Mentre la rivolta araba continua in Medio Oriente e Nord Africa, l’Iran sta uscendo apparentemente indenne dalla tempesta, avendo ridotto le opposizioni al silenzio o quasi da mesi. In realtĂ anche la repubblica islamica è preda di forti lotte intestine, ma a livello istituzionale. La loro intensità è tale da poter cambiare la stessa faccia istituzionale del paese. Il “vecchio”, rappresentato dalla Guida Suprema Khamenei, contro il “nuovo” di Ahmadinejad: gerarchie religiose contro politico-economiche in lotta all’interno dei conservatori
PRESIDENTE CONTRO GUIDA SUPREMA – Solo un paio di anni fa Teheran vedeva una sintonia pressoché perfetta tra la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, e il Presidente Mahmoud Ahmadinejad, una situazione che ha portato a eliminare gran parte dell’influenza dei riformisti all’interno del parlamento iraniano e a bloccare le proteste in seguito alle contestate elezioni presidenziali del 2009. Ora invece la situazione si è capovolta e lo scontro tra le due guide del paese è acceso e su molti piani. L’ultimo aspetto di questa sfida interna riguarda la sfera economica e finanziaria.
TUTTO IL MONDO E’ PAESE – Se qualcuno pensava che solo in Europa le banche fossero al centro di scandali ora può ricredersi. L’accusa rivolta ad alti dirigenti di banche iraniane (tra cui le importantissime Saderat e Melli) è di aver facilitato la sottrazione illegale dell’equivalente di ben 2.6 miliardi di euro, tramite un sistema che prevedeva la cessione di grossi prestiti utilizzati per acquistare imprese recentemente privatizzate utilizzate in seguito come garanzia per ulteriori prestiti ancora più ingenti. Secondo gli inquirenti questi ultimi fondi venivano poi trasferiti all’estero e impiegati in altre operazioni, e sono ora introvabili. Lo scandalo, ampiamente pubblicizzato dai media locali, interessa gran parte del sistema bancario iraniano e coinvolge accuse di frode e scarso controllo a numerosi amministratori delegati di banche e loro collaboratori; il Parlamento ha anche chiesto le dimissioni (e in futuro forse anche la condanna) del Ministro delle Finanze. Ma che collegamento esiste tra questa storia di appropriazioni illecite e lo scontro politico tra Presidente e Guida Suprema? Andiamo ad analizzare due elementi.
LOTTA DI POTERE – Il primo fattore consiste nel fatto che la vicenda sia stata pubblicizzata. In Iran notizie di questo tipo vengono tradizionalmente insabbiate per evitare di fornire alla popolazione motivi di sfiducia verso il governo e in generale la leadership del paese; l’idea che una tale frode venga portata all’attenzione del pubblico con tanto clamore indica l’interesse a colpire le persone coinvolte. Non è un caso infatti come sia il Ministro delle Finanze sia alcuni dei dirigenti accusati facciano parte dell’entourage del Presidente, segno di come la teocrazia intenda colpire gli esponenti laici a lei ostili con ogni mezzo. Non volendo colpire direttamente Ahmadinejad, si colpiscono i suoi collaboratori; tuttavia lo stesso Presidente potrebbe diventare il prossimo bersaglio diretto, poichĂ© la parte del Parlamento di Teheran legata agli Ayatollah continua a chiedere che egli venga a giustificare la situazione. Forse è un modo per cercare di coinvolgerlo.
COLPO DI STATO IN VISTA? – Non solo. In un suo recente discorso Khamenei ha indicato chiaramente come la Repubblica Islamica non abbia bisogno di un Presidente eletto direttamente dal popolo, ma sarebbe meglio rappresentata da un premier eletto dal Parlamento. Questa differenza non è marginale: gli Ayatollah controllano gran parte del Parlamento e dunque un premier eletto dall’assemblea sarebbe costantemente un loro fedelissimo; questo inoltre eviterebbe i rischi di elezioni dirette che, anche se possono essere pilotate grazie ai veti del Consiglio Supremo, ogni volta portano a violente proteste da parte della popolazione. “Basta presidenti a noi ostili” potrebbe essere il loro slogan, cosa che l’attuale elezione diretta ha mostrato di non garantire. Le parole di Khamenei possono essere perciò viste come una (non tanto velata) minaccia di “colpo di stato” interno per dare ancora più potere alla teocrazia a scapito delle istituzioni puramente repubblicane – e nonostante queste ultime abbiano già dimostrato in passato una ridotta democraticità . Sarà Ahmadinejad l’ultimo Presidente scelto dal popolo? Certo non va dimenticato come la sua stessa elezione sia stata contestata come figlia di brogli, né le sue posizioni sempre altamente estremiste; tuttavia esiste la possibilità che in tale sfida possano presentarsi come suoi alleati quei riformisti che rivendicano la necessità di una maggiore influenza delle istituzioni repubblicane, come l’Ayatollah Hashemi Rafsanjani. Se avverrà , sarà una vicinanza solo di interessi a breve termine, che però potrebbe contribuire a controbilanciare il potere ancora forte del regime teocratico.
UN’AZIONE PIU’ VASTA – Infine, un’ultima osservazione: lo scandalo bancario non è l’unica offensiva condotta dagli Ayatollah contro il Presidente e i suoi uomini. Alcuni analisti ritengono che lo stesso complotto scoperto negli USA per assassinare l’ambasciatore saudita sia stato fatto scoprire volutamente proprio da una delle fazioni per screditare l’altra, così da metterne in imbarazzo politico i mandanti. Analogamente, non sono un mistero i continui riferimenti del Generale Mohammad Ali Jafari, comandante dei Guardiani della Rivoluzione, a una possibile azione per, secondo le sue parole, “proteggere la Rivoluzione”; è un messaggio per implicare il possibile ricorso alla forza per contrastare i nemici della Guida Suprema. In tale ottica, la posizione di Ahmadinejad appare la piĂą sfavorita, continuamente a rischio di essere estromesso dal potere con ogni mezzo nel caso faccia un passo troppo lungo.
Lorenzo Nannetti