Il 14 e il 15 giugno scorso i capi di stato dei paesi facenti parte della Shanghai Cooperetion Organization (SCO) – Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan – si sono riuniti ad Astana in Kazakistan per festeggiare il 10° anniversario della fondazione dell’organizzazione. In pochi ancora sanno che cos’è la SCO, ma il suo ruolo sta diventando sempre più importante
UN ATTORE INTERNAZIONALE SEMPRE PIU’ INFLUENTE – La SCO concepita nel 1996, quando ancora si chiamava Gruppo dei Cinque di Shanghai (ha assunto l’attuale denominazione nel 2001 con l’ammissione dell’Uzbekistan), nacque col preciso intento di salvaguardare la pace e la stabilità in Asia Centrale.
In questi dieci anni la guida dell’organizzazione è sempre stata assunta dal binomio Russia-Cina, che ha potuto utilizzarla per la salvaguardia della propria leadership e dei propri interessi nella regione. Le repubbliche centro-asiatiche, invece, dopo l’indipendenza sentirono la necessità di unirsi all’organizzazione per avere un accesso privilegiato alle relazioni con i potenti vicini.
Ad oggi la situazione ha però subito notevoli mutamenti e paesi come il Kazakistan e l’Uzbekistan rivendicano maggiormente il proprio ruolo all’interno della SCO sia grazie alle notevoli risorse energetiche che detengono nei loro territori sia alla complessa situazione internazionale.
La SCO inizialmente considerata dall’Occidente come un’organizzazione marginale, è oggi un’importante attore internazionale in grado di minare le basi dell’influenza che la NATO e gli USA sono riusciti a guadagnarsi in Asia Centrale dopo la caduta del mondo sovietico, soprattutto in questo particolare momento di difficoltà degli Stati Uniti che si avviano a porre fine al proprio impegno nella guerra in Afghanistan.
L’incontro del giugno scorso ha sottolineato questa nuova dimensione dell’organizzazione asiatica e ha fatto emergere con forza i nuovi fattori che spingono i paesi aderenti a fare sempre più affidamento su di essa, considerandola un punto fermo per lo sviluppo e la sicurezza dell’Asia Centrale.
IL FUTURO VOLTO DELLA SCO – Durante il summit i capi di stato hanno da un lato ribadito gli obiettivi originari della SCO sulla sicurezza, sulla stabilità e sulla lotta al terrorismo internazionale e islamico, dall’altro hanno aggiunto nuovi importanti punti sulla loro agenda da raggiungere nel prossimo futuro.
Questi nuovi obiettivi tutti interconnessi tra di loro possono per maggior chiarezza essere suddivisi in tre macro aree: le decisioni riguardanti la sfera commerciale, la strategia politica rispetto alla situazione afghana e l’apertura della SCO a nuovi paesi.
L’AMBITO COMMERCIALE – A farla da padrone in quest’area di discussione è sicuramente la Cina. E’ un gigante economico il cui volume degli scambi commerciali è in costante aumento, ciò fa si che necessiti sempre di maggiori sbocchi per l’espansione della sua economia. A tal proposito si è sempre resa la principale promotrice del rafforzamento della cooperazione dei paesi in diversi settori, da quello politico-economico a quello energetico-tecnologico.
Nel corso del decennio di vita della SCO si è impegnata a fornire cospicui prestiti ai paesi alleati per sostenere progetti di sviluppo, in particolare nel campo energetico e in quello delle infrastrutture, in virtù del fatto che questa regione riveste un’importanza fondamentale per la sicurezza energetica della Cina sempre alla ricerca di nuove risorse.
Tra i progetti cinesi c’è la costruzione di una rete ferroviaria, una autostradale e di un gasdotto che colleghi l’Asia Centrale, ma soprattutto ha in progetto di creare per il 2020 un’area di libero scambio nella regione. Si tratta però di un’idea che si scontra almeno in parte con la diffidenza delle repubbliche ex-sovietiche convinte che con l’apertura di un libero mercato le proprie ancora deboli economie possano essere sopraffatte dalla competitività dei prodotti cinesi. Sta di fatto che se ciò dovesse concretizzarsi la SCO diverrebbe un gruppo di enorme rilevanza per l’economia mondiale.
LA QUESTIONE AFGHANA – Questo secondo tema – legato anche alla situazione attuale in Medio Oriente e alla questione riguardante lo scudo missilistico in progetto alla Casa Bianca – ha trovato in accordo tutti i paesi della SCO, in particolar modo è emersa con forza la posizione unanime di Pechino e Mosca.
L’organizzazione mira a limitare l’ingerenza occidentale e soprattutto statunitense in un’area che considera di propria competenza e vede con disappunto l’ipotesi che gli USA o la NATO possano mantenere una qualche presenza militare in Afghanistan dopo il ritiro previsto per il 2014.
L’intenzione è quella di sostituirsi come principale interlocutore del paese ed essere coinvolta maggiormente nella gestione della situazione che si andrà a delineare dopo il 2014. Da ciò l’invito ad Astana per il presidente afghano Hamid Karzai che ha intrattenuto colloqui con i suoi omologhi di alcuni paesi membri ed il discorso del presidente Kazako Nursultan Nazarbayev che ha sottolineato l’importanza di avere un Afghanistan neutrale per lo sviluppo regionale. Ciò significherebbe avere libero accesso ad una regione in cui tutti della SCO hanno importanti interessi e permetterebbe di sfidare i progetti geostrategici degli Stati Uniti.
Non solo, avere carta bianca in Afghanistan permetterebbe, secondo i partecipanti al summit, di fare un enorme passo avanti nella lotta al traffico di droga, a cui la SCO si sta dedicando da diversi anni (l’Afghanistan produce ad oggi circa il 90% dell’eroina consumata nel mondo) e alla lotta al terrorismo internazionale di matrice islamica.
A questo proposito è importante sottolineare il fatto che la SCO sia un’organizzazione totalmente asiatica e pertanto i suoi caratteri sono notevolmente differente rispetto a quelli delle organizzazioni occidentali, ciò porta ad una serrata critica all’ingerenza negli affari interni degli stati che l’occidente ha dimostrato di mettere in pratica nei conflitti che ha intrapreso, compreso l’attacco alla Libia. Naturalmente l’accento sulla necessità di stabilizzazione della regione e sull’importanza di lasciare che ogni paese promuova la democratizzazione secondo le proprie condizioni nazionali, le proprie tradizioni storiche e culturali e si mantenga forte il rispetto per la diversità delle culture e il principio di non ingerenza nelle questioni nazionali è senza ombra di dubbio legata al fatto che i paesi dell’Asia Centrale temono che la “primavera araba” possa giungere nei loro paesi dando vita a sollevazioni popolari e ad un cambio di regime.
L’APERTURA AI NUOVI MEMBRI – Per mantenere il pieno controllo in Asia Centrale la SCO è anche cosciente del fatto che la sua sicurezza è legata a filo doppio con quella dell’Asia Meridionale. L’aspetto senz’altro più rilevante del summit di Astana, infatti, è sicuramente il possibile ingresso nel prossimo futuro dell’India e del Pakistan, che già ricoprono il ruolo di osservatori insieme a Mongolia e Iran.
Da una parte non si può sottovalutare il fatto che l’inclusione nell’organizzazione favorirebbe la riconciliazione tra India e Pakistan a proposito dell’irrisolto conflitto del Kashmir – anche se questo aspetto desta comunque preoccupazione in seno alla SCO – dall’altro con questi due nuovi protagonisti impegnati per la stabilità dell’intera regione la SCO potrebbe giocare un ruolo da vero protagonista in ambito internazionale anche per quanto riguarda la questione afghana e permetterebbe un aumento vertiginoso degli scambi commerciali e degli investimenti nei reciproci paesi.
Si tratta di una possibilità che i membri della SCO non possono farsi sfuggire. L’apertura verso l’India, il Pakistan e l’Afghanistan come osservatore, peraltro, evidenzia maggiormente il disagio creato dalla presenza e dell’ingerenza occidentale nella regione.
Allo stesso modo queste nuove provenienti dal summit di Astana preoccupano e mettono l’Occidente in una posizione scomoda. L’organizzazione regionale nata dieci anni fa, limitata inizialmente all’Asia Centrale potrebbe trasformarsi attraverso il processo d’inclusione in un gigante internazionale comprendente quasi tre miliardi di persone e molti analisti già parlano di “un’anti-NATO centro-asiatica”.
Marianna Piano [email protected]