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Un anno problematico: outlook dei Paesi emergenti nel 2016

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Il 2016 si prospetta come un anno difficile per i paesi emergenti. Stretti tra valute oscillanti, rallentamenti economici e bassi prezzi per le materie prime, il gruppo eterogeneo dei Paesi emergenti si troverà a fronteggiare un anno pieno di incertezze

FINE DI UN CICLO? – Dal 2008 al 2015 i Paesi emergenti sono stati le indiscusse stelle dell’economia mondiale; caratterizzati da un reddito intermedio (tra il 10 e il 75% di quello europeo), uno sviluppo rapido e una trasformazione delle infrastrutture economiche e sociali, tale insieme di Paesi è alquanto eterogeneo. Ai cosiddetti BRICS si affiancano un gruppo di Paesi, tra i quali Turchia, Messico, Indonesia, Malesia, Emirati Arabi, Corea del Sud, Cile e Colombia, non connessi tra loro né da modelli economici, né da volontà politica comune, né da prossimità geografica.
Un’analisi sui fattori che incideranno sulle economie di tali Stati è, tuttavia, possibile se si esaminano sistematicamente le criticità e vulnerabilità sottese allo status stesso di “Paese emergente”: la volatilità dei prezzi delle materie prime e dei tassi di cambio sono fondamentali per la comprensione delle dinamiche interne di questi paesi e delle loro declinazioni nello scenario internazionale.

MATERIE PRIME – Gli alti prezzi delle materie prime sono stati la causa dietro l’ascesa di molti Paesi esportatori; non solo petrolio ma anche rame, acciaio, carbone, gas e grano hanno vissuto un lungo periodo di scambi a prezzi molto alti. Tale dinamica dei prezzi ha consentito agli esportatori di incrementare nettamente le entrate governative e di avvalersi di una politica economica espansiva (Russia, Emirati Arabi e Venezuela sopra tutti). L’evoluzione dei prezzi dei prodotti petroliferi è particolarmente significativa per la comprensione di tale driver nei paesi indicati: con prezzi al momento tra i $30-$35 al barile, l’Arabia Saudita prevede uno stabilizzarsi del prezzo intorno ai $40 e il Venezuela una caduta fino a $20. Con il significativo rientro dell’Iran nella comunità internazionale circa 500mila barili in più verranno estratti al giorno, mentre – al contrario – negli Stati Uniti le compagnie di shale oil stanno tagliando le stime – e fallendo a ritmi preoccupanti – e le nazioni dell’America Latina hanno bloccato l’esplorazione di nuovi pozzi, confermando la generale tendenza che vede a ribasso la crescita economica e tagli sostenuti alle spese correnti.

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Fig. 1 – La dinamica al ribasso del petrolio è uno dei problemi più gravi per gli emergenti

Il rallentamento cinese, ormai sempre più definito nel suo new normal, non fa altro che aggravare la spirale negativa delle materie prime legate a costruzioni ed elettronica, esacerbando il trend attuale.
A ciò fa controparte il gruppo di Paesi importatori (Filippine, Corea, Pakistan e India), dove i prezzi bassi delle materie prime consentono alle imprese un miglioramento dei margini e una conquista di maggiori quote di mercato internazionale.

TASSI DI CAMBIO – Altro fattore fondamentale per la comprensione delle dinamiche degli emergenti è la volatilità dei rispettivi tassi di cambio. L’indice emerging markets currencies ha perso quest’anno il 14%, con punte negative per i Paesi esportatori di risorse (Russia, America Latina e Sud Africa principalmente). Le origini dietro questa volatilità si possono trovare nelle oscillazioni già descritte delle materie prime e nelle decisioni della Federal Reserve in materia dei tassi d’interesse del dollaro. In risposta alla crisi del 2008 sia la Fed che le principali banche centrali occidentali hanno abbassato il costo del denaro arrivando vicino allo zero; con la crisi dietro le spalle e una ripresa solida, la Fed di Janet Yellen ha deciso nelle scorse settimane di alzare il costo del dollaro per la prima volta dall’inizio della crisi. Nel 2016 è verosimile che altri 3 o 4 innalzamenti riporteranno i tassi d’interesse in linea con le necessità della solida economica americana al fine di diminuire i rischi di una bolla finanziaria. È bene notare come i tassi di interesse bassi dovrebbero stimolare gli investimenti e creare nuovi posti di lavoro ma oggi però l’effetto rischia di essere negativo, creando bolle, distorsioni nelle valute e no profit loans in tutto il mondo.

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Fig. 2 – Sede della Federal Reserve, banca centrale americana. 

WILD CARDS E PROSPETTIVE – Le mosse della Federal Reserve – principalmente il ritmo con cui i tassi saranno alzati – e il prezzo del petrolio sono le grandi incognite del 2016. Quest’ultimo, specialmente, è considerato il cigno nero che può stravolgere tutto, a dispetto delle previsioni dell’Arabia Saudita di un prezzo sui $40: se alcuni analisti del Sud America vedono possibile che cada fino a $10 altri hanno ipotizzato una ripresa fino a $80.
La Cina è un altro elemento da tenere in considerazione: con una crescita prevista – ufficialmente – al 6,8% ed un’inflazione sostenuta, il regno di mezzo rischia la tempesta perfetta tra debito crescente, crisi borsistica, disoccupazione in aumento e crescenti Non-Performing Loans, ovvero i crediti inesigibili.
È tuttavia improbabile che si arrivi ad una crisi simile a quella del 1998, in quanto i Paesi emergenti (con eccezione di Turchia e Sud Africa) sono meglio equipaggiati alla volatilità del mercato, sia grazie alle riserve di dollari accumulati come cuscinetto di una possibile crisi valutaria sia alle politiche macroeconomiche più caute messe in atto nella maggior parte dei Paesi emergenti.

Federico G. Barbuto

Foto: Global Water Partnership – a water secure world

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Federico G. Barbuto
Federico G. Barbuto

Laureato in Scienze Politiche alla LUISS di Roma, dove ho anche conseguito un MA in International Relations, mi sono trasferito in Cina nel 2012 dove ho ottenuto un MA in Economics presso la Renmin University of China. Dopo aver lavorato in una compagnia di investimenti mi sono trasferito prima in Colombia e poi in Belgio, dove lavoro nel mondo dell’UE.

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