Si è svolto a New York l’atteso incontro trilaterale tra Obama, il premier israeliano Netanyahu e il Presidente palestinese Abu Mazen. Al di là del solito teatrino – strette di mano, foto, sorrisi – non si registra il benchè minimo passo in avanti tra le parti. Ancora una volta, dunque, niente di nuovo sul fronte mediorientale
SIPARIO – Prima.
“La sovranità israeliana di Gerusalemme non è in discussione, qualsiasi limitazione è inaccettabile, Gerusalemme unificata è la capitale di Israele” “Vogliono ebraicizzare Gerusalemme Est” “Uno Stato palestinese? Solo se smilitarizzato, e dopo aver riconosciuto Israele come Stato ebraico” “A queste condizioni non basteranno mille anni prima di tornare a negoziare” “I Palestinesi si aspettano un congelamento totale degli insediamenti, ma è chiaro che questo non accadrà” “Gli Israeliani stanno sabotando il processo il pace; questa è la fine delle negoziazioni” “Dobbiamo permettere una vita normale agli Ebrei che vivono in Cisgiordania” “Mai negoziati senza un congelamento totale degli insediamenti. Basta aspettare, creiamoci da soli dall’interno uno Stato palestinese de facto” “L’iniziativa unilaterale palestinese non contribuisce a creare un dialogo positivo tra le parti” “L’occupazione israeliana è l’unico ostacolo alla stabilità, alla prosperità e al progresso del nostro popolo”
Domenica 20 Settembre. Voce fuori campo.
“La Casa Bianca annuncia ufficialmente che martedì 22 il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, avrà un incontro trilaterale a New York con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu e il Presidente dell'Autorità palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen), nell'ambito del tentativo di rilanciare il processo di pace in Medio Oriente”
Martedì 22 settembre. New York.
“Vi sono stati progressi. I negoziati di pace devono ripartire al più presto, senza precondizioni” “C'è stato un accordo generale, anche da parte dei Palestinesi, sul fatto che il processo di pace deve riprendere appena possibile, senza precondizioni”
Sorrisi. Strette di mano. Foto. Rientro a casa.
Dopo.
“Non è iniziato alcun negoziato. Questo incontro preliminare non aggiunge nulla alle posizioni esistenti. Le differenze sugli insediamenti rimangono le stesse” “È stata solo un’opportunità per fare un po’ di foto” “Non posso negoziare con Netanyahu. Il suo governo è un problema reale” “Israele non accetterà nessun accordo per riportare i confini a quelli del 1967 come condizione per tornare a trattare la pace” “Non c’è terreno comune per i negoziati. Definiscono Gerusalemme e i profughi questioni non negoziabili, di cosa dovremmo parlare?” “Nessuna pace finchè i Palestinesi non accettano Israele come Stato ebraico” “Non possiamo ricominciare ancora da zero” “Non congeleremo la vita negli insediamenti” “Uno stop temporaneo agli insediamenti non è un congelamento”
Buio.
SOLO UNA MESSA IN SCENA – Una replica. Un copione già visto. La scorsa settimana, gli incontri dell’inviato speciale americano in Medio Oriente George Mitchell con Netanyahu e Abu Mazen non avevano portato a nulla, in particolare a nessun accordo sul congelamento israeliano degli insediamenti (Nella foto il più grande insediamento israeliano, Maale Adumim, al di là del muro che divide Israele dai Territori palestinesi). Così Obama prima dell’Assemblea Generale dell’Onu ha provato a metterci la faccia, con questo incontro trilaterale che più volte è sembrato sul punto di saltare. Non serve aggiungere granchè al teatrino appena presentato. Alcuni giornali in Italia hanno parlato di nuove speranze per il processo di pace, e di un Obama che si è tolto la soddisfazione di vedere i due leader stringersi la mano. Soddisfazione parecchio magra, per la verità. Buoni propositi, idee di negoziati conclusi in due anni, ma di concreto meno di niente. Come, d’altronde, era esattamente previsto da tutte e tre le parti.
COMANDA LA POLITICA INTERNA – Perché questo teatrino? A livello internazionale, i due leader devono farsi vedere almeno disponibili all’idea di negoziare per superare i punti di contrasto e per giungere prima o poi ad un accordo. Ma a livello interno, al di là del fatto che non vi è una effettiva volontà a trattare, nessuno dei due ha una leadership abbastanza forte per poter veramente negoziare su alcuni punti fermi. Entrambe le parti sono così ostaggio di ali estreme (estrema destra nazionalista e religiosa per Netanyahu; Hamas e ampie parti del suo stesso partito, Fatah, per Abu Mazen) che non vogliono assolutamente trattare, e che trascinano con sé larghe fette delle due opinioni pubbliche. E in questi casi, la politica interna conta assai più di quella internazionale, soprattutto quando, come in questo caso, scelte impopolari per le opinioni interne significano serie possibilità di veder crollare la sopravvivenza della propria leadership. E così, come si è visto dalla scena del copione, le dichiarazioni di questi due giorni sono pressochè simmetriche a quelle precedenti il vertice trilaterale. Dunque, nonostante questo incontro a tre, nulla di nuovo all’orizzonte. Come aveva detto lo storico israeliano Benny Morris, “Tutto quello che mi aspetto da questo incontro sono tante foto e tanti sorrisi”. Di sorrisi, per la verità, non se ne sono visti neanche troppi.
Alberto Rossi [email protected]