In 3 sorsi – Scomparso lo scorso 23 marzo, Lee Kuan Yew è stato il principale artefice dell’ascesa economica di Singapore nel Sud-est asiatico, trasformando una piccola nazione in un importante attore geopolitico regionale e mondiale. In 3 sorsi luci e ombre di un protagonista chiave della storia dell’Asia contemporanea.
1. ONORI FUNEBRI – Scomparso nei giorni scorsi all’età di 91 anni, Lee Kuan Yew ha dominato la vita politica di Singapore per circa mezzo secolo, lasciando un’impronta profonda e indelebile su questa piccola ex colonia britannica del Sud-est asiatico. Primo Ministro sino al 1990 e poi “Ministro Mentore” per i suoi successori, Lee ha infatti guidato con mano ferma lo sviluppo economico del suo Paese, trasformando Singapore in una delle “Tigri asiatiche” protagoniste della globalizzazione economico-finanziaria degli ultimi decenni. Uno sviluppo non intaccato persino dalla crisi petrolifera del 1973 e da quella finanziaria del 1997, che mise invece in ginocchio le economie delle vicine Thailandia e Indonesia, infliggendo un duro colpo alla stabilità regionale del Sud-est asiatico. Al contrario, il PIL di Singapore ha continuato a crescere a ottimi ritmi annuali (+2,8% nel 2014) e la sua efficiente economia di mercato rimane un modello per molte nazioni in via di sviluppo, accrescendo l’importanza geopolitica del Paese a livello globale.
Fig. 2 – Centinaia di persone in coda al Parlamento di Singapore per vedere la salma di Lee
Tale success story è stata giustamente attribuita da molti osservatori alla leadership forte ma duttile di Lee, capace di sfruttare abilmente le grandi trasformazioni dell’economia mondiale per accrescere la prosperità generale dei suoi cittadini. Cittadini che ora piangono sinceramente la scomparsa del loro leader, facendo addirittura ore e ore di coda per offrire i loro rispetti alla salma di Lee esposta nel Parlamento nazionale. Per non parlare delle numerose e sentite dichiarazioni di cordoglio rilasciate a tv e giornali stranieri, capaci di stupire persino i più cinici reporter occidentali.
2. DAL SOCIALISMO AL CAPITALISMO – Non si tratta solo di isteria collettiva e culto della personalità. Nato nel 1923 da una ricca famiglia di origini cinesi, Lee è infatti visto da molti storici come uno dei maggiori statisti dell’Asia post-coloniale, paragonabile a Mao e Nehru per la forza della sua visione politica e per la significativa eredità lasciata al suo Paese. Le vicende biografiche del personaggio confermano tale giudizio, pur tra molte contraddizioni personali e ambiguità ideologiche.
Fig. 3 – Lee Kuan Yew in visita a Parigi nel 1978
Un po’ idealista e un po’ opportunista, Lee aveva iniziato la sua carriera politica negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, agendo come consigliere legale dei maggiori sindacati di Singapore. Nel 1954 lui e otto personalità “borghesi” avevano poi dato vita al People’s Action Party (PAP), formazione progressista alleata con gruppi filo-comunisti operanti contro le Autorità coloniali britanniche. La collaborazione con tali organizzazioni non durò però a lungo: sopravvissuto alla purga anti-comunista dell’allora premier Lim Yew Hock, Lee decise infatti di abbandonare le proprie precedenti simpatie socialiste per una posizione di tipo moderato-conservatore, vicina agli interessi e ai valori delle elite socio-economiche locali.
In virtù di tale cambiamento, il leader del PAP ottenne quindi una netta vittoria alle elezioni del 1959, diventando Primo Ministro di Singapore e conducendo il Paese all’agognata indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1965. Dopo il tentativo fallito di creare una federazione con la vicina Malesia, Lee si dedicò quindi con incredibile energia e spietato pragmatismo alla modernizzazione economica del nuovo Stato, incoraggiando soprattutto la scolarizzazione della popolazione e la liberalizzazione delle attività finanziarie e commerciali. Quest’ultima misura consentì presto a Singapore di attrarre notevoli investimenti esteri, creando numerosi posti di lavoro e permettendo allo Stato di accumulare capitale per significativi programmi di welfare sociale. In breve, Singapore divenne una sorta di “Svizzera” del Sud-est asiatico, capace di influenzare le politiche regionali grazie alla forza e alla solidità delle sue Istituzioni bancarie, strettamente connesse ai principali circuiti finanziari internazionali e coinvolte direttamente nello sviluppo delle locali attività manifatturiere.
Fig. 4 – Lee Kuan Yew e Xi Jingpin inaugurano un busto in onore di Deng Xiaoping a Singapore (novembre 2010)
3. “VALORI ASIATICI” – Accanto a questo intenso programma economico, Lee sostenne anche una pedante riorganizzazione nazionalista e autoritaria della società del suo Paese, volta a favorire la tradizione politica confuciana rispetto a quella liberale occidentale. Sospettoso della democrazia, il Governo di Singapore impose infatti un controllo ferreo su molte attività personali dei suoi cittadini, incluse scelte matrimoniali e riproduttive, incentivando la creazione di un sistema sociale rigido, gerarchico e conformistico. Nonostante regolari elezioni parlamentari e un certo garantismo giudiziario, eredità del periodo coloniale britannico, Singapore divenne quindi un curioso Stato ibrido, politicamente autoritario ed economicamente liberale – un autentico modello per molti Paesi emergenti come la Cina e l’Indonesia, bramosi di prosperità materiale ma preoccupati dal “disordine” etico-politico delle moderne democrazie occidentali.
Durante gli anni Novanta Lee difese strenuamente il suo autoritarismo politico in nome dei cosiddetti “valori asiatici”, ovvero della tradizionale propensione dei popoli dell’Asia verso principi di armonia sociale, collettivismo e solidarietà comunitaria. A dispetto di ripetute critiche occidentali, tale visione continua a dominare oggi sia la vita politica di Singapore che quella di molte altre “Tigri asiatiche”, rafforzando l’orgoglio nazionalista di tali Paesi e dando una chiara dimensione politico-ideologica ai loro recenti successi economici. È questa forse l’eredità più importante lasciata da Lee all’Asia del XXI secolo.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
In questa lunga intervista con Fareed Zakaria, Lee Kuan Yew espone con notevole chiarezza le sue controverse idee sulle differenze etico-politiche tra Asia e Occidente. L’intervista è stata pubblicata originariamente sulla rivista Foreign Affairs nel 1994. [/box]