Le immolazioni di giovani tibetani si susseguono ormai da parecchi anni, l’ultima in ordine di tempo il 18 gennaio. Per la Cina la regione è di importanza vitale e mai se ne priverĂ , la comunitĂ internazionale sembra indifferente. Proviamo a capire le origini di questi gesti disperati, attraverso una ricostruzione temporale, che spiega l’inizio del dominio cinese sul territorio tibetano e i tristi scenari che si prospettano per questo antichissimo popolo
UNO SGUARDO D’INSIEME – Venerdì 18 gennaio, un secondo tibetano, in questo inizio 2013, si è tolto la vita, nella provincia sud occidentale dell’ immensa regione cinese del Sichuan. Il macabro rituale è sempre lo stesso, urla e slogan per un Tibet libero e a favore del ritorno in patria del Dalai Lama, prima di appiccarsi il fuoco dopo essersi cosparsi di benzina. Tsering Phuntsok è la vittima numero 97 dal febbraio 2009. Cosa sta succedendo? Perchè così tante auto immolazioni? Il Tibet si estende su un terzo della repubblica popolare cinese ma i suoi sei milioni di abitanti sono appena lo 0,5% della popolazione. Questa regione di altipiani e catene montuose è sempre stata al centro di interessi strategici da parte dei suoi grandi vicini, Cina e India, poichè il controllo di quest’area implica, di conseguenza, il controllo di riserve d’acqua vitali per tutto il continente. Mekong, Yangtze, Fiume Giallo, Indo e Brahmaputra nascono qui, dove sono presenti inoltre, grossi giacimenti di Oro e Uranio. Interessi troppo grossi per non attirare l’attenzione.
ORIGINE DEL DOMINIO CINESE – Inizialmente, fu la Gran Bretagna, nel 1904, a spedire forze militari indiane nel territorio tibetano, per sanare una questione di confini, e per la prima volta, il ministro degli esteri cinese dichiarò, che era la Cina ad avere la sovranitĂ sul Tibet. Dall’invasione britannica della regione, vide la luce un trattato il cui punto saliente era quello che obbligava il Tibet all’ apertura dei suoi confini all’India britannica senza alcuna imposizione, di tasse doganali ai mercanti indiani o britannici. Il successivo trattato sino-britannico del 1906 impegnava gli inglesi a non annettersi alcun territorio tibetano e a non intromettersi nell’amministrazione di quel governo, ricevendo in cambio il consenso dei cinesi all’istituzione dei rapporti commerciali anglo-tibetani avvenuta nel 1904. Nel 1907 Gran Bretagna e Russia, nell’ambito della spartizione delle rispettive aree di influenza in Asia, si accordarono che, nel rispetto di quanto stipulato con i precedenti trattati del 1904 e 1906, fossero riconosciuti i diritti di controllo sul Tibet dei cinesi, ai quali veniva riconosciuto anche il diritto di intermediazione su tutti gli affari esteri tibetani. Al momento della proclamazione della nascita della Repubblica cinese nel 1912, il Tibet fu annesso come provincia della neonata repubblica. I tibetani risposero espellendo tutte le truppe cinesi di stanza a Lhasa e in altri centri del Tibet e il tredicesimo Dalai Lama dichiarò l’indipendenza del Tibet nel 1913. Le ultime truppe cinesi abbandonarono il Paese l’anno successivo. Lo scoppio della prima guerra mondiale e la successiva guerra civile, accantonarono momentaneamente l’interesse cinese per la regione, che tornò prepotentemente alla ribalta il 7 ottobre 1950, stesso giorno in cui i soldati americani varcavano il 38mo parallelo dando inizio alla guerra di Corea, che catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, dava il via libera all’invasione cinese del Tibet, senza alcuna obiezione internazionale. Nel 1959 quando il Dalai Lama in pericolo di vita fuggì in esilio in India, la repressione cinese aveva giĂ fatto 65.000 vittime e oltre 80.000 profughi, in fuga verso India e Nepal.
TIBET OGGI – Ancora oggi il Dalai Lama vive in esilio a Dharamsala nel nord dell’ India, considerato dalle autoritĂ cinesi come pericolo alla stabilitĂ interna. Negli ultimi anni, tra le regioni autonome, il Tibet è quella che riceve piĂą investimenti di tutti, il suo reddito regionale lordo è finanziato per il 75% da Pechino. Sono tuttavia investimenti mal distribuiti, destinati in gran parte alla costruzione di infrastrutture avveniristiche come la linea ferroviaria che da Pechino raggiunge Lhasa, capitale del Tibet, a circa 4000 metri di quota. Un gioiello ingegneristico che per ironia della sorte solo i cinesi possono permettersi, gli stessi cinesi di etnia “Han” che stanno colonizzando tutta la regione. Proprio questo è un altro tasto dolente dei difficili rapporti tra stato centrale e il paese culla del buddismo. Pechino incoraggia infatti milioni di cinesi a trasferirsi ogni anno a Lhasa e nelle altre principali cittĂ Tibetane per accelerare lo sviluppo economico e “annacquare” le tradizioni e l’identitĂ culturale di un popolo dalla tradizione millenaria. Le rivolte dei monaci e della popolazione locale si susseguono dagli anni ’60 e non hanno portato ad alcun risultato tangibile, Il Dalai Lama ha da tempo abbandonato l’obiettivo dell’indipendenza che, oggettivamente, non otterrĂ mai, e si accontenterebbe di un autonomia che preservi la cultura del suo popolo, ma anche sotto questo punto di vista la Cina pare non voler concedere alcunchè. A questo punto sorge una domanda: dov’è la comunitĂ internazionale? Il comportamento di Stati Uniti ed Unione Europea è molto, forse troppo prudente. Oggi con la Cina non si può scherzare, e bisogna pensarci molto bene prima di interferire negli affari interni del gigante asiatico, da cui, bene o male, tutti ormai dipendono a livello economico, e che considera sdegnoso e ostile  persino il fatto che le rappresentanze occidentali ricevano il Dalai Lama, come rappresentante di uno stato, che formalmente non esiste. Le immolazioni di giovani studenti e monaci, sono l’unico e ultimo tentativo di richiamare l’attenzione su una questione spinosa. A che prezzo lo sviluppo economico cinese è disposto ad arrivare per soddisfare le sue manie di grandezza e la sua leadership in Asia?
Filippo Carpen