Dopo diversi anni di gelo diplomatico i rapporti tra Turchia ed Israele sembrano avviati verso una risoluzione delle dispute attraverso un accordo che prevede la compensazione per le vittime dell’incidente della Mavi Marmara. I tempi sembrano maturi per il miglioramento dei rapporti ma alcuni ostacoli si pongono di fronte ai leader di Turchia, Israele ed autoritĂ palestinesi.
L’ACCORDO –  Pronto da tempo, l’intesa è stata raggiunta e i problemi sono stati superati, ma secondo i turchi sembra che Netanyahu temporeggi. Dal ministro degli esteri DavutoÄźlu al vice-Primo Ministro Arinç sino al capo di governo ErdoÄźan le autoritĂ turche sono concordi, la Turchia è pronta a ricucire lo strappo con lo stato di Israele ma Tel Aviv non è disposta a pagare quanto pattuito.Ricucire i rapporti con Ankara è stato dichiarato dal Primo Ministro Israeliano una prioritĂ essenziale per il governo israeliano ponendo fine al gelo diplomatico che avvolge i due paesi ormai dal lontano 2008.
Alla fine di quell’anno la luna di miele tra i due paesi è stata bruscamente interrotta dall’avvio dell’operazione Piombo Fuso, un’operazione militare condotta nella Striscia di Gaza mirante a distruggere i supporti logistici di Hamas nella Striscia e i tunnel di collegamento con l’Egitto attraverso i quali l’organizzazione palestinese si riforniva di armi e viveri. ErdoÄźan, alterato per non essere stato avvisato dell’imminente operazione (il primo ministro Olmert era stato in visita ad Ankara poche settimane prima) decise di utilizzare la platea del Forum Economico Mondiale per attaccare in maniera virulenta il Presidente israeliano Shimon Peres accusandolo di essere colpevole di un massacro. Il punto piĂą basso della relazione è stato toccato nel 2010 con l’incidente della Mavi Marmara, a seguito del quale le relazioni furono di fatto congelate e rimasero tali sino al Marzo dell’anno scorso quando Netanyahu, dopo il pressing del presidente statunitense, presentò formalmente le proprie scuse per quanto accaduto.
Affinché le relazioni possano riprendere però manca ancora da siglare l’accordo sulle compensazioni, da tempo sul tavolo del Primo Ministro israeliano che sinora non ha apposto la propria firma.
LA TURCHIA NEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE – Per comprendere in maniera chiara le difficoltĂ e le resistenze connesse con la firma di un accordo di pacificazione occorre analizzare la postura assunta dalla Turchia negli ultimi decenni all’interno del conflitto israelo-palestinese. Dal punto di vista storico la Turchia ha sempre mantenuto una posizione piuttosto ambigua all’interno di tale conflitto. Durante la Guerra Fredda le rigiditĂ del sistema internazionale, data la sua adesione alla NATO, hanno posto Ankara nella posizione di amicizia e cordialitĂ nei confronti di Tel Aviv.
Con la fine della Guerra Fredda e la ratifica degli accordi di Oslo, la distensione del conflitto ha avuto come conseguenza il contemporaneo riavvicinamento della Turchia, che all’epoca cominciava il processo di rivalorizzazione delle proprie radici islamiche, alla causa palestinese. Nonostante qualche deviazione durante i governi a guida islamista durante la metĂ degli anni ’90, sempre bilanciate da politiche conservatrici da parte delle forze armate, sino al biennio 2005-2006 la Turchia è riuscita a mantenere un forte legame con lo stato di Israele, precondizione necessaria per la buona riuscita del progetto di ErdoÄźan di porsi come mediatore affidabile nei conflitti mediorientali. Il riconoscimento della legittimitĂ del governo di Hamas nella striscia (2006) da parte di Ankara ha minato per la prima volta in maniera seria i rapporti con Tel Aviv spostando sempre di piĂą l’assetto del paese verso una netta presa di posizione a favore della causa palestinese e creando in questo modo non pochi malumori all’interno del governo israeliano.
LA SITUAZIONE ATTUALE – La situazione odierna vede tutti gli attori coinvolti in uno stato di grandissima difficoltà . Il collasso della politica degli “zero problemi coi vicini” e il proseguimento dello stallo per l’ingresso nell’Unione Europea hanno portato Ankara ad un sostanziale isolamento internazionale in cui la perdita di contatto con Bruxelles non è stata in alcun modo compensata da un riavvicinamento con i paesi mediorientali. Il fallimento della Fratellanza Mussulmana in Egitto, l’incapacità di costruire un legame forte con la leadership tunisina e il protrarsi della crisi siriana hanno reso la Turchia incapace di far sentire la propria voce a livello internazionale. Allo stesso tempo il governo di Hamas nella Striscia si trova in una situazione estremamente complessa dopo l’interruzione dei rapporti che la legavano al Cairo a causa dell’ascesa del Generale Al-Sisi e un indebolimento delle relazioni storicamente consolidate con l’asse sciita costituito, oltre che da Hamas dall’Hezbollah libanese e dalla repubblica iraniana.
SPIRAGLI DI CAMBIAMENTO – Nonostante la difficile situazione diplomatica in cui i vari attori si sono trovati, si profilano all’orizzonte alcuni spiragli di cambiamento. Il riavvicinamento e la stesura dell’accordo finalizzato a fornire una compensazione alla Turchia per il caso della Mavi Marmara avviene con intervento decisivo della diplomazia di Washington, che ha convinto il premier israeliano a ricercare una pacificazione perché Ankara possa tornare ad essere un partner regionale nelle complesse dinamiche mediorientali. Questa necessità si è fatta ancor più stringente a seguito della pacificazione tra la stessa Hamas, leader nella Striscia di Gaza, e l’Autorità nazionale Palestinese guidata da Al-Fatah che detiene il potere in Cisgiordania.
Rompere l’isolamento ed uscire dall’empasse attuale potrebbe rivelarsi una strategia win-win che migliorerebbe la situazione di tutti gli attori coinvolti. Una prima importante conseguenza economica sarebbe fornita dalla possibilità di sfruttare in maniera congiunta i giacimenti di gas del Mediterraneo Orientale (che si estendono soprattutto nelle acque territoriali israeliane e cipriote): proprio la Turchia fornirebbe un corridoio essenziale per la commercializzazione di queste risorse verso il mercato europeo. Inoltre il proseguimento della crisi siriana e l’acuirsi delle tensioni settarie in Iraq pongono in seria difficoltà non solo i leader turchi ed israeliani, ma anche le varie anime che rappresentano i territori palestinesi timorose che il jihadismo possa estendersi alla riva occidentale del fiume Giordano indebolendo il controllo del territorio.
Se le considerazioni appena menzionate indurrebbero Netanyahu ad accelerare i tempi e concludere l’accordo di compensazione con la Turchia, una profonda diffidenza del Primo Ministro israeliano verso il leader dell’AKP invita invece alla cautela. A Tel Aviv esiste infatti la consapevolezza che il riavvicinamento non sarebbe privo di ostacoli e che la retorica islamista adottata spesso da Erdoğan potrebbe rivelarsi come un boomerang per il mantenimento del consenso interno e potrebbe portare un domani al riacutizzarsi delle tensioni. Il dossier posato sulla scrivania del Primo Ministro israeliano cela dietro di sé tantissime speranze e altrettante minacce. L’unica certezza appare essere la consapevolezza che la scelta di Netanyahu, qualunque essa sia, non sarà priva di conseguenze.
Filippo Urbinati