Analisi – Perché parlare di armi nucleari? Serve essere più consapevoli di ciò che davvero implica trattare questo argomento. L’intento non è spaventare, ma il contrario: consentire un dialogo (che è importante e deve esserci!) sul tema senza sensazionalismo.
L’ IMPORTANZA DI PARLARNE
Dato il recente frequente riferimenti su media e social network, è importante comprendere come affrontare in maniera corretta i discorsi relativi alle armi nucleari e ai principi di deterrenza che ne regolano l’esistenza e le dinamiche. In particolare entrare nella “logica” che sta dietro a certe scelte è fondamentale:
– A chi è semplicemente curioso, per capire
– A chi è contrario all’esistenza delle armi nucleari, per capire come affrontare il tema (ed evitare di esprimersi erroneamente) e come ridurre i rischi e non aumentarli (esistono proposte apparentemente logiche che all’atto pratico aumentano il rischio di guerra nucleare invece di ridurlo…)
– A chi non è contrario, per capire il perché delle scelte fatte e gli aspetti problematici (non sempre così ovvi come si creda) da considerare in ambito di deterrenza.
Citando uno dei libri base sull’argomento (The Politics of Nuclear Weapons, di Andrew Futter), “(…) non esistono risposte giuste o sbagliate quando si tratta di armi nucleari, ci sono solo risposte che funzionano, ma possiamo certamente aumentare le nostre prospettive nucleari future se innalziamo il livello di conoscenza e comprensione che informa queste decisioni e dibattiti”.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – missili capaci di portare testate nucleari a Mosca, 5 maggio 2024
A COSA SERVONO LE ARMI NUCLEARI?
L’arma nucleare può avere sostanzialmente due funzioni fondamentali:
1) Colpire un bersaglio militare particolarmente ben protetto o difeso, utilizzando una potenza tale da superare le difese: ad esempio un bersaglio (base, centro comando, silo di lancio missili) sotterraneo e ben corazzato. L’impiego dell’arma nucleare sostanzialmente garantisce la distruzione del bersaglio.
2) Colpire un bersaglio non militare per causare una distruzione tale (incluse vittime civili, infrastrutture distrutte, ecc.) che a sua volta causi risposta emotiva favorevole nell’avversario (di solito di resa o rinuncia al combattimento). L’utilizzo su Hiroshima e Nagasaki per esempio va inquadrato in questa categoria.
Questi due obiettivi fondamentali vanno inquadrati non solo nel potenziale uso dell’arma nucleare in generale, ma soprattutto quando due nazioni entrambe dotate di armi nucleari si confrontano. In tali ambiti, storicamente (dalla Guerra Fredda) l’uso delle armi nucleari prende tre possibili forme:
– Counterforce strike: è l’uso base. Uso l’arma per colpire le forze armate avversarie: posti di comando (anche ben difesi), basi militari, basi missilistiche, aeroporti militari, basi navali. Il bersaglio principale di un approccio counterforce è ovviamente l’arsenale nucleare avversario: silos missilistici, aeroporti che ospitano i bombardieri strategici, le basi navali che ospitano i sottomarini nucleari, i posti comando che controllano l’arsenale nucleare avversario. Non essendoci difesa possibile contro un colpo diretto, l’idea è assicurare la distruzione.
– Countervalue strike: è l’uso contro bersagli non militari che ricoprono un valore particolare per l’avversario. E, detto molto onestamente, stiamo parlando esattamente di città, centri abitati in genere e infrastrutture civili chiave (pensate a centrali elettriche per esempio).
– Decapitation strike: simile al counterforce, è però focalizzato sul colpire i centri di comando e controllo dell’avversario per impedire possa reagire.
Le moderne Forze Armate e gli asset militari (soprattutto occidentali e in primis gli USA) sono tali da consentire di compiere tali missioni anche senza l’impiego di armi nucleari, quindi tali discorsi si applicano anche a quanto possono fare determinati attori in occasione di conflitti contemporanei convenzionali. Altrettanto logicamente l’impiego dell’arma nucleare per questi scopi significa usare armi di distruzione di massa in maniera massiccia con tutte le conseguenze facilmente intuibili, cosa che in realtà nessuno vuole fare. Rispetto alla Guerra Fredda, infatti, ora esiste una diffusa condivisione circa la necessità che serva assolutamente evitare l’uso di armi nucleari.
Tuttavia, comprendere questi aspetti – e come le nazioni armate di armi nucleari le affrontano – serve proprio per capire perché non ci spariamo contro armi nucleari a vicenda (e quindi su quali basi funzioni la deterrenza) e cosa questo comporti per continuare ad evitarlo.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – poster “Six Steps to Survival” negli USA del 1957
FIRST STRIKE – COLPIRE PER PRIMI
Originariamente si pensava che una potenza A potesse colpire le forze nucleari (e non) e le principali difese antiaeree della potenza B e, di fatto, renderla indifesa. Per fare questo serve colpire centinaia (o migliaia) di bersagli e per questo progressivamente gli arsenali nucleari sono aumentati a dismisura.
È il concetto di “first strike” – colpisco per primo e vinco.
Se però anche la potenza B si arma allo stesso modo (processo che in realtà tra USA e URSS è avvenuto sostanzialmente in contemporanea anche se a velocità e step diversi) il problema è che il dilemma diventa “chi colpisce per primo vince”.
Cosa che a sua volta fa scattare una mentalità offensiva: “se non lo faccio io… lo farà l’altro prima di me?”
È ovvio che qui si scatena un gioco basato sulla fiducia e ovviamente… sulla sfiducia. Il timore che un avversario spari per primo e distrugga le nostre forze, non permettendoci di reagire è il primo e fondamentale problema di ogni discorso di deterrenza.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il “nuclear football”, la valigetta nucleare che segue costantemente il Presidente USA
IL PRINCIPIO BASE DELLA DETERRENZA
Originariamente la deterrenza era basata sull’idea che sarebbe stato possibile individuare i missili in arrivo, permettendo di lanciarli in risposta. Successivamente sono nati sistemi capaci di determinare non solamente l’arrivo, ma il momento del lancio dei missili… di fatto aumentando un po’ il tempo di reazione e di decisione. In definitiva si è creato perciò un labile equilibrio basato sull’idea che ci si sarebbe distrutti a vicenda. E’ quella che normalmente viene definita MAD (Mutually Assured Destruction), a volte semplificata con il termine generico “equilibrio del terrore”.
Tutto questo però si basa appunto sull’idea che sia possibile rilevate l’attacco nemico, decidere che esso sia reale (e non un errore) e lanciare a propria volta, evitando dunque possibili errori (che portino alla distruzione) ma rendendo impossibile all’avversario pensare di poterci distruggere senza esserlo a sua volta. Tuttavia tenete presente che un missile lanciato dall’allora URSS avrebbe raggiunto una città come Londra in… 4 minuti. Troppo poco tempo per poter verificare se un attacco fosse reale o meno.
Progressivamente le leadership di USA e URSS, davanti ai rischi di un conflitto nucleare, hanno deciso di evitare di cadere automaticamente nell’escalation nucleare e – pur mantenendo l’arsenale – preferire eventuali strategie mirate e flessibili (NATO flexible response dell’era Kennedy, per esempio). Ma il problema di base rimane: che succede se l’avversario ci prende di sorpresa, siamo indecisi, e tutto il nostro arsenale è distrutto? Oppure: è possibile disarmare un regime pericoloso eliminando a sorpresa il suo arsenale nucleare? Tutto questo porta al concetto di “second strike capability” e della famigerata “triade nucleare”.
Lorenzo Nannetti
Fonti
a) A. Futter, “The Politics of Nuclear Weapons”. New, Updated and Completely Revised Second Edition, Palgrave Macmillan (2021)
b) G. Barrass, “The Great Cold War. A Journey Through the Halls of Mirrors”, Stanford University Press (2009)
c) A. Jacobsen, “Nuclear War: A Scenario”, Dutton (2024)
Immagine di copertina: “Nuclear Strike” by chb1848 is licensed under CC BY-SA 2.0.