Le scoperte di enormi (almeno potenzialmente) giacimenti di petrolio nell’Atlantico hanno indotto il presidente brasiliano a varare una legge per tutelare le risorse energetiche. Non sarà facile tuttavia riuscire a sfruttarle
UN TESORO NELL’ATLANTICO – Si parla tanto di fine del petrolio, presentata dai più catastrofisti come imminente, o quasi. Eppure, c’è chi, di petrolio, ne scopre ancora, e parecchio. L’esempio più eclatante degli ultimi tempi è il Brasile: nel 2007, al largo delle coste dell’Oceano Atlantico, è stata scoperta una enorme quantità di risorse petrolifere, che secondo le stime potrebbero addirittura raggiungere i cento miliardi di barili, se le previsioni più rosee dovessero venire rispettate.
FACILE A DIRSI… – Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare. In questo caso nel vero senso della parola: il petrolio si trova infatti al di sotto delle profondità atlantiche, circa a sette chilometri sotto il livello del mare, in prossimità di uno strato della crosta terrestre particolarmente salina chiamato per questo motivo “pre-sal”. Per questo è opportuno effettuare una distinzione tra risorse e riserve: per il primo termine si intende la quantità di idrocarburi esistente, con il secondo quelle effettivamente disponibili per essere raffinate e trasformate in combustibile. Rimane ancora da capire, infatti, fino a che punto il petrolio “pre-sal” sarà estraibile e a quali costi: saranno necessari infatti una grande quantità di investimenti per effettuare trivellazioni a tali profondità.
A ME ALMENO IL 30% – Il presidente brasiliano Lula, intanto, ha deciso di correre ai ripari e di mettere “in cassaforte” le risorse scoperte nel bacino di Tupi, che potrebbero trasformare il Brasile in una delle maggiori potenze energetiche mondiali. Il 31 agosto, infatti, Lula ha presentato una proposta governativa secondo la quale il 30% di tutti i ricavi dei futuri contratti che saranno stipulati per lo sfruttamento delle risorse “pre-sal” sarà riservato alla compagnia a partecipazione statale Petrobras. In altre parole, il colosso dell’energia brasiliana avrà diritto alla partecipazione in ogni contratto almeno in questa proporzione; il restante 70% potrà essere concesso ad altre compagnie estrattive.
RISCHI E PROSPETTIVE – Rischi, tuttavia, ce ne sono. Da una parte bisogna mettere in conto la fattibilità finanziaria di tali investimenti che, come si diceva, dovranno essere enormi: Petrobras aveva promesso di destinare 174 miliardi di dollari nel prossimo quinquennio da destinare allo sfruttamento dei bacini “pre-sal”, ma il Governo brasiliano ha già rivisto le stime al rialzo. Non vanno inoltre trascurati i rischi di natura politica. Lula ha annunciato la creazione di un organismo pubblico, “Petrosal”, che si incaricherà di sovrintendere alla gestione di tali risorse e alla stipula dei contratti di esplorazione e sfruttamento; inoltre parte delle rendite petrolifere sarà destinata da subito per progetti di utilità sociale e di lotta alla povertà, con un meccanismo di redistribuzione che riguarderà tutte le province brasiliane senza privilegiare quelle costiere, dove si trovano i giacimenti. I pericoli sono due: per quanto riguarda Petrosal, lo spettro della corruzione non può essere trascurato, dato che in Brasile è ancora molto diffusa e la stessa Petrobras è stata di recente coinvolta in uno scandalo di natura fiscale. Lula dovrà inoltre tenere conto del possibile malcontento delle province costiere, come quella di San Paolo, in vista delle elezioni politiche del 2010: i sondaggi danno in testa il candidato dell’opposizione, José Serra, contro la potenziale “erede” di Lula, Dilma Rousseff.
Davide Tentori 5 settembre 2009 [email protected]