Editoriale – Secondo alcuni esperti internazionali l’invasione russa dell’Ucraina presenta somiglianze notevoli con l’attacco sovietico alla Cecoslovacchia del 1968, che mise fine alla primavera di Praga. Ci sono però anche importanti differenze, che sommate alle caratteristiche del processo di pianificazione russo ci chiariscono alcune dinamiche.
Kamil Galeev, fellow del Wilson Center, monitorando gli account social russi ha notato che gran parte dell’attuale operazione russa in Ucraina rispecchia quanto fatto dall’Unione Sovietica con l’operazione Danubio 68, l’attacco alla Cecoslovacchia che mise fine alla primavera di Praga.
Le somiglianze sono in effetti notevoli: un’operazione “di polizia” per il ristabilimento dell’ordine politico “corretto”, iniziata con la presa del principale aeroporto della capitale da parte dei paracadutisti (allora con un trucco, ora con un attacco aviotrasportato) per decapitare le leadership, aspettandosi minima resistenza militare e con due ondate di forze di terra a occupare le posizioni chiave prima e occupare il Paese poi. Perfino l’utilizzo di strisce bianche sui veicoli per identificare le forze amiche da quelle nemiche, visto l’impiego di materiale bellico simile.
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In entrambi i casi la preparazione dell’attacco è avvenuta dietro la copertura di esercitazioni militari (recentemente quella in Bielorussia), con i reparti che in molti casi non sapevano cosa dovevano fare fino quasi all’ultimo. Galeev riporta che i comandi sul campo abbiano ricevuto buste con gli ordini da aprire solo in occasione della comunicazione di un segnale in codice – questo da un lato aumenta la segretezza, dall’altro riduce la preparazione e la coordinazione (ma di questo parlo dopo) – e che solo aprendole abbiano appreso gli ordini da eseguire.
Galeev nota però differenze sostanziali soprattutto nell’approccio russo: contro la Cecoslovacchia l’azione fu a sorpresa, contro un Paese più piccolo dell’Ucraina e con forze di attacco maggiori (circa 500.000 soldati). Contro l’Ucraina (Paese ben più grande) invece ne sono stati impiegati 160-190.000 e la situazione sul terreno era diversa (preparazione degli Ucraini, mancanza di sorpresa anche grazie all’intelligence occidentale, errori di valutazione dell’intelligence russa sulla volontà popolare ucraina ecc…) In pratica un’operazione con premesse sbagliate e forze insufficienti – il che porta a valutare forti errori dell’intelligence russa e della leadership.
Sempre Galeev nota che mentre nei social russi la comparazione con Danubio 68 è spesso menzionata, lo è molto meno (quasi per nulla) tra quelli occidentali, con l’eccezione notevole di Edward Luttwak (che forse ha memoria storica maggiore su quegli anni ed era a Praga proprio nel 1968). Difficile dire se davvero sia così, cioè se davvero quella operazione sia stata l’ispirazione principale per questa in Ucraina… ma non è da escludere. Le somiglianze sono effettivamente notevoli, così come l’approccio iniziale russo.
A questo punto vale la pena aggiungere un’ulteriore valutazione. Può sembrare strano che il comando russo abbia deciso di preparare un’operazione così simile a quanto già eseguito… soprattutto perché a noi occidentali una scelta del genere appare meno sensata. In effetti in ambito di pianificazione le FFAA occidentali hanno processi molto più complessi e adattabili ad hoc: senza voler scendere nei dettagli, la pianificazione può comprendere la definizione di operazioni di volta in volta differenti e molto specifiche alla situazione. Il processo è complesso e potenzialmente più lento.
Se guardiamo invece all’addestramento e alla pianificazione russa, questa da dottrina si basa principalmente sull’addestramento a manovre e operazioni standard, da cui il comandante “pesca” per definire il piano da eseguire. Semplificando un po’, è come se i comandanti russi preferiscano l’addestramento su operazioni base ben pianificate e definite, così da facilitare l’automatismo della loro esecuzione: questo permette al comandante di scegliere come da un “menu” – mentre in Occidente c’è una maggiore flessibilità nel processo di pianificazione, circostanza però che lo rende più complesso. Attenzione, questo non significa che i russi non siano capaci di compiere operazioni complesse, perché la combinazione di più operazioni base in maniera differente permette appunto di ottenere una sofisticazione maggiore adattata alle circostanze specifiche.
Spiegato con le parole da “The Russian Way of War”, il testo di riferimento sull’argomento: “In terms of tactics, from a U.S. military decision-making process (MDMP) perspective, Russian military commanders have limited options for developing plans to accomplish given tasks. Commanders pick from the “menu” of known tactics. Although this would irk a U.S. commander, Russian commanders are comfortable with this system because, although tactics are simple, albeit in aggregate, when multiple simple tactics are combined to accomplish a given task, a given maneuver could appear complex. Since these maneuvers are not developed “on-the-fly” and are instead a collection of simple tasks, the planning process is much less involved than for an equivalent maneuver by a U.S. unit. At the tactical level, this system allows these units to have miniscule staffs in comparison to Western units and do not require extensive operations orders to plan their missions. All that is typically required in a Russian operation order is a map signed by the commander, with a few notes jotted in the margins. Tactics are simple and rigid, but since they are universal, when used in aggregate they can provide great operational flexibility.”
La parte qui descritta è relative al processo di pianificazione a livello tattico, non operazionale (che comunque è diverso tra come lo intendono NATO e Russia), ma è facile che anche a livello più alto si utilizzi un simile approccio. Deriva dall’approccio sovietico, che minimizzava l’iniziativa dei subordinati a favore dell’efficienza del sistema.
Questo aspetto potenzialmente si applica molto bene proprio a quanto avvenuto in Ucraina. Non potendo o volendo comunicare prima alle unità cosa dovevano fare e quale piano seguire, era necessario che il piano fosse qualcosa di standard, di facile esecuzione senza specifica preparazione preventiva che avrebbe ridotto la segretezza e forse sollevato troppi dubbi circa lo scopo della preparazione massiccia al confine.
È un approccio migliore o peggiore di quello occidentale? Come tutto ha pregi e difetti. I vantaggi sono la velocizzazione del processo di pianificazione (rispetto a un analogo processo USA-NATO), la ridotta necessità di addestramento specifico su cose “nuove” (che richiede tempo ulteriore), l’iperspecializzazione delle Forze Armate russe (sai già cosa devi fare, devi solo pensare a farlo bene). Sempre secondo quanto ricordato in “The Russian Way of War”, a un comandante russo va bene che il piano sia efficace anche se non perfetto. In Occidente se possibile si cerca sempre di pianificare l’operazione perfetta. E se, come molti suggeriscono, le valutazioni iniziali russe erano palesemente sbagliate, ecco forse perché anche nel 2022 i russi hanno provato a eseguire quella che per loro doveva essere di fatto una operazione di ristabilimento dell’ordine – una “operazione speciale” come loro stessi hanno provato a indicarla – senza pensare che invece proprio le premesse sbagliate ne pregiudicavano l’efficacia. È infatti andata molto diversamente dal 1968.
Fonti:
- Il thread di Kamil Galeev: https://twitter.com/kamilkazani/status/1511528754211745795
- L. Grau, C. Bartles, “The Russian Way of War”, FMSO
- Sull’Operazione Danubio 1968: D. Francois, “Operation Danube: Soviet and Warsaw Pact Intervention in Czechoslovakia, 1968”, Helion & Co.
Lorenzo Nannetti