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Un paese sull’orlo di una crisi di nervi

Ad ormai cinque mesi dal ritiro statunitense dal Paese, l'Iraq si presenta al mondo come uno Stato diviso e costantemente sull’orlo di una guerra civile. A fomentare le forti tensioni interne hanno influito sia le violenze contro le comunità curde, sciite e cristiane da parte di alcune frange sunnite, sia la decisione presa, lo scorso dicembre, dal Premier sciita Nouri al-Maliki di spiccare un mandato di arresto contro il Vice Presidente iracheno, il sunnita Tareq al-Hashemi. Questo evento, in particolare, ha prodotto di fatto un rapido deterioramento del quadro politico interno e ha fatto riaffiorare, in tutta la sua gravità, l'irrisolta questione etnica in una fase della vita pubblica del Paese ancora di transizione politica

LA POLITICA SUL FILO DI LANA – L'arresto di al-Hashemi ha prodotto un immediato boicottaggio delle riunioni ministeriali e delle sedute parlamentari da parte della componente sunnita di Iraqiya, la quale ha scatenato una forte crisi di governo. L'iniziativa del blocco sunnita nasceva in risposta all'azione del Premier sciita al-Maliki di voler accorpare nella sua figura istituzionale le funzioni ad interim della difesa, degli interni e della sicurezza nazionale, scatenando, di conseguenza, violente reazioni nel Paese. Attualmente la crisi politica viene considerata ufficialmente rientrata allorquando Iraqiya, alla fine di gennaio, ha deciso di interrompere il boicottaggio riprendendo ad alcune sedute parlamentari e, agli inizi di febbraio, ricominciando a partecipare anche agli incontri ministeriali di governo. La fine del boicottaggio, però, non è dovuta al raggiungimento di un obiettivo, bensì alla sua inefficacia in quanto questa forma di ostruzionismo politico rischiava di produrre ulteriori fratture nella coalizione sunnita, rimanendo essa di fatto totalmente esclusa dai processi decisionali nazionali.

STABILMENTE IN BILICO – In realtà, lo scontro che si gioca tra lo schieramento sciita di al-Maliki e il blocco sunnita guidato dall'ex Primo Ministro Iyad Allawi paralizza da mesi qualsiasi negoziazione politica e nonostante la parziale apertura di Iraqiya verso il Premier, lo scontro è destinato a durare a lungo e con esiti imprevedibili per il futuro del fragile Iraq, qualora non verranno trovati i giusti compromessi tra i tre blocchi etnico-politici del Paese. Non c’è da stupirsi, dunque, che la tale crisi politica si ripercuota inevitabilmente anche nella vita pubblica interna incrementando così una nuova stagione di violenze. Come ha fatto notare il Ministero degli Interni iracheno, anche se i livelli di violenza nel Paese sono in costante calo dal 2007, la situazione politica interna potrebbe peggiorare sensibilmente nel corso del 2012 e favorire dunque un pesante clima di scontro sociale.

DI SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE? – Il nodo centrale di questa crisi politico-istituzionale risiede nella Costituzione e, più precisamente, nella questione delle autonomie e nella gestione dei proventi del petrolio. L'attuale carta costituzionale, ratificata nel 2005 e frutto dell'accordo fra le comunità sciite e curde, prevede un assetto spiccatamente federale dell'ordinamento statuale e contraria all’istituzione di un governo centrale forte, soluzione sostenuta all’epoca dalla rappresentanza sunnita. In particolare, l’art. 1 della Costituzione sancisce in maniera esplicita e assolutamente non equivocabile il principio federale del “nuovo” Iraq. A rafforzare tale orientamento subentrano, nello specifico, gli artt. dal 112 al 118 che stabiliscono che per la creazione di nuove regioni o di un governatorato autonomo sia sufficiente un referendum popolare senza alcuna interferenza da parte del governo centrale. Inoltre, la Costituzione irachena prevede una netta divisione dei poteri tra autorità centrale ed autonomie: ad esempio, l’art. 110 suddivide gli ambiti di intervento nei quali il governo centrale può esercitare un potere assoluto (difesa nazionale, finanza, politica doganale ed esteri), mentre ai commi 1 e 5 dell’art. 117 vengono stabilite le responsabilità esclusive del governo regionale per tutto ciò che riguarda l’autorità giudiziaria, esecutiva e legislativa esercitata in ambito nazionale. Infine, le materie come sanità, educazione, infrastrutture e sicurezza sono gestite in maniera “concorrente” fra governo centrale ed autonomie locali.

NERO SU BIANCO – Ma il tema più scottante rimane lo sfruttamento delle risorse naturali sancito agli artt. 108 e 109. Ufficialmente il petrolio e gas sono di proprietà del popolo iracheno e i loro proventi devono essere distribuiti in modo equo e in base alla distribuzione degli abitanti in tutte le parti del Paese. La disputa sulla gestione delle risorse, concentrate nel Nord curdo e nel Sud sciita è, infatti, tra le cause principali dell’instabilità tra il governo federale di Baghdad e il Governo Regionale del Kurdistan Iracheno (KRG), entità federale autonoma il cui status gli consente di avere un proprio esercito, un servizio di intelligence e proprie istituzioni e che rivendica per sé i diritti sull’esportazione del petrolio presente nel proprio sottosuolo dal momento che, tuttora, gli è vietato commerciare autonomamente e legalmente il proprio oro nero. Proprio il problema dell'accentramento/decentramento dei poteri congiuntamente alla gestione delle rendite del petrolio – che rappresenta per l'Iraq il 95% delle entrate statali e il 70% del PIL – ha scatenato la crisi politica tra al-Maliki e al-Hashemi e tra governo centrale di Baghdad e autonomie locali.

TUTTI CONTRO TUTTI – In questa prospettiva si inserisce lo scontro tra le diverse etnie del Paese. Infatti, i sunniti di Iraqiya accusano il Premier di una gestione autoritaria del potere favorevole alla sua comunità sciita e funzionale all’Iran. Al-Maliki accusa, invece, Iraqiya e i sunniti di voler spaccare il Paese per favorire una gestione dello Stato sullo stile ba'athista, mentre, a loro volta, il blocco sciita e sunnita denunciano le volontà dei curdi iracheni di gestire autonomamente i proventi del petrolio in modo da creare un vero e proprio Stato autonomo che mira alla indipendenza e, dunque, alla disgregazione dell'attuale Iraq. Pertanto il quadro generale del Paese si presenta molto frammentato. Innanzitutto, bisognerà trovare un buon accordo tra le etnie in modo da superare l'attuale crisi politica che, anche se attualmente rientrata, è pronta a riesplodere in tutta la sua violenza rischiando nuovamente una paralisi politico-istituzionale. In secondo luogo, sarà importante scardinare le spinte indipendentiste dei curdi iracheni che acuiscono ulteriormente i problemi interni al Paese Infine, sarà utile mediare tra le diverse istanze delle tre comunità in modo da garantire un futuro di stabilità e progresso per un Paese appena rinato dalle ceneri della guerra contro Saddam Hussein. Giuseppe Dentice [email protected]

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