Caffè lungo – L’ex Presidente della Moldova, Igor Dodon, è stato arrestato recentemente per un presunto episodio di corruzione nel 2019. L’arresto ha intensificato le tensioni politiche nel Paese, già alimentate dalla vicina guerra in Ucraina e dai misteriosi attentati nella repubblica separatista della Transnistria.
L’ARRESTO DI DODON
Lo scorso 26 maggio l’ex Presidente della Moldova dal 2016 al 2020, il filo-russo Igor Dodon, è stato condannato dal tribunale distrettuale di Ciocana (nella capitale Chisinau) agli arresti domiciliari per almeno trenta giorni. L’ex leader del Partito Socialista Moldavo, arrestato il 24 maggio per decisione della Procura nazionale, era stato messo in stato di fermo per 72 ore con le accuse di corruzione passiva, ottenimento di finanziamenti per un partito politico da parte di un’organizzazione criminale, arricchimento illecito e tradimento. Le perquisizioni avvenute in vari immobili avrebbero a che vedere con il caso kuliok (borsa): in un video del 2019 l’oligarca ed ex leader del Partito democratico della Moldova, Vladimir Plahotniuc, avrebbe offerto una borsa contenente denaro a Dodon. Quest’ultimo si sarebbe rifiutato di prenderla, dicendo a Plahotniuc di darla ad altri membri del Partito Socialista. L’inchiesta è stata riaperta la scorsa settimana, dopo che nel maggio 2020 l’allora procuratore aveva deciso di non aprire un procedimento penale per mancanza di elementi sufficienti convalidare la prova video. Dodon parla apertamente di complotto: “I procuratori sono guidati dall’ambasciata americana con il consenso di Maia Sandu, è un dossier politico. I consiglieri stranieri, rumeni, americani o tedeschi controllano tutte le Istituzioni”. La Procura nazionale ha ribattuto che durante le perquisizioni avrebbe trovato un biglietto per lasciare il Paese alle 9 del 26 maggio, nonché beni e denaro incriminanti dal valore di oltre due milioni di euro.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Igor Dodon durante una manifestazione del Partito Socialista a Chisinau, luglio 2021
LE REAZIONI INTERNE E INTERNAZIONALI
Ufficialmente l’arresto fa parte del processo di de-oligarchizzazione e lotta alla corruzione volto a “ripulire la classe politica” e favorire l’entrata della Moldova nell’Unione Europea, promesso da Maia Sandu prima di essere eletta Presidente nel 2020. Ma potrebbe anche trattarsi di una mossa per tagliare fuori dalla scena politica il più fermo oppositore di una politica filo-europeista (Dodon, insediatosi al Palazzo Presidenziale nel 2016, vi fece rimuovere la bandiera dell’UE) e filo-atlantista. “Un gioco pericoloso”, volto a “provocare destabilizzazione”, come affermato in un briefing dal segretario del Partito Socialista Moldavo Vlad Batrincea. L’arresto di Dodon inoltre non può che allarmare la Federazione Russa, il suo più potente alleato. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha dichiarato che, per quanto l’accaduto costituisca un “affare interno” della Moldova, l’utilizzo reiterato di una simile “persecuzione” contro i sostenitori dello sviluppo di relazioni amichevoli con la Russia suscita preoccupazione. Il viceministro degli Esteri Andrei Rudenko ha espresso il timore che nella situazione attuale le autorità filo-occidentali inizino a regolare i conti con i loro ex rivali politici. Rudenko ha aggiunto che la Russia “monitora da vicino” il caso per assicurarsi che “tutti i diritti di Dodon” siano rispettati e che il suo trattamento sia conforme agli standard internazionali. Il 26 maggio decine di manifestanti si sono riuniti nelle strade di Chisinau e fuori dal Parlamento, dove il partito dell’ex Presidente controlla 22 dei 101 seggi, configurandosi come la principale forza di opposizione in coalizione con il Partito Comunista Moldavo. Alcuni deputati hanno boicottato la sessione del Parlamento. Le proteste, organizzate dallo stesso Partito Socialista, hanno visto i manifestanti invocare una giustizia corretta, le dimissioni del Governo presieduto da Natalia Gavrilita e la libertà per i giornalisti di svolgere il proprio lavoro.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Dodon insieme a Putin nel gennaio 2019
EVITARE L’ESCALATION CON MOSCA
In un precedente articolo avevamo accennato alle promesse di sostegno militare alla Moldova da parte dell’UE. Proprio Dodon si era opposto a questa prospettiva, caldeggiata pochi giorni prima del suo arresto anche dal Ministro degli Esteri britannico Liz Truss, secondo cui il Paese dovrebbe essere armato “secondo gli standard Nato”. Una necessità accolta con cautela dalla Presidente Sandu, che ha comunque ricordato la natura pacifista e neutrale (quest’ultimo aspetto scritto in Costituzione) della Moldova, onde non “minacciare la sovranità di nessun altro Stato”. Sta dunque a Chisinau non lasciarsi trascinare in questa nuova “corsa agli armamenti” ed evitare di essere ridotta a pedina nello scontro tra Russia e Occidente aperto dalla guerra in Ucraina. Nello specifico, poi, resta il problema della repubblica separatista della Transnistria, che ha di recente accusato la Moldova di essere responsabile di alcuni degli attentati avvenuti negli ultimi mesi al proprio interno ed è protetta dalla stessa Russia.
Federico Macrina
“Presidential candidate Igor Dodon, Chisinau, 12 November 2016” by oscepa is licensed under CC BY-SA