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Expo: cibo e relazioni internazionali

A Milano saranno presenti 144 Paesi del mondo, ognuno portatore delle proprie specificità relative all’agricoltura e al rapporto con l’alimentazione. La produzione di cibo ha inevitabili implicazioni sulla geopolitica e le relazioni internazionali. Ve ne parliamo in questo articolo e nei successivi, dedicati alle singole regioni mondiali.

QUANTO CONTA L’AGRICOLTURA? – La produzione di cibo è fondamentale per il nostro sostentamento, ma il peso di questo settore sull’intera attività economica non è particolarmente elevato a livello aggregato.  In un’economia globale sempre più dominata dai servizi, l’agricoltura non gioca un ruolo preponderante nella produzione del Pil globale. Tuttavia, circa un terzo della popolazione mondiale si guadagna da vivere coltivando la terra o vendendone i frutti. È questo un primo dato che offre un’idea di come, sul lato dell’offerta, la distribuzione del reddito globale sia fortemente squilibrata: una percentuale molto ridotta garantisce il sostentamento di una persona su tre.

Vi è inoltre un ulteriore sbilanciamento per quanto riguarda la distribuzione della terra coltivabile. I terreni che sono ancora potenzialmente sfruttabili sono per il 90% in Africa e America Latina, e concentrati in appena sette Paesi: Brasile, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Sudan, Argentina, Colombia, Bolivia. A fronte di bisogni sempre maggiori, dunque, le risorse disponibili iniziano a scarseggiare. Due domande sorgono dunque spontanee: in previsione dell’aumento della popolazione globale (che nel 2050 dovrebbe superare quota nove miliardi di persone), come si potrà garantire cibo per tutti a fronte di una disponibilità minore di terreni? E poi, come far sì che le persone che vivono grazie all’agricoltura siano in grado di trarne un sostentamento adeguato?

IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE – Esistono vari esempi che aiutano a comprendere come l’agricoltura sia fondamentale per le relazioni e l’economia internazionale. Andando indietro nel tempo, il caso di un Paese come l’Argentina è illuminante. La nazione sudamericana è l’esempio di un Paese estremamente dotato di risorse naturali e per questo da sempre dipendente dalla domanda esterna. “Granaio del mondo” nella prima metà del XX secolo, mantenne quasi fino alla fine la neutralità nella Seconda Guerra Mondiale per non perdere mercati di sbocco delle proprie merci agricole in  Europa. Oggi, l’Argentina dipende fortemente dalle esportazioni agricole e dai prezzi volatili che esse hanno sui mercati internazionali.

Ecco dunque perché abbondanza di risorse non è per forza sinonimo di una “benedizione”, preludio alla ricchezza diffusa fra tutta la popolazione. Al contrario, la sovrabbondanza di materie prime è stata in molti casi l’origine di quella che viene chiamata dagli studiosi la “maledizione delle risorse”. Corruzione e clientelismo prosperano facilmente in Paesi ricchi di risorse dove è più facile appropriarsi delle rendite legate al loro sfruttamento. Pensiamo ad esempio alla Guinea Equatoriale, piccolo Paese dell’Africa occidentale produttore di petrolio: nel 2010, nonostante il reddito pro capite ammontasse a 35mila dollari, il 75% della popolazione viveva con meno di 700 dollari all’anno. E così per molti altri Stati africani, tanto che il mix tra abbondanza di risorse e governance approssimativa è stato definito «letale» dal Council on Foreign Relations.

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La coltivazione di soia in Argentina è destinata prevalentemente all’esportazione

CHI PRODUCE IL CIBO? – Per avere un’approssimazione abbastanza completa, possiamo prendere in considerazione la produzione di cereali, ortaggi e carne. È la Cina il maggior produttore di cibo in assoluto. Per quanto riguarda la produzione cerealicola, Pechino insieme a India e Stati Uniti fornisce circa il 40% della quantità mondiale, ma è interessante notare come la superficie coltivata nei due giganti asiatici sia molto superiore a quella utilizzata negli USA. Ciò dipende ovviamente dall’utilizzo di tecnologie e metodi più avanzati, che consentono di aumentare la produttività dei terreni. La Cina prevale anche per quanto riguarda la produzione di ortaggi e di carne. Eppure non è in grado di soddisfare il proprio fabbisogno interno ed è costretta ad importare ingenti quantità di cibo. Il Dragone contava nel 2010 per il 9% delle importazioni agricole mondiali: in larga parte soia (38% del totale), cotone (9%), olio di palma (8%), latticini (4%). Cibo proveniente soprattutto dall’America Latina e dall’Africa, regioni fortemente dipendenti dalla domanda di risorse proveniente dal colosso asiatico e le cui economie potrebbero risentire in maniera significativa del rallentamento in atto nella crescita economica cinese. È dunque evidente come vi sia una stretta correlazione tra i trend economici e demografici della Cina con i flussi commerciali globali e l’andamento di economie che hanno nella produzione agroalimentare una delle principali risorse economiche.

CONCLUSIONI – Le dinamiche della produzione, del consumo e dei flussi commerciali di cibo hanno un’influenza molto forte nel determinare i rapporti di forza internazionali. Non ci si deve fare ingannare dal basso valore dell’agricoltura in rapporto al PIL: l’andamento della domanda e dell’offerta di commodities agricole è infatti fondamentale per determinare la sorte di intere economie, ma soprattutto del sostentamento di milioni di individui che dall’agricoltura traggono la principale fonte di sostentamento. Expo Milano, attraverso la partecipazione dei 144 Stati che vi hanno aderito, consentirà di comprendere meglio queste dinamiche e di attribuire alla produzione di cibo il giusto valore nell’ambito delle relazioni internazionali.

Davide Tentori

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Un chicco in più

Nei prossimi articoli del nostro Speciale vi mostreremo dei focus sulle varie regioni mondiali. Cominciamo questa settimana con l’Asia.

Trovate qui le puntate precedenti del nostro Speciale EXPO.

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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