Sarà un anno in chiaroscuro per l’economia mondiale. Le prospettive di crescita sono generalmente positive e gli effetti più negativi della crisi sono ormai superati. L’Europa rimarrà però ancora un attore troppo debole e rischi come l’instabilità dei tassi di cambio e la dinamica del prezzo del petrolio invitano a mantenere alta la guardia verso il pericolo di nuove instabilità
PROSPETTIVE GENERALI – Quali sono gli scenari per l’economia globale nel 2015? Quasi sette anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria, si può dire che ormai il peggio sia alle spalle. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), il tasso di crescita del PIL a livello mondiale nel 2014 è stato del 3,3% e quest’anno potrebbe essere addirittura superiore, al 3,8%. Nonostante il clima complessivamente positivo, rimangono tuttavia dei rischi dietro l’angolo che potrebbero riportare instabilità nelle relazioni economiche. Pensiamo ad esempio alle politiche monetarie che gli Stati più grandi stanno conducendo: gli USA hanno tirato il freno del Quantitative Easing (QE), ovvero la fase fortemente espansiva della Federal Reserve (la Banca centrale americana) e nel corso del 2015 potrebbero rialzare i tassi di interesse, cambiando il corso con una virata a 180 gradi. Dall’altro lato, la Banca centrale europea potrebbe presto iniziare una propria fase di QE, nel tentativo – ormai quasi da “ultima spiaggia” – di rivitalizzare un’economia troppo poco dinamica. In mezzo a questi flussi di denaro riversati o ritirati dal mercato vi sono i Paesi emergenti, le cui valute non hanno un’importanza rilevante a livello internazionale e che dipendono molto, in termini di commercio e di investimenti esteri, dall’andamento dell’Euro e del dollaro statunitense. Squilibri nei tassi di cambio improvvisi, e non coordinati preventivamente, potrebbero colpirli danneggiando gli afflussi di capitali stranieri e anche la competitività interna. Per fare un esempio: in Brasile si teme un ulteriore apprezzamento del real in seguito a una svalutazione del dollaro e dell’euro. Altri Paesi, invece, soffrono di problemi opposti: la Turchia, ad esempio, ha subìto una svalutazione repentina della lira. Nel 2015 sarà dunque necessario mantenere e rafforzare il coordinamento tra politiche monetarie e finanziarie, utilizzando i meccanismi offerti da istituzioni come l’FMI e il Financial Stability Board (FSB).
GLI USA VOLANO, L’EUROPA ARRANCA – Chi sta trainando la ripresa mondiale? Non più la Cina (vedi paragrafo successivo), bensì gli Stati Uniti. Gli USA hanno archiviato ormai da tempo gli effetti peggiori della crisi e hanno ripreso stabilmente a crescere: nel 2014 il PIL è aumentato del 2,2% secondo l’FMI, ma con un balzo del 5% nel terzo trimestre dell’anno che potrebbe aprire la strada a un +3,1% nel 2015. Una politica monetaria fortemente espansiva, bassa disoccupazione e una sempre minore dipendenza dall’esterno per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico (gli USA sono i maggiori produttori di shale oil & gas, ottenuto tramite perforazione idraulica) sono i principali motivi di un successo che sembra destinato a durare.
Dall’altro lato dell’Atlantico, invece, l’Unione europea fatica a rimettere in moto con slancio la propria economia. Le previsioni del Fondo stimano nel 2014 una crescita complessiva dell’1,4% e per il 2015 una performance leggermente migliore (+1,8%). Non proprio malaccio, se non si tenesse conto delle prestazioni abbastanza disomogenee tra gli Stati membri: mentre il Regno Unito crescerà del 2,7%, l’Italia dovrebbe finalmente riportarsi in positivo con un misero 0,8%. È indubbio che le economie dell’area euro avranno una crescita inferiore rispetto agli altri Paesi: nonostante i sempre più forti stimoli monetari operati dalla BCE, bassa crescita e lo spettro della deflazione rimarranno un rischio importante anche nel 2015. Senza un chiaro cambio di rotta nelle politiche economiche decise da Bruxelles, con un orientamento più deciso e coraggioso verso la crescita anziché solamente il consolidamento fiscale, difficilmente l’UE potrà riprendere dinamismo e ridurre la forte disoccupazione, soprattutto quella giovanile, che colpisce molti Paesi. Il famoso “piano Juncker”, che dovrebbe portare nuovi investimenti per 315 miliardi di euro, rischia di essere uno “sparo a salve” se non supportato da misure che riescano a mettere davvero in funzione flussi di capitali pubblici e privati per finanziare i numerosi progetti infrastrutturali contenuti nel Piano.
IL RALLENTAMENTO CINESE – Se una crescita del 7,1% del PIL può essere definita un risultato deludente… sembra un paradosso, eppure per gli standard cui si era abituata la Cina negli ultimi quindici anni è così. Pechino sta lentamente rallentando: se da un lato questo è un fattore fisiologico, dall’altro è comunque un elemento da non trascurare per i potenziali rischi sia a livello interno che internazionale. La crescita più bassa sta facendo diminuire la domanda cinese di importazioni, soprattutto in campo energetico e delle materie prime, causando dunque potenzialmente dei problemi ai Paesi che dipendono dall’esportazione di tali prodotti. A livello interno, la Cina deve inoltre riuscire a guidare in maniera ordinata la transizione del proprio modello economico da un sistema basato su investimenti e domanda esterna a uno più basato sui consumi interni. Inoltre, le disparità tra province in termini di performance di crescita si stanno intensificando e questo potrebbe comportare, seppur in un’ottica più di medio periodo, anche a problemi di tipo sociale. Il Dragone rimane sempre la potenza economica del futuro, ma attenzione a parlare troppo presto di un “sorpasso” cinese sugli USA.
TEMPI DURI PER LA RUSSIA – A Mosca e dintorni non se la passeranno troppo bene nel 2015. Dopo anni di crescita abbastanza stabile e sostenuta, che ha consentito di arricchire la popolazione e di invertire dopo molto tempo un trend demografico negativo (finalmente le nuove nascite ora superano i decessi), la Russia tornerà probabilmente quest’anno in recessione, con un risultato che potrebbe oscillare tra un +0,8% e un -0,8%. Due sono le cause: le sanzioni economiche imposte dall’Unione europea e dagli Stati Uniti in seguito alla crisi in Ucraina, e il brusco abbassamento del prezzo del petrolio (vedi paragrafo successivo). Il rublo ha subìto una svalutazione di oltre il 60% nei confronti del dollaro e del 40% sull’euro. Lo “zar” Putin dovrebbe riuscire a contenere gli effetti di questa difficile situazione attingendo alle riserve del fondo sovrano, ma se le circostanze non dovessero migliorare, le capacità di tenuta non dovrebbero andare oltre a una prospettiva di breve-medio periodo. Nel corso della conferenza stampa di fine anno, Putin ha detto che nel giro di un paio d’anni l’economia russa dovrebbe tornare a crescere. Molto dipenderà dall’evoluzione dei fattori esterni, ma anche dalla volontà del Presidente russo di adottare posizioni più concilianti riguardo all’Ucraina, che potrebbero portare a una riduzione delle sanzioni e dell’isolamento internazionale che Mosca sta subendo.
L’INCOGNITA DEL PETROLIO – Si tratta del fenomeno probabilmente più importante attualmente e che influenzerà in larga misura l’andamento dell’economia nel 2015. In meno di un semestre il prezzo del petrolio ha subito un calo del 40%, passando da circa 115 dollari a meno di 60 dollari al barile. Tra le cause va annoverata senza dubbio una riduzione della domanda (soprattutto da parte della Cina), ma anche una precisa strategia da parte dell’Arabia Saudita (che ha rifiutato di tagliare la produzione nel corso dell’ultima riunione dell’OPEC) per mettere fuori mercato i suoi principali competitor internazionali. Questi ultimi infatti non saranno in grado di sostenere a lungo prezzi di produzione così bassi, mentre i sauditi sono in grado di sostenere tali dinamiche di prezzo per alcuni anni. È lecito attendersi che il prezzo del greggio resterà basso anche per tutto il 2015. Vi saranno indubbiamente effetti benefici per la domanda (soprattutto nei Paesi importatori più sviluppati), e negativi per gli esportatori (ma con l’importante eccezione dell’Arabia). Tra essi, Russia, Iran e Venezuela subiranno forti pressioni. Ma mentre per gli ultimi due gli effetti esterni saranno circoscritti, per la ripresa dell’Europa, e in particolar modo di quella già molto fragile dell’Italia, una recessione della Russia potrebbe rallentare l’economia per l’effetto combinato delle sanzioni e della svalutazione del rublo, che toglierà potere di acquisto, diminuendo la domanda di importazioni. Attenzione dunque a valutare i diversi risvolti che ogni fenomeno assume a livello geopolitico: nulla è mai del tutto bianco o nero. E nemmeno lo sarà il 2015.
Davide Tentori
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Un chicco in più
Questo pezzo fa parte de “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, il nostro outlook per il 2015. Lo potete trovare per intero qui. Buona lettura!
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