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Lo stato della democrazia in Africa – III

Terza e ultima puntata del nostro focus speciale. Dopo il contesto generale e il quadro storico, e dopo l'analisi ricorrente di alcune problematiche (alternanza, ricerca dell'uomo forte, divisione dei poteri, fattori etnici, ruolo delle ex-colonie), è il momento di alcuni esempi concreti, sia positivi che negativi. Se in diversi Paesi si registrano passi in avanti significativi (tra gli altri, la prima donna al governo, in Liberia), permangono ancora molte zone d'ombra, tra cui i casi di Zimbabwe e Costa d'Avorio appaiono paradigmatici. E in conclusione, quale futuro per la democrazia in questo continente?

(Segue. Clicca qui per leggere la prima e la seconda puntata)

PROGRESSI RECENTI – A partire dagli anni Novanta, diverse cose sono cambiate per il meglio, pur rimanendo aperte le complesse questioni di fondo cui abbiamo accennato sin qui.

In alcuni casi, il principio dell’alternanza tra governo ed opposizione ha cominciato a farsi strada: il primo caso fu quello del Senegal (2000), quando l’uscente Abdou Diouf accettò la sua non rielezione a favore dell’oppositore di sempre (Wade), al potere da due mandati ma che ora culla l’idea di farsi succedere dal proprio figlio Karim (gli oppositori spesso cambiano idea quando divengono forza di governo).

Seguirono poi altri casi positivi d’alternanza, normale in altri contesti ma felici novità in Africa: Benin, due volte il Ghana (2000, vittoria dell’opposizione, 2008 ritorno al potere del partito precedentemente sconfitto in elezioni decise per strettissimo margine ma non contestate). In tre occasioni (Mali, Ahmadou Toumani Touré, 1991), Mauritania (Vall 2005) e Guinea (Kounatè) si sono registrati dei casi di colpi militari che al termine di corti periodi di transizione sono sfociati in elezioni libere nelle quali i golpisti non si sono presentati. In Mali, Ahmadou Toumani Touré ritornò al potere mediante elezioni sono anni più tardi, circondato da un’aureola di salvatore della democrazia. Nel caso della Mauritania, purtroppo, la presidenza di Abdallahi fu presto disarcionata da un altro colpo di stato militare, quello di Abdelaziz nel 2008, successivamente legittimato da elezioni cui purtroppo il golpista si presentò.

In Liberia e Sierra Leone, paesi distrutti da tremende guerre civili, si sono svolte elezioni ragionevolmente trasparenti che hanno portato al potere presidenti civili (in Liberia, la prima donna presidentessa africana, Ellen Johnson Sirlaef).

Le elezioni nigeriane del 2005 furono una buona notizia, ma quelle successive furono purtroppo molto meno limpide, dimostrando che il progresso della democrazia non è esente da possibili marce indietro. Alcune elezioni recenti sono state particolarmente significative, e non sono state necessariamente portatrici di buone notizie.

OMBRE RECENTI – In Kenya, Paese nel quale era avvenuta nel 2002 una transizione indolore, l’ex–oppositore Kibaki fece di tutto per farsi rieleggere nel 2007. La sua frettolosa proclamazione come vincitore a conteggio non ancora finalizzato e in presenza di margini strettissimi nei confronti del suo oppositore Odinga, che avrebbero consigliato maggiore prudenza, provocò un inizio di guerra civile, in seguito bloccata per la mediazione di un gruppo di esperti internazionali, che consigliò al Paese l’adozione di una riforma costituzionale che creasse un posto di primo ministro da assegnare allo sconfitto. I risultati dell’elezione non erano chiari, e nella confusione succeduta alla proclamazione di Kibaki molte schede furono bruciate, rendendo impossibile un riconteggio.

In Zimbabwe, nel 2008, il “padre della patria” Robert Mugabe rifiutò d’accettare la sua sconfitta elettorale al primo turno ad opera di Morgan Tsvangirai. Autorità elettorali partigiane dichiararono necessario, in disprezzo d’ogni evidenza, un secondo turno, in attesa del quale i militante dello ZANU di Mugabe si dedicarono ad intimidare (e spesso ad uccidere) i militanti dell’opposizione. Alla fine Tsvangirai si ritirò per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Risultato: un Presidente sconfitto nelle urne riusciva a mantenersi alla presidenza, tra l’altro sostenuto nella sua pretesa dalla maggior parte dei suoi colleghi africani, che rispettano molto l’anzianità al potere ostentata da un Mugabe.

La crisi dello Zimbabwe è tra le più gravi. Il malgoverno di Mugabe, che ha portato il Paese – un tempo prospero – alla bancarotta, è potuto proseguire mediante una riforma costituzionale appoggiata dalla comunità internazionale, che ha offerto allo sconfitto un posto, di fatto onorifico, di primo ministro. Ma come si è già visto, in Africa il potere lo gestisce spesso una sola persona, e immaginare soluzioni sulla carta impeccabili serve a poco, perchè la divisione dei poteri non è di facile applicazione nel continente.

Sostenere soluzioni di questo tipo ha il pregio di evitare sanguinose guerre civili, ma il difetto di assecondare l’idea che comportarsi da prepotenti, frodare e intimidire gli avversari alla fine si traduce nel mantenere in un modo o nell’altro il potere: la prepotenza paga, e non è un bel messaggio. Sarebbe molto meglio appoggiare le democrazie africane introducendo su vasta scala, e non solo come eccezione, il principio sacrosanto dell’accettazione del risultato elettorale, quand’anche fosse di corta misura (le elezioni ghanesi del 2008 sono apparse un buon esempio in merito).

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LA CRISI IN COSTA D’AVORIO – L’attuale crisi della Costa d’Avorio è emblematica rispetto alle ambiguità sin qui mostrate. La crisi ivoriana richiederebbe centinaia di pagine per essere descritta compiutamente, e potrebbe rappresentare bene la complessità africana in tutte le sue dimensioni.

Un Paese stabile e prospero sotto il padre dell’indipendenza Houphouet Bigny, alla sua morte nel 1992, senza successore, entra in una deriva che lo porta alla guerra civile, con conseguente instabilità e decadenza. L’oppositore di sempre Laurent Gbagbo ottiene finalmente, non senza difficoltà, una vittoria elettorale nel 2000. Scaduto il suo mandato nel 2005, la divisione tra nordisti e sudisti si accentua sino al punto di rendere impossibili elezioni sino alla fine del 2010. Il contenzioso è il censimento elettorale in un Paese erede dell’Africa Occidentale Francese e dalle frontiere porose. Il censimento elettorale più lungo e caro della storia avrebbe dovuto portare ad elezioni finalmente limpide. Questa era la speranza di tutti, affinchè la normalità potesse tornare in un Paese dal grande potenziale.

Purtroppo, i risultati del secondo turno del 29 novembre 2010 tra l’uscente Gbagbo ed il suo avversario Ouattara non sono stati accettati dal primo, che nonostante l’evidenza della sconfitta, dichiarata dalle autorità elettorali e certificata da Nazioni Unite e da tutti gli osservatori internazionali, ha rifiutato di lasciare il palazzo presidenziale e, forte d’un pretestuoso controconteggio della Corte Costituzionale a lui asservita, ha proclamato il risultato opposto. Ora la Costa d’Avorio ha due Presidenti e due governi, uno riconosciuto da tutta la comunità internazionale, l’altro detentore del potere di fatto. Per l’ostinazione cieca d’un uomo, il Paese è di nuovo alle porte della guerra civile. Tra l’altro, il voto ivoriano è particolarmente interessante, dato che, in maniera eccezionale, non aveva seguito le linee etniche, sconvolgendo le previsioni del presidente uscente.

CONCLUSIONI – Si sono sin qui analizzate alcune delle caratteristiche che rendono complessa l’applicazione piena della democrazia in Africa. È ovviamente un work in progress, ma non si dovrebbe fare l’errore di dare l’impresa per impossibile ed accettare il ricatto dei prepotenti, interessati a che nulla cambi. In pochi hanno il coraggio di non dichiararsi democratici: appare importante però identificare meccanismi che permettano di sostenere le emergenti democrazie africane (osservazione elettorale, internazionale ma anche nazionale; sostegno ai partiti politici, ai media, al sistema giudiziario, ad autorità elettorali indipendenti, alla società civile; condizionalità della cooperazione al buongoverno e dalle riforme economiche nell’interesse generale). Purtroppo, la crescente influenza cinese in Africa, in cerca di penetrazione economica (materie prime) costituisce un’alternativa che ai leader africani piace, perchè non richiede impegni in termini di democrazia e rispetto dei diritti umani. I buoni esempi, anche se ancora minoritari, non mancano, ed i giovani africani meritano d’essere sostenuti e non scoraggiati, in un’epoca nella quale la gioventù araba ha dato a tutti una grande lezione.

I tempi non sono ancora maturi per una piazza Tahrir africana, ma la democrazia dev’essere il futuro anche dell’Africa, perchè i risultati di cinquant’anni di natura diversa non provano affatto che l’Africa abbia identificato una miglior forma di governo.

(3. fine. Clicca qui per leggere la prima e la seconda puntata)

Stefano Gatto [email protected]

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