In Egitto la comunità copta-cristiana sembra essere di nuovo nel mirino dei fondamentalisti musulmani. Ma è davvero così? O piuttosto al Cairo c’è chi manovra tali scontri per fini tutti politici e poco religiosi?
TRAGICO NATALE – Non è facile la vita per i cristiani copti presenti in Egitto, circa il 10% della popolazione totale di più di 80 milioni di persone. Così come in altri Paesi mediorientali, le minoranze cristiane (con le sole eccezioni, forse, di Siria, Libano e Giordania) devono subire condizioni di quasi subalternità nei confronti delle maggioranze musulmane, così come accade nell’ormai radicalizzato Iraq o nella patria dell’Islam, terra santa per eccellenza, l’Arabia Saudita. L’ultimo episodio di violenza nei confronti di comunità cristiane è avvenuto l’altroieri nel Sud dell’Egitto, a poche decine di chilometri dalla famosa località archeologica di Luxor, nel villaggio di Nag Hammadi. In occasione delle festività per il Natale copto, poco prima della tradizionale messa di mezzanotte, un gruppo di uomini armati ha sparato all’impazzata dalle macchine in corsa contro i fedeli, uccidendo almeno sette persone, tra cui anche un poliziotto egiziano, come riporta lo stesso Vescovo della Diocesi, Kirollos.
L’AGGUATO – L’azione sarebbe stata portata a termine, secondo alcune testimonianze, come sorta di vendetta per il presunto stupro di una dodicenne da parte di membri della comunità copta, avvenuto sempre nel villaggio di Nag Hammadi lo scorso novembre. Già in quei giorni vi furono diversi disordini nella zona e, per cinque giorni consecutivi, le proprietà dei cristiani furono date alle fiamme e distrutte, senza che il governo centrale riuscisse a riportare la calma. Sarebbero poi seguite le minacce dirette contro lo stesso Vescovo Kirollos, tramite un sms che avrebbe recitato: “adesso tocca a te”. Anche per questo il Vescovo temeva potessero accadere altri episodi di violenza contro la propria comunità durante le festività per il Natale, ma mai nessuno avrebbe immaginato che vi potesse essere un esito così drammatico, con almeno 7 morti e altri due feriti in fin di vita, come risultato dell’azione di un vero e proprio commando.
I COPTI VISTI COME OPPOSIZIONE – Del resto, non è neanche la prima volta che si manifestano delle violenze interreligiose in Egitto, ma ciò che sembra essere più preoccupante per la comunità copta è la non reazione da parte del governo del Cairo, quasi come se a quest’ultimo in qualche modo le cose andassero bene così, con i Copti ridotti a minoranza senza voce. Anche dopo la sparatoria-agguato di mercoledì scorso, nel momento in cui una folla di centinaia di cristiani si è riunita intorno alla sede della polizia locale per chiedere un intervento che facesse giustizia del crimine subito, la risposta delle forze dell’ordine è stata data più con i lacrimogeni che con le indagini e, successivamente, ne sono nati dei violenti scontri in strada tra i Cristiani e la polizia. La mente torna anche allo scorso maggio, quando in pieno allarme mondiale per la cosiddetta influenza suina, il governo di Mubarak ordinò l’abbattimento di migliaia di capi di bestiame suini, unica fonte di sostentamento per gran parte della comunità copta (i Musulmani non consumano carne di maiale), nonostante molte agenzie e organizzazioni internazionali avessero ribadito che fosse una misura del tutto inutile e ingiustificata. Anche in quel caso vi furono veementi proteste da parte dei Copti e, anche in quel caso, la risposta del governo fu affidata ai manganelli della polizia. Obiettivo evidente di quell’azione era quello di indebolire sensibilmente la cospicua minoranza cristiana in Egitto, vista come una possibile fonte di opposizione al regime, soprattutto con le elezioni presidenziali alle porte (si terranno il prossimo anno, 2011 e Hosni Mubarak, ormai più che ottuagenario, potrebbe non ricandidarsi e starebbe dunque preparando la successione del figlio Gamal).
CARTE SCOPERTE: EGITTO ALLA DERIVA – Si arriva dunque ai veri equilibri interni all’Egitto ed ai problemi reali cui il regime deve far fronte. La situazione interna socio-economica sembra precipitare sempre di più verso scenari poco sereni: sempre più frequentemente si registrano proteste e manifestazioni popolari contro l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei beni di prima necessità come il pane, mentre la disoccupazione avanza e il lavoro in nero sembra essere l’unico sbocco possibile per centinaia di migliaia di egiziani. Il governo centrale continua da decenni ad essere il centro di un sistema di corruzione che sembra immobilizzare il Paese, nonostante gli ingenti aiuti militari ed economici che arrivano dall’alleato strategico statunitense. La casta militare continua ad esercitare un potere di influenza che in parte ancora condiziona pesantemente le scelte di Mubarak, in attesa che le Presidenziali del 2011, qualsiasi sia il successore dell’attuale Presidente, possano segnare un cambio di rotta e portare al primo Presidente non militare della storia dell’Egitto moderno (ma, in tal caso, la reazione dell’Esercito è tutta da vedere). Sul piano politico, l’opposizione continua ad essere repressa: la Fratellanza Musulmana pare essere l’unica vera alternativa al governo attuale, ma anche in questo caso preoccupa la possibile deriva fondamentalista che si potrebbe verificare, viste anche le infiltrazioni di gruppi come Hezbollah e Hamas in territorio egiziano (provate dal sequestro di armi e dagli attentati sventati nelle aree turistiche del Mar Rosso). In questa cornice, anche la comunità cristiana è possibile fonte di problemi per il governo. Calcoli politici, altro che scontro di civiltà. Ecco perché Il Cairo tollera e non punisce episodi come quello di Nag Hammadi e, in tal modo, mette l’una contro l’altra le comunità cristiana e dei Fratelli Musulmani, che potrebbero invece costituire un inedito nuovo asse di opposizione.