In 3 sorsi – L’annullamento delle elezioni presidenziali per interferenze russe documentate dai servizi segreti getta la Romania in un momento cruciale della propria storia. Divisioni interne e fragilità politiche mettono alla prova il futuro democratico e geopolitico del Paese.
1. UN PANORAMA ELETTORALE MAI VISTO PRIMA
Dicembre, per i romeni, è un mese che porta con sé il peso della storia. Nel gelido inverno di trentacinque anni fa, il popolo gridava “libertà” nelle piazze, conquistando con il sangue la fine di un regime di terrore, nell’unico Paese del blocco socialista a liberarsi con una rivoluzione armata. Oggi la Romania, ormai membro di NATO e UE, affronta una nuova crisi, segnata dalle elezioni parlamentari e presidenziali e dall’eco della guerra in Ucraina, in un Paese diviso tra europeismo e sovranismo filo-russo.
Il primo turno delle elezioni presidenziali del 24 novembre ha segnato un punto di rottura con il passato. I candidati dei principali partiti tradizionali, l’attuale Primo Ministro Marcel Ciolacu per i social-democratici (PSD) e Nicolae Ciucă, ex Primo Ministro (2021-2023), per i nazional-liberali (PNL), sono stati scalzati da figure outsider. A guidare la corsa, con quasi il 23% dei voti, è Călin Georgescu, candidato indipendente dell’ultradestra e dichiaratamente filorusso, che con il suo linguaggio di richiamo ai “grandi esclusi” dalla politica, ha catalizzato consensi soprattutto nelle aree rurali e nella diaspora romena in Europa. Un dato, già emerso nelle elezioni del 2020, inusuale rispetto ad altri Paesi est-europei, dove la diaspora è generalmente più progressista rispetto all’elettorato interno, riflettendo dinamiche peculiari dell’emigrazione romena. Questo risultato ha colto di sorpresa non solo i sondaggisti, che attribuivano a Georgescu un consenso marginale, ma anche un elettorato abituato alla prevalenza delle grandi formazioni politiche.
Georgescu avrebbe dovuto affrontare al ballottaggio Elena Lasconi, candidata liberale e pro-UE dell’USR. Tuttavia, il 6 dicembre la Corte Costituzionale ha annullato il risultato del primo turno, denunciando l’influenza di campagne di disinformazione russe a favore di Georgescu. La decisione è dipesa dalla scoperta, dopo la desecretazione di documenti riservati dei servizi di intelligence, di una rete di propaganda su piattaforme social, in particolare TikTok, che ha amplificato messaggi populisti e ultranazionalisti, mobilitando un elettorato disilluso e polarizzato.
Fig. 1 – Raduno “Romania Speranze” il 5 dicembre 2024 a Bucarest, Romania, organizzato dalla candidata presidenziale Elena Lasconi, dopo le elezioni parlamentari
2. L’ANNULLAMENTO DEL VOTO AGGRAVA LA POLARIZZAZIONE
La decisione senza precedenti della Corte, basata sull’articolo 146 della Costituzione che le conferisce il compito di “garantire il rispetto delle procedure per l’elezione del Presidente della Romania”, ha innescato reazioni fortemente polarizzate. La critica di Lasconi, che parla di “un grave scavalcamento della volontà popolare”, è alimentata dal timore che nuove elezioni possano frammentare ulteriormente l’elettorato, riducendo le sue possibilità di vittoria rispetto a un ballottaggio diretto. Al contrario, Ciolacu, escluso al primo turno per un margine ristretto, ha accolto favorevolmente la decisione, definendola “necessaria per proteggere le Istituzioni democratiche” e intravedendo l’opportunità di recuperare consensi nelle prossime consultazioni.
Le elezioni legislative del 1° dicembre, svoltesi in un clima di tensione, hanno confermato la frammentazione politica del Paese. Il PSD ha ottenuto il 22,3% dei voti, seguito dall’AUR, partito di estrema destra, con il 18,3% e dal PNL con il 14,3%. Uno scenario che riflette una società divisa tra chi si aggrappa ai valori occidentali e chi cerca soluzioni rapide ai problemi economici guardando a modelli autoritari. La crescita dell’estrema destra, che ha superato il 30% dei consensi complessivi, triplicando i risultati del 2020, sottolinea l’erosione della fiducia nelle forze politiche tradizionali.
Fig. 2 – Catalin Georgescu (C) parla ai media al suo arrivo a una protesta contro l’annullamento delle elezioni presidenziali davanti a un seggio elettorale a Mogosoaia, vicino a Bucarest, l’8 dicembre 2024
3. LE INCOGNITE SUL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA ROMENA
Mentre Georgescu sfrutta la narrazione del “candidato vittima del sistema” per galvanizzare l’elettorato, puntando su un messaggio di ribellione contro l’establishment e invitando pericolosamente alla protesta, le Autorità romene hanno intensificato la sorveglianza sulle strategie elettorali dei candidati, implementando misure per prevenire ulteriori ingerenze. Bruxelles ha ordinato a TikTok di preservare e congelare i dati relativi alle elezioni ai sensi del Digital Services Act, per garantire la trasparenza e l’integrità del processo elettorale.
Le nuove elezioni presidenziali, previste per la primavera del 2025, rappresentano un banco di prova non solo per i candidati, ma per la democrazia stessa. Il clima di sfiducia rischia di rafforzare outsider come Georgescu, mentre i partiti tradizionali potrebbero fallire nel ritrovare coesione e credibilità. Sul piano internazionale, l’instabilità politica della Romania preoccupa gli alleati occidentali: il Paese, finora saldamente ancorato a UE e NATO, potrebbe subire un’involuzione geopolitica e indebolire il fronte orientale a scapito dell’intera regione.
Nel frattempo, il nuovo Parlamento si trova in una posizione delicata, con il compito di formare una coalizione in un contesto di crescente frammentazione. Le settimane che verranno determineranno non solo il futuro politico di Bucarest, ma anche la sua capacità di preservare la fiducia dei partner internazionali e il fragile equilibrio interno.
Ginevra Dolce
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