare le scritte in arabo, anziché in cinese

L’INSTABILITĂ€ SOCIALE NELLA STORIA – Nell’opera del celebre studioso della foreign policy cinese, Alastair Iain Johnston, piĂą volte viene indicata l’instabilitĂ  sociale, dovuta agli stereotipi razziali interni, come una delle piĂą importanti influenze nella visione dei decision-makers cinesi. In particolare in politica estera, è evidenziato che il comportamento e le decisioni del gruppo dirigente del Partito sono state spinte, unitamente alle cardinali problematiche di sovranitĂ  e integritĂ  territoriale (precedenti e antecedenti il primo ottobre 1949, data della proclamazione della Repubblica popolare) da questioni razziali. L’etnia cinese Han, depositaria della cultura dell’Impero di Mezzo è caratterizzata da una forte identitĂ  culturale e tradizionale che tende a sfociare in un senso di appartenenza etnica molto forte. In particolare abbiamo visto che lo Xinjiang (regione autonoma della Cina insieme a Mongolia interna, Tibet, Guangxi e Jiangxi) viene da una storia di grandezza che affonda le sue radici nell’espansione a est dell’Impero selgiuchide. La forte identitĂ  etnica e religiosa è stata altresì utilizzata da chi ha interesse ad allontanarsi dall’orbita di Pechino e a collegarsi con le realtĂ  islamiche estremiste dell’Asia centrale (le Repubbliche ex-sovietiche per intendersi) e che, chiaramente, raccolgono anch’esse le istanze dell’appartenenza etnica al ceppo turcofono. La Cina nel 1996, proprio per accentrare sotto un coordinamento multilaterale i problemi di governance della regione centroasiatica, creò l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Gli Stati appartenenti sono Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Russia, con l’esclusione quindi del Turkmenistan (per la sua troppo forte affiliazione alle etnie turcofone) e con il coinvolgimento contrafforte e sempiterno dell’alleato Pakistan (come osservatore, per l’importanza del suo ruolo di Stato islamico).

Forze dell'ordine cinesi in assetto antisommossa in Xinjiang
Forze dell’ordine cinesi in assetto antisommossa in Xinjiang

CHI SONO I TERRORISTI CINESI – Il gruppo di riferimento del terrorismo di matrice islamica in Xinjiang è l’East Turkestan Islamic Movement (ETIM), che ebbe forti legami con i network internazionali del terrorismo (segnatamente al-Qaida) a partire dal 1997. Come documentato da Le Blanc (autore di studi sul fenomeno terrorismo), per esempio nel suo articolo Chinese Muslim Radicals, il leader riformatore del gruppo Mahsum insieme ad Abdukadir Yapuquan, nel 1998, creò legami ideologici e fisici con al-Qaida trasferendo alcune facilities del gruppo presso il regime dei Taliban e nelle Federally Administered Tribal Areas del Pakistan. L’ETIM ha quindi partecipato a vario titolo alla guerra di insorgenza nell’area Afghanistan-Pakistan. Nel settembre 2001 in particolare, le AutoritĂ  cinesi dello Xinjiang sembravano essere addirittura sollevate dal fatto che il fenomeno terrorismo sembrava essersi rivolto all’Asia centrale e la situazione era definita addirittura «la migliore di sempre». Poi l’11 settembre e con esso il doloroso risveglio: il terrorismo si era organizzato in network e fatto globale. La guerra sostenuta in Afghanistan è stata dura per il movimento, che nel 2003, in un combattimento nell’Area Tribale del Waziristan del Sud, ha perso il proprio capo Mahsum e due importanti centri di addestramento e reclutamento, leggasi madaris. Adesso però la guerra è finita, e i combattenti stanno tornando a casa, dove trovano un regime in transizione verso una democrazia e un Esercito popolare di Liberazione in ridimensionamento, che sembra un’occasione quanto mai facile per perseguire i propri obiettivi di destabilizzazione e sovversione.

INDICATORI A CONFRONTO – Con la limitazione e modernizzazione dell’Esercito popolare di Liberazione cinese (la cui presenza è sempre forte in Xinjiang), sicuramente vi sarĂ  un temporaneo allentamento della tensione impressa dal sistema al terrorismo. Il tutto si contestualizza nel cammino verso la democratizzazione politica che è stato intrapreso ufficialmente con il White Paper del 19 ottobre 2005 e che dovrebbe condurre la Repubblica popolare a divenire un sistema multipartitico a tutti gli effetti nel 2021. La Cina è quasi sempre riuscita a portare a termine i programmi progettati e propinati dal Comitato Centrale del Partito: dalla Riconquista della SovranitĂ  nazionale nel 1949-1954, ai suoi ormai dodici piani quinquennali, dalla famigerata e tragica Rivoluzione culturale del 1966-1969 alle Quattro Modernizzazioni di Deng Xiaoping (agricoltura scienza, tecnologia e industria militare). Il progresso e la modernizzazione sono però avvenuti talvolta con risultati deludenti e a un prezzo molto alto. In questo caso il prezzo comprende lo scadimento della sicurezza. Gli indicatori parlano chiaro: circa 150 atti terroristici nel 2011, 190 nel 2012, e oltre 210 nel 2013 (conteggiando gli attentati nello Xinjiang o legati agli uiguri). Ma quello che pesa di più è l’attacco a piazza Tienanmen: non si era mai arrivati nel cuore dell’Impero. L’azione a Pechino e la strage di Kunming combinate hanno dunque rappresentato l’11 settembre della Cina? La risposta è controversa: forse sì o forse non ancora. Il cammino della Repubblica popolare non sembra aver subito deviazione alcuna a livello programmatico, ma l’ultimo attentato ha aperto un nuovo filone di domande sul futuro della governance cinese che non hanno ancora trovato risposta.

Francesco Valacchi

 

Le regioni critiche di Xinjiang e Yunnan evidenziate sulla mappa della Cina.
Le regioni critiche di Xinjiang e Yunnan evidenziate sulla mappa della Cina.

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Francesco Valacchi
Francesco Valacchi
Nato a Siena nel 1980, laureato in Scienze Strategiche nel 2004 presso l’ateneo di Torino ed in Studi Internazionali presso quello di Pisa nel 2013. Abita a Livorno.
E’ appassionato di geopolitica e strategia, dottorato e cultore della materia presso l’UniversitĂ  di Pisa.
Passa il suo scarsissimo tempo libero leggendo di geopolitica, scrivendo di geopolitica, saltando fuori da aerei perfettamente funzionanti ed insegnando a farlo, e arrampicandosi sulle montagne.

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