Analisi – A vent’anni dall’11 settembre, che ne ha stravolto la vita, una nuova minaccia incombe sulla “Città che non dorme mai”. Scossa nelle fondamenta, New York è alla ricerca di una nuova fuga in avanti, l’ennesima svolta di una città incapace di abdicare alle proprie luci e al proprio rango. Quello di faro irresistibile per chiunque desideri realizzare i propri sogni.
Quinta tappa di Metropolis, il viaggio del Caffè Geopolitico alla scoperta del futuro delle grandi città del pianeta. Dopo Berlino, è la volta di New York. Prossimo appuntamento giovedì 8 aprile con Tokyo.
“New York era la sua città , e lo sarebbe sempre stata”
(da “Manhattan”, di Woody Allen)
LE ALTISSIME TORRI
Innumerevoli sono i momenti di svolta nella storia di New York ma un unico, vero spartiacque ne spacca drammaticamente la trama: l’11 settembre. Una data che assomiglia a un marchio a fuoco impresso sulla pelle di una città che non è mai stata solo una città , è il mondo intero condensato in pochi chilometri quadrati aggrappato ai suoi vertiginosi grattacieli. Gli attentati terroristici contro il World Trade Center hanno sfregiato New York molto più di quanto l’attuale mausoleo di Ground Zero lasci pensare. Ne hanno mutato il sentire collettivo ma non il senso di sé. Nei mesi successivi agli attacchi, da più parti ci si interrogava su quale futuro attendesse la città e in particolare Manhattan, il suo cuore più esclusivo e iconico. E ancora una volta, come sempre, New York è ripartita risorgendo dalle proprie ceneri, stretta attorno al patriottismo che l’America sa darsi nei momenti più duri. Il nemico di stavolta però non è in carne e ossa, non ha un nome esotico ma non per questo è meno letale. La pandemia di Covid-19 sfida l’essenza stessa di una città fatta di grandi luci, di follie notturne, di un brulicare frenetico alla ricerca di vita o, in alcuni casi, solo di una nuova vita. Colpendo l’anima di New York se ne mette in discussione la sua stessa missione di dispensatrice di opportunità e realizzatrice di sogni.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – New York, tributo di luci nell’anniversario dell’11 settembre
LA CRISI
I numeri della pandemia sono impietosi per la Grande Mela. A marzo 2021, la conta totale delle vittime si attestava sulle 30mila persone circa, anche se sono stati somministrati sin qui 2 milioni di vaccini con l’obiettivo di arrivare a 5 milioni di dosi entro giugno. Sul piano economico, se la contrazione dell’economia globale della città si è limitata per ora allo 0,6%, i restanti parametri sono catastrofici. 626.400 i posti di lavoro persi nel settore privato, pari al 15% del totale, un tasso di disoccupazione salito al 13% dal 3,8%, 187mila le famiglie che hanno scelto di abbandonare New York nel 2020, più del doppio dell’anno precedente. Un’emorragia economica e sociale che mette in pericolo il futuro della città rivoluzionandone lo stile di vita, privandola degli spettacoli di Broadway (che ha perso 150 milioni di entrate), della vita notturna dei club esclusivi, della convivialità dei diner più periferici. Il turismo, voce fondamentale nell’economia newyorkese, ha visto chiudere circa 200 hotel su 700, un’ecatombe. Il sistema di trasporti pubblici, arteria cruciale nel connettere una metropoli così sterminata, ha registrato il 70% in meno di incassi, aprendo una voragine di 12 miliardi nel proprio bilancio. E se si prevede che una piccola impresa su tre non riaprirà più al termine della crisi, il risultato di questo bagno di sangue economico è un incremento della criminalità , che nel 2020 ha fatto registrare +97% di sparatorie e +44% di omicidi, record del decennio. Frutto anche di disperazione, impoverimento e diseguaglianze, nella città un tempo abituata a offrire un’opportunità a tutti.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Le strade deserte di Midtown
GHOST (MID)TOWN
Diseguaglianze, la parola più usata per descrivere New York negli ultimi anni, confrontando impietosamente la bolla che rendeva Manhattan sempre più inaccessibile ai comuni mortali a discapito degli altri bouroughs della città . La pandemia sembra aver colpito in maniera terrificante proprio Manhattan e il Bronx, ovvero i poli opposti. Se l’ex quartiere malfamato per eccellenza faceva registrare i parametri economici peggiori già prima della pandemia, la crisi ne ha aggravato la salute precaria, facendo balzare il tasso di disoccupazione dal 5,3% al 17,7%. Ma la ricca, iconica Manhattan non se la passa meglio. La grande fuga innescata dall’emergenza sanitaria, con il massiccio ricorso allo strumento del lavoro da remoto, non ha solo prodotto picchi fino al 112% nell’acquisto di case nei sobborghi (come a Westchester), ma ha dissanguato il cuore finanziario e lavorativo della città . L’84% dei lavoratori ormai a casa in pianta stabile comporta un tracollo medio degli affitti del 22% nel quartiere, e circa 16mila appartamenti vuoti nel picco di settembre, oltre ad un tracollo del 57% degli affitti di uffici rispetto all’anno precedente. Le stesse diseguaglianze che da anni attanagliano New York si rispecchiano nelle fasce di popolazione maggiormente colpite dalla crisi, ovvero soprattutto coloro che hanno meno di 25 anni, il 19% dei quali ha perso il proprio lavoro nel 2020. La speranza ora ruota attorno al pacchetto di 6 miliardi di aiuti che New York conta di ottenere dal governo federale, con la prospettiva di dare ossigeno quanto mai vitale per l’economia disastrata della città , mentre la pandemia continua comunque a far registrare circa 2.500 casi al giorno. La desertificazione degli uffici di Manhattan pone due questioni rilevanti, ai poli opposti. Da un lato potrebbe consentire di liberare enormi quantità di spazio destinate ad alloggi popolari, mettendo in pratica il cosiddetto “rezoning”, che consente di evitare quartieri ghetto e quartieri pressoché deserti a causa di prezzi inaccessibili, come Manhattan è ormai da anni. Dall’altro lato, però, perdere i ricchi contratti di affitto che banche d’affari e corporation hanno stipulato negli anni colpirebbe le entrate fiscali della città , costringendo a tagliare ulteriormente quei servizi essenziali sempre più necessari per ampie fette di popolazione già messe a dura prova. A rendere ancora più complicato il quadro si somma anche la crisi politica del Governatore Cuomo, eroe nei giorni più duri della crisi e ora finito nella polvere tra scandali sessuali e numeri opachi nella gestione della pandemia, mentre si avvia alla conclusione il mandato, non esaltante, del Sindaco De Blasio.
Lasciare New York non è mai facile, cantavano i Rem. E forse è in questo stato perennemente in bilico tra le luci sfavillanti di Times Square e i lupi di Wall Street da una parte, e la puzza della strada di “C’era una volta in America” e la rabbia di “Toro scatenato” dall’altra, che risiede il senso di New York. Nel non essere mai compiutamente né l’una né l’altra, potendo essere tutto, per tutti. Patria dei sogni e casa delle trasgressioni. Porto amorevole per chiunque abbia la ferocia di sottoporsi alla sua corsa selvaggia, ma meritocratica.
Vent’anni dopo quegli aerei e quelle lacrime, New York torna a chiedersi cosa ne sarà di lei. Forte della fede incrollabile nella propria missione e nel proprio passato. Intrepida, come i suoi grattacieli che si stagliano sempre più alti verso il cielo senza mai toccarlo, quasi sfidando divinità ignote. Ma timorosa che le ombre di vent’anni fa possano solo aver cambiato padrone, ma non sostanza.
Luca Cinciripini
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