Tra le priorità dell’amministrazione americana in questo inizio anno ci sono senz’altro le elezioni irachene del 7 marzo prossimo. Il valore strategico è alla pari di quello afgano
LA CAMPAGNA ELETTORALE INIZIATA NEI CIMITERI – Nei giorni scorsi il paese è stato segnato da diversi attentati che hanno colpito in prevalenza pellegrini sciiti diretti a Karbala, per commemorare il martirio di al Ḥusayn ibn Alî. I politici locali non si sono fatti scrupoli e, come testimoniato dal sito Niqash, hanno cominciato la loro campagna elettorale, non ufficiale, partendo proprio dai cimiteri, propagandando iniziative in difesa della popolazione sciita, componente maggioritaria del paese. Lo stesso Muqtada al-Sadr ha sferrato un duro attacco all’esecutivo di Maliki, definendolo “privo di sovranità e di indipendenza” ancora “succube dell’occupazione”. Il leader sciita, tuttora residente nella città santa di Qom, in Iran, spiega le ragioni del suo attacco affermando che il popolo iracheno non voterà per un governo che non si preoccupa della sua sicurezza. Lo sceicco Salah al-Obeidi, portavoce di Sadr in Iraq, ha rincarato la dose dichiarando che “la corsa elettorale e il desiderio di ottenere più seggi sono l’unica preoccupazione dei membri del governo – il che, fa notare – ha portato a trascurare molto le questioni della sicurezza, arrivando così allo spargimento di sangue di civili innocenti”.Intanto, l’attuale esecutivo è preoccupato di mostrare le proprie capacità per contrastare il fenomeno terroristico nel paese, guidato a detta dei media quasi esclusivamente da cellule di al-Qaeda, nei fatti molto più diversificato e con appartenenze ideologiche assai distinte. A dimostrazione di quanto detto, è di pochi giorni fa la notizia di un ennesimo rapimento ai danni di un contractor americano, prelevato da un gruppo sciita denominato Asaib al-Haq, che ha richiesto come riscatto il rilascio di alcuni membri del gruppo, arrestati nei mesi scorsi dalle autorità irachene. Sempre nell’ottica sicurezza, il mese scorso è stato fatto l’annuncio dalla polizia irachena relativo alla cattura di Mahmoud al-Mahlawi, ritenuto l'emiro di al-Qaeda in Iraq, catturato al confine con la Siria. Ma i recenti attentati hanno completamente offuscato i piccoli passi fatti sin ora dal governo sul tema della sicurezza interna.
LA RIAMMISSIONE DEI BA’ATHISTI – A meno di un mese dalle elezioni, la campagna elettorale è già infuocata; dopo l’annuncio da parte della Corte di appello, relativo alla riammissione dei circa 500 candidati esclusi inizialmente dalle elezioni, ora a farsi sentire è lo stesso governo guidato dal premier Maliki (foto). Il capo dell’esecutivo ha ribadito come la decisione della Corte sia anticostituzionale, e ha rinviato la decisione alla Corte suprema federale. La disputa nasce dal fatto che la decisione sui candidati da escludere, da parte della Commissione di giustizia e responsabilità, organo competente sulle questioni pre-elettorali, è stata rinviata a dopo le elezioni, il che provocherebbe nuove tensioni per il governo uscente e andrebbe a scalfire la legittimità stessa delle elezioni.
LE INGERENZE AMERICANE – Dal canto loro, gli statunitensi non stanno certo a guardare e già da due mesi a questa parte hanno cominciato un forcing nel cercare un maggiore coinvolgimento di una rappresentanza sunnita nel prossimo governo. Ma quale ragione avrebbero gli americani per supportare elementi dell’ex partito di Saddam? Come sostengono molti osservatori, gli Usa sono tra l’incudine e il martello in Iraq, impegnati da una parte nel cercare un compromesso con i sunniti e dall’altra nel contrastare l’influenza sciita iraniana nel paese. Come annunciato, la spesa dell’amministrazione Obama per la difesa sarà di 708 miliardi di dollari, con una cifra destinata ad Iraq ed Afghanistan pari a 159 miliardi; questo ultimo dato evidenzia come l’Iraq sia tuttora la chiave di volta della strategia americana nella regione, considerando il conflitto in Afghanistan/Pakistan, il teatro yemenita e la questione nucleare iraniana. Il vice presidente Biden ha effettuato diverse visite a Baghdad nel mese scorso, proprio per cercare di creare il più ampio consenso tra le fazioni politiche che si contenderanno le prossime elezioni. Il suo impegno per cercare una soluzione tra curdi ed arabi, relativo alla questione di Kirkuk, è solo uno degli aspetti dell’agenda americana nel paese; quello da sottolineare è l’impegno con cui Biden ha “appoggiato” la riammissione di alcuni appartenenti all’ex partito del Ba’ath, che secondo la Commissione di giustizia e responsabilità andavano esclusi dalla corsa elettorale. Proprio questo aspetto evidenzia il difficile compito del vice di Obama, nel cercare di integrare una rappresentanza sunnita nel futuro governo, cercando così di limitarne le possibili ripercussioni sul fronte interno.
Luca Bellusci [email protected]