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La Svezia e la NATO dopo l’Ucraina

Il conflitto in Ucraina tra Russia e Occidente ha messo seriamente in discussione la sicurezza regionale nel Mar Baltico, costringendo i Paesi dell’area ad incrementare le proprie spese militari o a cercare maggiori garanzie internazionali in difesa della propria sovranità territoriale. 

Da questo punto di vista la Svezia si trova in una difficile situazione, divisa tra tradizionali desideri di neutralità e la tentazione di entrare a far parte in modo permanente dell’Alleanza Atlantica. 

UN RAPPORTO SPECIALE – Stoccolma ha stabilito legami stretti con la NATO sin dal 1994, come Paese membro del programma Partnership for Peace (PfP) organizzato dall’Alleanza Atlantica in risposta alle prime grandi trasformazioni geopolitiche del post-Guerra Fredda. Il programma è di tipo bilaterale e consente un’interazione flessibile tra la NATO e diversi Paesi non membri della sua tradizionale struttura politico-militare, dando spesso particolare enfasi a problematiche di tipo civile ed ambientale. Queste caratteristiche sono certamente alla base della decisione svedese di entrare a far parte del PfP, così come del suo significativo attivismo all’interno dell’iniziativa negli ultimi vent’anni. Truppe svedesi hanno infatti partecipato alle operazioni di peacekeeping NATO nei Balcani e Stoccolma ha anche fornito assistenza logistica e finanziaria alla recente campagna in Afghanistan contro i Talebani. Nel 2011 l’aviazione svedese ha persino partecipato direttamente alla campagna militare dell’Allenza Atlantica contro il regime di Gheddafi in Libia, conducendo alcune operazioni di pattugliamento aereo dalla base siciliana di Sigonella.

Nonostante questo rapporto speciale, però, la Svezia ha sempre rifiutato di diventare membro effettivo della NATO e  questo suo atteggiamento reticente ha suscitato non poche perplessità in Occidente, specialmente dopo il conflitto russo-georgiano del 2008. In quella drammatica occasione il Governo svedese si è accontentato infatti di lanciare solo qualche vago ammonimento verbale contro la Russia, nonostante la sincera preoccupazione per la propria sicurezza nazionale, ed una sua successiva dichiarazione unilaterale di solidarietà agli altri Paesi baltici – con la promessa implicita di sostegno militare in caso di aggressione armata – ha provocato solo qualche risatina di scherno nelle principali cancellerie europee. Più di recente, la risposta pacata di Stoccolma alla crisi ucraina è stata duramente criticata dall’ambasciatore americano Mark Brzezinski, figlio del celebre stratega geopolitico Zbigniew, che ha ricordato pubblicamente agli svedesi il loro relativo isolamento internazionale e l’impossiblità per gli Stati Uniti di proteggerli efficacemente da un possibile attacco russo al di fuori dalla struttura formale della NATO.

Una riunione di NORDEFCO a Oslo.
Una riunione di NORDEFCO a Oslo.

UN DIBATTITO ACCESO – Le dichiarazioni di Brzezinski hanno causato non pochi malumori sulla stampa svedese e riacceso un vecchio dibattito che sembrava sopito ormai da tempo. Già tentata dall’opzione NATO alla fine degli anni Quaranta, la Svezia ha  sempre finito per scegliere la sua tradizionale neutralità internazionale, vista come il miglior strumento per la sicurezza militare ed il progresso socio-economico del Paese. Tale neutralità è stata seguita fedelmente sino alla fine della Guerra Fredda, nonostante regolari contatti militari segreti con l’Occidente, ed è stata solo parzialmente scalfita dall’adesione formale della Svezia all’Unione Europea nel 1995. Grazie ad essa lo stato svedese ha messo in piedi un sistema di welfare sociale invidiato da tutto il mondo ed ha goduto di una considerevole reputazione diplomatica all’estero, venendo spesso coinvolto in negoziati di pace tra vari stati belligeranti in Africa ed Asia. La neutralità ha poi consentito un facile adattamento delle forze armate svedesi ai complessi scenari internazionali del post-Guerra Fredda, rimpiazzando in pochi anni un antiquato sistema di difesa territoriale con una struttura militare flessibile ed altamente tecnologica capace di intervenire rapidamente in ogni angolo del globo. Cosa ben più difficile per diversi Paesi NATO, costretti a coordinare il riadattamento delle rispettive forze di difesa con tutti gli altri partner dell’Alleanza Atlantica. Per tutti questi motivi il fronte “neutralista” è parecchio forte nell’attuale panorama politico svedese, potendo contare sul sostegno trasversale sia di conservatori che di progressisti. Aperti sostenitori di un’adesione alla NATO come il ministro degli esteri Carl Bildt sono parecchio attivi ma le loro argomentazioni filo-atlantiche non sembrano aver fatto breccia nell’opinione pubblica svedese persino dopo l’annessione russa della Crimea lo scorso marzo. Un recente sondaggio condotto dal quotidiano conservatore Svenska Dagbladet ha infatti rivelato che solo il 31% degli svedesi vuole il proprio Paese nell’Alleanza Atlantica, mentre oltre il 50% preferisce mantenere la tradizionale neutralità internazionale di Stoccolma. Visti tali risultati, una futura adesione svedese alla NATO appare assai improbabile, almeno per i prossimi anni.

NORDEFCO – La crisi ucraina e la politica estera “muscolare” di Vladimir Putin hanno comunque scosso la precedente apatia di Stoccolma verso la sicurezza baltica, vista in un’ottica prevalentemente ottimistica dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ed hanno rilanciato le fortune politiche della Nordic Defence Cooperation (NORDEFCO), organizzazione per la difesa regionale creata congiuntamente da tutti i Paesi scandinavi nel 2009. Erede ideale della progettata unione di difesa scandinava degli anni Quaranta, la NORDEFCO ha una struttura flessibile e bilaterale simile a quella del PfP, consentendo ai vari Paesi membri un certa libertà diplomatica in cambio dell’impegno comune per la sicurezza del Nord Europa. Finora l’organizzazione ha mancato molti dei suoi principali obiettivi politico-militari ed è apparsa generalmente come una debole copia della NATO, messa su dalle nazioni scandinave per contenere le proprie crescenti spese militari.

Tuttavia la NORDEFCO sembra offrire la possibilità a Paesi neutrali come Svezia e Finlandia di difendere la propria sovranità nazionale senza i rischi politici, economici e militari di un’adesione aperta allo schieramento occidentale, che conplicherebbe non poco i loro equilibri interni e le loro relazioni esterne con Russia e Cina. Fino a che punto quest’opzione è percorribile nel nuovo acceso clima di confronto tra Russia e Occidente dopo l’annessione della Crimea? Difficile a dirsi, ma la Svezia sembra voler attualmente puntare le sue carte su di essa, mettendo da parte la più facile ma scomoda alternativa della NATO.

Simone Pelizza

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Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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