In 3 sorsi – Nell’elezione del 16 gennaio la candidata Tsai Ing-wen ha conquistato la presidenza di Taiwan, regalando la vittoria al Partito progressista democratico con una maggioranza di voti schiacciante. La situazione non è rosea, tuttavia, per il candidato anti-Cina, con un’economia che ha chiuso l’anno in negativo e i rapporti con il gigante cinese che rischiano di deteriorarsi
1. ONE COUNTRY, TWO SYSTEMS – Dal 1949, anno della vittoria comunista nella Cina continentale e fuga nell’isola di Formosa da parte del partito nazionalista ä¸ĺś‹ĺś‹ć°‘黨 (ZhĹŤngguĂł GuĂłmĂndÇŽng), Cina e Taiwan sono legate da un rapporto peculiare. Entrambi i Paesi, infatti, titolano la loro capitale come capitale di una sola grande Cina (che comprende la Cina continentale, l’isola di Taiwan e Hong Kong). Storico alleato degli Stati Uniti, che ne garantiscono l’indipendenza con la vendita di cospicue quantitĂ di armamenti e protezione della flotta mercantile, Taiwan è considerata una provincia “ribelle” dal Partito Comunista – che vede come fine ultimo il suo assorbimento, come successo con Hong Kong nel 1997. Proprio con Hong Kong, infatti, la Cina sviluppò il principio “un Paese, due sistemi”, garantendo il mantenimento del sistemo politico ed economico di Hong Kong in cambio della cessione di sovranitĂ . Tale proposta venne allargata anche alla recalcitrante Taiwan, la quale rifiutò l’offerta ma, allo stesso tempo, alimentò la polarizzazione del sistema partitico su due schieramenti contrapposti con al suo fulcro il riavvicinamento con la Cina o una maggiore indipendenza. A tale proposito la Cina è sempre stata molto chiara: finchè il principio “una sola Cina” non viene messo in discussione non verrĂ presa alcuna misura per contrastare la de facto semi-indipendenza di Taiwan; se, tuttavia, Taiwan dovesse dichiarare formalmente la sua indipendenza dalla Cina, il regno di mezzo non esiterebbe a dichiarare guerra e riportare l’isola di Formosa con la forza nella sua sfera di influenza.
Fig. 1 – Tsai Ing-wen, neo Presidente taiwanese
2. UNA VITTORIA SCONTATA – Per la prima volta al Governo dal 2000 al 2008, il Partito Progressista Democratico sta cercando di sviluppare un sistema bipartitico che assicuri una alternanza al potere tra i due contendenti sul modello delle moderne democrazie. Nei settant’anni di vita di Taiwan, infatti, il partito nazionalista ha sempre controllato la vita politica del Paese, con un progressivo avvicinamento con la Cina: il PPD si oppone con forza all’integrazione del Paese nel sistema economico regionale della Cina, e ha caratterizzato la sua passata presidenza con un netto raffreddamento dei rapporti. La vittoria di Tsai Ing-wen non ha fatto altro che confermare i risultati dei sondaggi dell’ultimo anno: con una solida maggioranza al parlamento, i compiti della prima Presidente donna di Taiwan non sono, tuttavia, meno gravosi. Durante il suo primo discorso ha direttamente affrontato il tema dei rapporti con la Cina, dichiarando il suo intento di preservare sia lo status quo sia il sistema democratico del Paese. Le dichiarazioni della neo Presidente sono state ascoltate con attenzione dall’altra parte dello stretto, data la riluttanza nell’affrontare l’argomento durante la campagna elettorale della candidata. Accademica con una personalitĂ timida, Tsai Ing-wen conta sul supporto di Giappone e Stati Uniti per mantenere la stabilitĂ nell’area, destando preoccupazione tra i policy maker cinesi riguardo le sue vere intenzioni e possibili strategie.
Fig. 2 – Il settore dei semiconduttori di Taiwan è uno dei piĂą avanzati al mondo
3. UN’ECONOMIA VULNERABILE – I problemi per la neo Presidente coinvolgono anche la sfera economica. Nell’ultimo trimestre del 2015, l’economia di Taiwan, come quella di altri Paesi emergenti, è entrata in recessione, e le esportazioni hanno molto sofferto il calo della domanda mondiale. La ricetta economica di Tsai Ing-Wen prevede un aumento del salario minimo, una diminuzione delle ore lavorative settimanali (da 42 a 40) e la costruzione di circa 200.000 unitĂ abitative per garantire qualitĂ di vita superiore alla popolazione e rivitalizzare il settore delle costruzioni. Altro punto fondamentale del programma economico è una diversificazione del comparto economico legato alle esportazioni: il successo economico di Taiwan, e delle altre “tigri asiatiche”, è stato legato all’abilitĂ di sviluppare un export oriented model legato ai peculiari comparative advantage (vantaggi comparati) del Paese. Con lo sviluppo di altre economie emergenti – BRICS e Cina in particolare– tali vantaggi si sono ridotti, lasciando il Paese in difficoltĂ e in necessitĂ di una ristrutturazione sostanziale e di un ripensamento del proprio modello di crescita, legato eccessivamente all’altalenante domanda globale e all’integrazione economica con la Cina.
Federico G. Barbuto
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
La cosiddetta “protesta degli ombrelli” di novembre 2014 ad Hong Kong ha evidenziato tutti i limiti del principio “due sistemi, uno stato”, rafforzando il fronte del “no” taiwanese verso la Cina e facendo da volano alla sconfitta del partito pro-Cina . Una risoluzione della questione rispondente alle domande di Hong Kong potrebbe spostare di molto la polarizzata opinione pubblica taiwanese e riportare – prima o poi – l’isola sotto l’egida della Cina.[/box]