In 3 sorsi – Sabato 22 settembre l’Iran ha subito un attacco terroristico nella città di Ahvaz. Un gruppo di fuoco di cinque persone è entrato in azione durante una parata militare che celebrava l’anniversario dell’inizio della guerra contro l’Iraq. Tra militari e civili (bambini inclusi) il conteggio dei morti è giunto a 29. Chi ha colpito l’Iran?
1. LA DOPPIA RIVENDICAZIONE
L’azione terroristica è stata rivendicata dal gruppo al Ahvaziya, organizzazione-ombrello che racchiude al suo interno diversi gruppi che lottano per l’indipendenza del Khuzestan, regione iraniana al confine con l’Iraq abitata per lo più da arabi di cittadinanza iraniana. Nonostante però molti analisti ed esperti del settore abbiano dato la rivendicazione del gruppo come valida ed attendibile, sarebbe bene ricordare che anche lo Stato Islamico ha reclamato come sua la paternità dell’attacco. Il gruppo guidato dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi ha mosso tutti i mezzi che la sua macchina mediatica mette a disposizione, pubblicando prima due bollettini informativi di Amaq News Agency e un comunicato ufficiale, infine postando nei suoi canali anche il video dove vengono ripresi tre attentatori in macchina, mentre si dirigono nel luogo dove avevano premeditato di entrare in azione. Tutto questo avveniva il giorno stesso in cui l’attacco è stato perpetrato. Tempistica da non sottovalutare per il gruppo, visto che altri attentati sono stati rivendicati anche con giorni di ritardo. Come risposta, il gruppo al Ahvaziya ha affermato che il video dell’attentato, diffuso nei canali dello Stato Islamico, è stato rubato dai terroristi dell’ISIS, che se ne sono impossessati per poi pubblicarlo come se fosse loro. La vicenda è inoltre proseguita con il rilascio di un audio messaggio del portavoce ufficiale dello Stato Islamico, Abul Hassan al Muhajir, che ha rivendicato l’attacco contro «la fortezza dei politeisti» e nel quale ha invitato i seguaci dell’organizzazione a colpire nuovamente l’Iran. L’audio rivendicazione di un esponente di grado così alto all’interno dello Stato Islamico, per giunta non preannunciata con ore di anticipo, come invece avviene solitamente per i messaggi ufficiali rilasciati dalla leadership centrale del gruppo, è un inedito assoluto.
2. LE INFILTRAZIONI DELLO STATO ISLAMICO
Nonostante ciò, si continua a dubitare sulla paternità dell’attacco. Lo Stato Islamico, si afferma, rivendica qualsiasi cosa capiti a suo tiro, data la sua debolezza territoriale e la sua incapacità di portare nuovi attacchi all’estero, come accadde negli anni tra il 2015 e il 2017. Esistono però elementi che suggeriscono che sia vero: nel numero del 27 settembre di al Naba, il settimanale ufficiale dello Stato Islamico, vengono mostrati in foto, con tanto di bandiera dello Stato Islamico alle spalle, i cinque protagonisti dell’attentato. Parlando del caso specifico dell’Iran, non bisogna dimenticare la capacità di infiltrazione che il gruppo ha sviluppato in questi anni − non fisica, intesa come ingresso di suoi uomini in uno specifico territorio, ma dottrinale e ideologica − di tutte quelle organizzazioni terroristiche che si rifanno all’ideologia jihadista e/o salafita. Basterebbe vedere come sono comparse le bandiere nere in Afghanistan, per esempio, dove prima sventolavano esclusivamente le bandiere bianche dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Del resto, in maniera analoga sono nate le wilayat dello Stato Islamico nel Khorasan, in Est Asia, Africa Orientale, del Gran Sahara, nel Kashmir o nel Caucaso.
3. UNA MINACCIA SOTTOVALUTATA?
Questo ovviamente non vuol dire che il gruppo sia in procinto di aprire una filiale in Iran. Indica però che non è inopportuno ipotizzare che alcuni membri del movimento al Ahvaziya abbiano optato per un cambio di casacca. Cambi di campo che nella galassia jihadista sono all’ordine del giorno, sopratutto quando ci sono organizzazioni ben strutturate, come Stato Islamico e al Qaeda, che usano il loro brand come un magnete capace di attrarre tutti quei gruppi rivoluzionari, irredentisti o terroristici che hanno come comun denominatore l’appartenenza alle visioni più integraliste dell’Islam. Parlando invece in un contesto più ampio, si tende ormai a sottovalutare la minaccia che lo Stato Islamico rappresenta. Lo Stato Islamico non può essere dipinto infatti come un gruppo letteralmente alla frutta, alla disperata ricerca di attentati da rubare ad altre organizzazioni o rivendicare le gesta di semplici folli. Sconfitto sul campo dove prima sorgeva la sua entità parastatale, in Iraq stiamo già vedendo i frutti di una prima riorganizzazione del gruppo e le lancette del tempo sembrano essere tornate indietro al 2010, anno in cui l’allora Stato Islamico dell’Iraq dava i suoi primi segnali di rivalsa. La nuova ondata di attacchi nella periferia di Baghdad e la guerriglia portata avanti nei settori di Kirkuk, Diyala, Salah ul Din e nell’Anbar non sono segnali da sottovalutare, perché sono lì a mostrarci giorno dopo giorno la resilienza del gruppo. Questo avviene perché nonostante la sconfitta territoriale del Califfato, il network ideologico del gruppo, come anche quello digitale, sono più vivi che mai. E mentre il primo è capace di attrarre organizzazioni di stampo radicale sunnita dislocate tra l’Asia, il Medioriente e il nord Africa, il secondo basta e avanza per fare in modo che alcune persone – lupi solitari – entrino in azione in nome dell’ideologia stragista e sanguinaria che anima l’organizzazione.
Valerio Mazzoni