Caffè Lungo – La Turchia è, ad oggi, il Paese con il maggior numero di rifugiati al mondo, provenienti, in particolare, dalla Siria. Dopo anni in cui il Governo di Erdogan ha adottato la politica della porta aperta, negli ultimi mesi è iniziata la repressione.
LA TURCHIA È IL PAESE CHE OSPITA PIU’ RIFUGIATI
L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati enuncia il principio di non respingimento dei rifugiati, internazionalmente conosciuto come non-refoulement, considerato ormai una norma di diritto internazionale consuetudinario. La Turchia, parte della Convenzione, è ad oggi il Paese con il maggior numero di rifugiati al mondo, in particolare rifugiati siriani, il cui numero ammonta a 3,6 milioni. Con l’inizio della guerra civile in Siria nel 2011 fino al 2015, il Governo di Erdogan ha adottato la politica della “porta aperta”, costruendo campi profughi per i rifugiati e fornendo loro abitazioni e servizi. Inoltre, nel 2013 Ankara ha approvato la legge 6458 su Foreigners and International Protection, che distingue tre tipi di protezione internazionale: rifugiati, rifugiati condizionali e protezione sussidiaria. Ai siriani che arrivano in Turchia, nessuna di queste tre protezioni internazionali viene riconosciuta. Infatti, chiunque arrivi dalla Siria viene definito come “ospite” e non gli è riconosciuto nessun tipo diritto, presumendo così che la sua permanenza sia “breve e temporanea“. Se invece dovesse prolungarsi, si è considerati sotto “protezione temporanea“, secondo la legge Regulation on Temporary Protection approvata dal Governo nel 2014. Questo tipo di protezione internazionale garantisce la permanenza nel Paese, l’accesso alla sanità, all’educazione, al mondo del lavoro e a servizi che possono essere concessi caso per caso da Istituzioni pubbliche e Organizzazioni, ma non permette di richiedere la cittadinanza turca. In realtà, l’esercizio di questi diritti nella vita quotidiana si scontra con non pochi problemi, come la barriera linguistica, i salari bassi e le difficoltà di accedere all’istruzione a causa degli elevati costi. Nonostante, quindi, questa sorta di protezione internazionale, i rifugiati vivono in condizioni degradanti ed è sempre più difficile per loro integrarsi nella società.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Bambini nei campi per rifugiati, Turchia
ERDOGAN, KILICDAROGLU E LA POLITICA MIGRATORIA COME STRUMENTO DI CONSENSO
Negli anni, la questione dei rifugiati ha suscitato nella popolazione turca un forte malcontento, alimentato principalmente dalla convinzione che gli aiuti finanziari previsti per i rifugiati siriani siano stanziati direttamente dalle tasche dello Stato. In realtà i costi per sostenere il gran numero di migranti sono garantiti dall’accordo sull’immigrazione del 2016, il quale prevede l’erogazione di 3 miliardi di euro da parte dell’UE per sostenere la Turchia sulla questione rifugiati. Le politiche di aiuti economici e la parallela crisi finanziaria del 2018, che ha visto la svalutazione della lira turca, hanno fatto crescere sempre più una sorta di sentimento anti-refugees da parte dei turchi. A seguito degli attentati terroristici da parte dello Stato Islamico ad Ankara nell’ottobre 2015, che hanno cagionato la morte di circa 30 cittadini, il Governo di Erdogan ha cominciato a irrigidire i confini e anche a chiuderli per un periodo di tempo. Nelle elezioni di maggio 2023, i due candidati, il Presidente Recep Tayyip Erdogan e il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu, hanno usato la questione migranti come punto di forza per ottenere il maggior numero di voti. A seguito del risultato del 14 maggio, che prevedeva il ballottaggio tra i due leader, Kilicdaroglu ha cercato di spostare il dibattito sul tema migranti, sperando di cavalcare l’onda del malcontento popolare riguardo alla questione e racimolare quanto più consenso possibile. L’obiettivo del leader dell’opposizione sarebbe stato quello di “rimandare tutti i rifugiati a casa loro” per ricostruire il Paese e far tornare i siriani da Bashar Al Assad, affermando che il suo rivale “non ha protetto i confini e l’onore del Paese“. Non molto diversa è stata la posizione di Erdogan, seppur meno aggressiva, che nell’ultimo anno ha continuato la prassi del “trasferimento volontario” dei siriani nelle zone occupate dalla Turchia. Già nelle elezioni amministrative del 2019, il leader turco, per recuperare consensi, ha dovuto inasprire ancora di più la propria posizione sul tema. In questa occasione, la Turchia ha cominciato a usare il sistema dei “rimpatri volontari”, tramite il quale il Governo turco avrebbe consentito ai rifugiati siriani di beneficiare di procedure che consentano loro di ritornare in “zone sicure” del loro Paese. Tuttavia, secondo un rapporto di Human Rights Watch, sembra che questi rimpatri si siano svolti con l’uso della forza e sotto costrizione verso Idlib, una delle zone più pericolose della Siria: i rifugiati sarebbero stati detenuti e deportati nel loro Paese, dopo essere stati obbligati con la forza a firmare documentazioni, senza aver potuto prima leggerle. Questa prassi è contro il principio di non-refoulement sopra citato, ma anche contro la legge turca 6458 del 2013, che vieta il reinsediamento di rifugiati nei loro Paesi di origine nei casi in cui la loro vita possa essere a rischio. Nel giugno 2022, le stime di rifugiati che sono ritornati “volontariamente” in Siria ammonterebbe, secondo UNHCR, a 15.149.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Rifugiati siriani ritornano in Siria.
QUALE FUTURO PER I RIFUGIATI SIRIANI?
La politica migratoria è stata una delle principali questioni sulle quali si è fatta leva per ottenere il maggior numero di consensi, ma cosa significa per i rifugiati siriani lasciare la loro “nuova” casa e ritrovare, al loro rientro nel Paese, la stessa situazione dalla quale erano scappati? Non voluti da Ankara, in cui il sentimento nazionalista e anti-rifugiati cresce sempre di più, il ritorno a Damasco è l’opzione più temuta dai rifugiati. Ritornare nel loro Paese vorrebbe dire andare incontro ad atroci violenze perpetrare dalle forze militari del Governo, quali torture, maltrattamenti e violenze sessuali. I rifugiati siriani, vivono, dunque, in condizioni di estrema incertezza e inquietudine, legata alla propria sorte, anche a fronte dell’ondata di razzismo di cui sono bersagli, e delle difficoltà che hanno dovuto affrontare a causa del terremoto del 6 febbraio, che ha distrutto decine di migliaia di vite. Un rimpatrio organizzato tra Siria e Turchia è, tuttavia, ad oggi quasi impossibile: il Governo di Damasco sarebbe disposto ad accettare solo se Ankara ritirasse le truppe dal suo territorio, e, in aggiunta, la mancata volontà dei siriani di tornare in Siria rende la situazione sempre più complicata da risolvere. Alla stregua di ciò, si può dire che la vita e il futuro dei rifugiati siriani saranno incerti e arbitrati dalla volontà dell’ormai quasi decennale leader turco, la cui strada della politica migratoria è ormai segnata dalla volontà di far rientrare i migranti nel loro Paese, nonostante continui a essere un luogo non sicuro. Ancora una volta, i rifugiati vengono utilizzati per conquistare il beneplacito della popolazione, senza cercare multilateralmente una soluzione che possa prendere in considerazione i loro diritti, costantemente messi da parte.
Francesca Giordano
Immagine di copertina: “Erdogan at World Humanitarian Summit, 2016” is licensed under CC BY-ND