Entra nel vivo la campagna elettorale messicana. Settimana scorsa si è svolto il primo dei due dibattiti televisivi tra i quattro candidati alla Presidenza: tre esponenti dei partiti “tradizionali” più un potenziale “outsider”. In realtà, la corsa verso le urne sembra dominata dal conformismo e dalla difesa dell'attuale situazione politico-istituzionale. Direttamente da Città del Messico, vi proponiamo le impressioni e le sensazioni di chi vive la campagna elettorale osservandola dall'esterno
UN DIBATTITO ATTESO, MA NOIOSO – Finalmente! Il primo dei due dibattiti televisivi tra i quattro candidati alla Presidenza del Messico, gli unici momenti in cui si confronteranno e si combatteranno faccia a faccia durante tutta la campagna elettorale. Atteso con ansia e alla fine boicottato dalla Federazione del “Futbol” messicana che non ha spostato l’orario della partita di ritorno dei quarti della Liguilla, per permetterne la piena visione, il dibattito è stato pensato e strutturato per essere noioso, spezzato, non dinamico, con primi piani fissi. Quattro candidati, un minuto e mezzo a testa per rispondere a domande estratte ma a conoscenza dei candidati, da un'urna su cinque tematiche. Una presentatrice che estraeva e leggeva le domande. Non ci sono giornalisti, non ci sono domande scomode. QUADRI L'OUTSIDER – E come previsto, il dibattito annoia. Poche parole, poche proposte, tanta retorica e poche idee. Alla fine spunta la semplicità di Gabriel Quadri (foto sotto) che si mostra un po’ cittadino che vive in Internet e un po’ venditore di illusioni televisive (quantomeno “originale” l'idea della privatizzazione delle carceri al fine di combattere il narcotraffico). Ignorato dagli altri candidati, Quadri ha potuto proporsi come l’anima liberale, imprenditore, ma anche consulente e funzionario pubblico, facendo quasi dimenticare che rappresenta il PANAL, partito cuscinetto di Esther Gordillo, presidente del Sindacato dei Lavoratori dell’Educazione, che da anni si oppone a una vera riforma educativa.
I CANDIDATI “FORTI” – I veri contendenti al titolo di Presidente invece si sono affrontati a viso aperto, a volte ignorando le domande e continuando con il loro discorso. Josefina Vázquez Mota, candidata del Partido de Acción Nacional (PAN), ha accusato più volte Enrique Peña Nieto, esponente del Partido Revolucionario Institucional (PRI) e probabile vincitore di questa interminabile campagna, di corruzione, di non rispettare i compromessi, di non far funzionare la giustizia, tirando in ballo l’inefficacia delle indagini nel caso Paulette, bambina trovata morta in casa senza tracce del responsabile. López Obrador, candidato del Partido Revolucionario Demócrata (PRD), ha rincarato la dose di accuse di corruzione a Peña Nieto collegandolo con Arturo Montiel, ex governatore del Estado de México e dirigente del PRI, processato per corruzione e poi assolto, nonostante i documenti probatori presentati nel processo. Cosí López Obrador ha potuto proclamare il bisogno di cambio radicale, provocando Peña Nieto sul essere solamente una marionetta del gruppo di potere che è, secondo Lopez Obrador, la causa delle disuguaglianze in Messico. UNA CAMPAGNA ELETTORALE MEDIATICA – E mentre Peña Nieto cercava flebilmente di rispondere agli attacchi, la platea rimaneva attonita di fronte alla incompetenza dei candidati di presentare proposte concrete. Solo proclami e qualche annuncio da parte di Josefina e López Obrador. Peña Nieto invece ha mantenuto la sua fama di uomo televisivo ed è riuscito nella storica impresa di non dire come voleva realizzare i suoi infiniti compromessi che ha firmato dal notaio. È mancata poi dal dibattito una discussione attorno alla Presidenza di Felipe Calderón, né contro il suo operato né in sua difesa (da parte della Vázquez Mota, che è la candidata del suo partito).
Andrea Cerami (da Città del Messico) [email protected]