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Il TTIP è davvero morto?

Il ministro dell’Economia tedesco ha bollato come «de facto falliti» i negoziati inerenti all’accordo transatlantico. Ma il TTIP è davvero morto? E, se lo fosse, quali potrebbero essere i risvolti geopolitici per l’Unione Europea? Facciamo il punto sulla trattativa commerciale più delicata, complessa e polarizzante degli ultimi anni

BOTTE E RISPOSTE – Che la trattativa in merito al partenariato transatlantico andasse a rilento – data la vastità della materia e le enormi implicazioni che seguirebbero un simile accordo – era noto a tutti; il modo lapidario – «I negoziati con gli Usa sono de facto falliti […]» – con il quale, però, il ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel sembra avere chiuso a ogni possibilità di prosecuzione dei negoziati ha sorpreso numerosi commentatori e, data l’estrema polarizzazione nelle opinioni alla quale l’accordo in fieri è soggetto, ha generato un nugolo di reazioni a livello di opinione pubblica, analisti e figure istituzionali. A tale riguardo, il viceministro del commercio estero francese Matthias Fekl ha sostenuto che non ci sarebbe più il sostegno politico della Francia ai negoziati, facendo eco, in tale modo, al collega tedesco e creando, quantomeno a livello ministeriale, un asse franco-tedesco ostile alla possibile partnership transatlantica. Rimanendo sulla direttrice Berlino-Parigi, poi, affermazioni critiche in merito alla possibilità di concludere un accordo sono giunte anche dal Primo Ministro belga Charles Michel, il quale, pur riconoscendo le potenzialità di un accordo di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, si è timidamente espresso in favore di una sospensione delle trattative al fine di trovare un migliore equilibrio complessivo nelle proposte. Nonostante l’esistenza di importanti nomi contrari all’accordo, però, è indubbiamente presto per poterlo considerare un progetto morto. Numerose, infatti, sono le voci levatesi in difesa dello stesso e, prima tra tutte, quella della Cancelliera Merkel che, in contrasto con le affermazioni del suo vice, ha sostenuto la necessità di una prosecuzione dei negoziati in quanto questi potrebbero portare – tra le altre cose e una volta compiutisi positivamente – alla diminuzione della disoccupazione, nodo cruciale per la situazione macroeconomica europea. In sintonia con il leader tedesco, poi, si sono espressi, tra gli altri: il presidente della Commissione Europea Junker, che ha sostanzialmente ricalcato le parole di Merkel; il commissario europeo al commercio Cecilia Malmström, che ha affermato di avere il sostegno di numerosi Paesi europei in disaccordo con le posizioni francesi; il premier danese Rasmussen, che ha chiesto un’accelerazione per firmare il TTIP entro l’anno; numerosi esponenti del mondo industriale, che hanno espresso il loro sostegno alla prosecuzione delle trattative, e, per finire, il ministro dello Sviluppo economico italiano Carlo Calenda, che ha ricordato come il mandato alla Commissione Europea sia stato conferito all’unanimità dagli Stati membri e che spetta a essa trattare.

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Fig. 1 – Angela Merkel discute con Sigmar Gabriel prima di una seduta del Bundestag

CRITICITÀ – Tuttavia, a dispetto delle rassicurazioni, la strada del TTIP, seppure non ancora interrotta, appare indubbiamente ancora più tortuosa di quanto non fosse già in partenza. Molteplici variabili sfavorevoli alla possibilità di giungere a un accordo, infatti, si sono palesate negli ultimi mesi. Innanzitutto, il voto a favore della Brexit, anche se questa non è ancora effettiva, sta allontanando dall’UE un importante membro schierato per il libero commercio, e ciò potrebbe rendere più difficile ad altri Paesi allineati sulle medesime posizioni resistere al ritorno del protezionismo, tendenza rafforzatasi negli ultimi anni. In secondo luogo esiste un problema, sempre più diffuso nell’opinione pubblica, di sfiducia verso le istituzioni politiche – sia a livello europeo che, soprattutto, a livello statuale. La crescita di movimenti populisti, spesso ostili alle politiche dell’Unione Europea così come al libero commercio, crea delle difficoltà sempre maggiori ai leader dei Paesi UE: la necessità di soddisfare l’opinione pubblica al fine di ottenere consensi, infatti, obbliga gli stessi a posizioni meno aperte su numerose questioni tra cui, appunto, la possibilità di siglare un accordo con le caratteristiche del TTIP. Nel 2017, ad esempio, in importanti Stati europei quali Francia e Germania si terranno elezioni cruciali – presidenziali le prime, per il rinnovo del parlamento le seconde – e tale contesto, visto quanto appena sostenuto, rende la possibilità di una firma dell’accordo in tempi rapidi assai improbabile. Ciò, però, solleva ulteriori perplessità circa il futuro del TTIP: oltreoceano, infatti, la situazione appare similare a quella europea, con la forte ascesa di posizioni protezionistiche (Trump) o di sfiducia, quantomeno a livello di dichiarazioni, verso i due grossi accordi di libero scambio – TTIP e TPP – per i quali l’amministrazione Obama si è spesa in maniera sensibile (Clinton). La futura presidenza americana, dunque, potrebbe non rappresentare un partner favorevole con il quale siglare un simile trattato. Infine, a complicare ulteriormente il quadro, è arrivata la decisione di sottoporre al voto dei parlamenti dei singoli Stati membri dell’Unione il CETA – l’accordo di libero scambio siglato con il Canada – in quanto considerato “misto” e non unicamente commerciale: nella seconda casistica, infatti, la responsabilità di approvazione o respingimento è delegata esclusivamente all’UE. Il precedente avrà sicuramente ricadute importanti sul TTIP: innanzitutto, in caso di respingimento del trattato firmato con il Canada è molto probabile che il TTIP subirebbe la medesima sorte; secondariamente, essendo l’iter più lungo, il rischio di un’interruzione dovuta al voto contrario di uno o più parlamenti nazionali è altissimo.

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Fig. 2 – Proteste in Germania contro TTIP e CETA, 17 settembre 2016

IL NODO GEOPOLITICO – Il nocciolo della questione, però, risiede nelle ricadute geostrategiche che seguirebbero il successo o il fallimento del negoziato. I mutamenti nella distribuzione del potere relativo globale, infatti, stanno ponendo sempre più i Paesi “occidentali” in diretta competizione con nuove realtà quali, ad esempio, colossi asiatici come Cina e India e la loro forza emergente sta spostando il baricentro degli equilibri mondiali. Se per gli Stati Uniti, potenza egemone, questo è, naturalmente, un problema, lo è a maggior ragione per l’Unione Europea: mentre Washington, nonostante la concorrenza, resterà a lungo il centro nevralgico degli scambi mondiali, Bruxelles rischia di essere tagliata fuori. Il tentativo americano di operare il “pivot to Asia”, ad esempio, rende inquiete le élite europee, timorose di diventare pedine sempre meno importanti sullo scacchiere internazionale, e chiarifica quanto appena sostenuto. L’entrata in vigore di un accordo come il TTIP, invece, costituirebbe un’importante inversione rispetto al trend in atto: riporterebbe, in prima battuta, il centro del commercio globale sull’Atlantico – in quanto darebbe vita al più grande mercato mondiale, che, in virtù della sua dimensione, definirebbe gli standard per tutti gli altri; in seconda battuta, e corollario della precedente, permetterebbe all’Unione Europea, dati i legami che si verrebbero a creare, di sfruttare meglio il suo peso economico per raggiungere risultati politici; infine, contribuirebbe a creare «tra USA e UE, una relazione più strategica, dinamica e olistica, che sia più sicura ed efficace nel coinvolgere i Paesi terzi e nell’affrontare le sfide globali e regionali, e che sia più capace di rafforzare le regole di base dell’ordine internazionale». Accanto ai vantaggi, però, esistono dei possibili risvolti geopolitici negativi e, sopra ogni altro, il fatto che i Paesi emergenti potrebbero vedere con ostilità un accordo capace di portare alla chiusura dell’“occidente” rispetto alle realtà emergenti. Una simile possibilità, tuttavia – visto anche l’impegno statunitense ed europeo per la diffusione dei principi liberal-democratici e per l’integrazione economica mondiale, e salvo l’acuirsi delle tensioni per motivi esterni all’accordo stesso – non sembra in linea con gli intenti di Washington e Bruxelles. In compenso ai rischi ipotetici, con la ratifica della partnership transatlantica avremmo una rivitalizzazione dell’“occidente” e una possibilità in più di sostenere il traballante ordine liberale globale. Nel caso in cui il TTIP fallisse, invece, oltre a svanire i benefici di cui sopra, per l’Europa il pericolo sarebbe quello di scivolare sempre più verso la periferia degli affari globali. Escludendo le altre, seppure importanti, variabili e tracciando un’analisi strettamente geopolitica, dunque, il TTIP sembra capace di portare con sé, quantomeno per l’insieme euro-atlantico, molti più pregi che difetti.

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Fig. 3 – Mappa mondiale centrata sull’Atlantico disegnata da Joan Blaeu (1596-1673)

QUALE FUTURO? – Dato l’insieme di variabili sopra presentato, il destino del TTIP si mostra appeso a un filo: Parigi, soprattutto, sembra volere pressare al fine di ottenere una sospensione delle negoziazioni, mentre dall’Italia proviene una proposta inerente alla possibilità di siglare un “TTIP lite entro la fine dell’anno. Ambedue le posizioni, però, non sembrano suscitare particolare entusiasmo a livello europeo. Con ogni probabilità, dunque, le trattative si protrarranno, seppure immerse in un clima di aumentata diffidenza e, conseguentemente, con accresciute difficoltà. È lecito attendersi che, dato l’anno turbolento – dal punto di vista istituzionale – che attende Unione Europea e Stati Uniti, le questioni più delicate legate al partenariato transatlantico verranno parzialmente accantonate in vista di un clima di maggiore stabilità che si avrà a partire dal secondo semestre del prossimo anno. Concludendo, è lecito affermare che il 2017 appare come anno cruciale per il futuro del TTIP: se le trattative dovessero superare tale scoglio, infatti, le probabilità di arrivare alla firma dell’accordo aumenterebbero notevolmente, soprattutto qualora il CETA venisse ratificato dagli Stati dell’UE. In caso contrario, probabilmente, ci vorranno anni prima di tornare a discutere di un simile, enorme, progetto.

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

  • Per approfondire l’impatto geopolitico sulle relazioni transatlantiche e sul sistema internazionale si rimanda al già citato The Geopolitics of TTIP. Repositioning the Transatlantic Relationship for a Changing World.
  • Per approfondire il TTIP nel suo complesso si suggeriscono:
    • Inside TTIP, una panoramica offerta dalla Commissione Europea;
    • Il portale dedicato sul sito della Commissione Europea;
    • Un sunto dei trend per quanto concerne gli accordi internazionali sugli investimenti e le dispute tra investitori e Stato (investor-State dispute settlement, ISDS).
  • Per completare il quadro suggeriamo, inoltre, la raccolta di articoli sul TTIP ospitata sul nostro sito internet [/box]

Foto di copertina di Pierre-Selim Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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