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Elezioni e futuro

In Iraq le elezioni hanno visto una buona partecipazione popolare, ma purtroppo anche i consueti attentati. Ecco i possibili esiti del voto, in un Paese ancora instabile e problematico

I NUMERI – Diciotto province e 19 milioni di potenziali elettori chiamati a scegliere fra ben 6.100 candidati. Trentotto morti ed oltre 110 feriti. Attacchi concentrati a Baghdad e 50 colpi di mortaio sparati sulla capitale: ben tre all’interno della teoricamente intoccabile Green Zone. Questi, finora, i numeri delle elezioni in Iraq. Ancora una volta le consultazioni irachene si trasformano per alcuni nell’ennesimo bagno di sangue in un paese che fatica non poco a trovare una propria stabilità interna. Nonostante gli attacchi però l’affluenza alle urne è stata comunque abbastanza alta. Sebbene non vi siano risultati ufficiali pare che la partecipazione degli iracheni sia giunta a quota 62%, dati inferiori al 2005 (76%), ma comunque molto importanti se consideriamo che in alcune zone sunnite si è toccato quota 90%, nonostante l’emittente araba al-Jazeera abbia comunque parlato comunque di affluenza modesta. Attraverso le consultazioni elettorali l’attuale premier Nuri al-Maliki cerca una riconferma per sé e per la propria coalizione a maggioranza sciita. Di contro il principale sfidante Iyad Allawi, a capo di forze sunnite, prova ad insidiare non senza speranze la leadership di al-Maliki. Tuttavia sembra improbabile che uno dei due riesca da solo a portare a casa tutti i 163 seggi che servirebbero in parlamento per formare un governo senza il supporto di altre coalizioni. Più probabile l’ipotesi di un’alleanza di più ampio raggio, anche se al momento non sembrano sussistere i termini per un accordo bipartisan. E questo principalmente per due motivi: preesistenti tensioni personali tra i due leader ed una campagna preelettorale alquanto tesa e segnata da divisioni e veleni. 

QUALE ESITO? – I primi risultati parziali saranno disponibili l’11 marzo, mentre per quelli definitivi, se non ci saranno intoppi, si dovrà attendere il 18. Secondo indiscrezioni della stampa sembra comunque che al-Maliki sia in testa con la sua Alleanza per lo Stato di Diritto nelle città di Najaf, Bassora e Kerbala. Altre fonti giornalistiche indicano invece il Blocco iracheno di Allawi come vittorioso nelle quattro aree a maggioranza sunnita (Anbar, Salahedinne, Ninive, Diyala), mentre sarebbe giunto secondo nelle regioni sciite. In base ai primi dati pare che saranno i 68 seggi della capitale a determinare la coalizione vincente poiché le regioni sunnite e sciite non sembrano aver fornito risultati a sorpresa. Anche l’area curda segue fedele il partito dell’Alleanza Curda che a Kirkuk pare essere saldamente in testa alle preferenze dei locali. Le difficoltà comunque arriveranno dopo che le luci internazionali si saranno spente e dopo che la stampa mondiale avrà cessato di elogiare il ritorno alla democrazia del paese iracheno. Le sfide che attendono Baghdad sono infatti molteplici. Prima della formazione del nuovo esecutivo si dovrà ravvisare se brogli e ricorsi non infiammeranno il clima post-elettorale. In tal direzione si è già mosso il presidente iracheno Jalal Talabani il quale ha chiesto che tutte le fazioni rispettino l’esito finale del voto. Per garantire l’effettiva regolarità delle votazioni l’UE ha schierato, sotto l’egida dell’Onu, 120 osservatori dislocati tra le città di Bagdad, Bassora e nella regione del Kurdistan iracheno.

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I PROBLEMI – Qualora il risultato soddisfi tutte le forze politiche, si passerà poi all’effettiva formazione del governo. E qui sorge un ulteriore problema. Secondo fonti diplomatiche statunitensi ci potrebbero volere alcuni mesi perché questo accada (nel 2005 s’impiegarono quasi 5 mesi) ed il vuoto di potere che verrebbe a crearsi dal 16 marzo (data della scadenza dell’attuale mandato governativo) appare come un pericoloso buco nero. La costituzione irachena non prevede infatti alcuna forma di governo provvisorio ed il rischio di scontri tanto a sfondo religioso quanto di natura tribale è una realtà che non può essere ignorata. Ci si chiede poi come sarà gestito il ritiro delle truppe americane dal paese considerando che fra meno di 6 mesi Washington richiamerà tutti i soldati di stanza in Iraq. Nonostante i 200mila soldati iracheni in assetto da guerra, i divieti di circolazione per i mezzi privati, le frontiere chiuse e gli  aeroporti blindati, l’Iraq è stato comunque scosso da violenti attentati che hanno insanguinato la vigilia elettorale. Come si potrà allora garantire la quotidiana sicurezza dei cittadini iracheni ed una stabilità statale se nonostante l’assetto da guerra di questi ultimi giorni il sistema di sicurezza è stato trapassato più volte, in più luoghi ed in più occasioni? Certamente l’allungamento della missione USA nella regione altro non farebbe che scatenare rivolte e proteste, ma del resto anche un loro disimpegno potrebbe aprire a scenari non certo rassicuranti. Lo spettro della guerra civile non è scacciato, e potrebbe materializzarsi in qualsiasi momento. Al di fuori di ogni considerazione politica resta però un dato di fatto. La popolazione locale ha dimostrato una voglia di normalità che ha superato la paura ed il timore degli attentati. Mentre al-Maliki votava al sicuro all’interno della Green Zone, i cittadini comuni hanno sfidato i divieti e minacce dei gruppi terroristici affollando in alcuni casi fino a tarda notte i seggi elettorali. Nonostante le elezioni siano state precedute da attentati e nonostante il futuro del paese appaia quanto mai incerto, questi ultimi giorni hanno dimostrato come il popolo iracheno voglia realmente voltare pagina. Almeno loro.  

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