Il tradizionale discorso del papa al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede rappresenta sempre un’occasione preziosa per tracciare un bilancio dell’azione svolta dalla diplomazia pontificia nell’anno appena trascorso, e per fissare i punti dell’agenda del papa per l’anno appena iniziato. Anche il lungo e articolato discorso che Papa Francesco ha rivolto ai diplomatici il 7 gennaio scorso non fa eccezione da questo punto di vista. Qui di seguito proviamo ad esaminare alcuni dei principali scenari sui quali si giocherà l’azione della Santa Sede sul piano internazionale nei prossimi mesi
Cina
L’accordo provvisorio siglato dal Sottosegretario ai Rapporti con gli Stati mons. Antoine Camilleri e dal viceministro degli Esteri cinese Wang Chao, annunciato con un comunicato congiunto il 22 settembre scorso, ha segnato un punto di svolta sul delicatissimo dossier delle nomine episcopali. Tutto questo in un contesto nazionale dove – come è noto – la Chiesa cattolica (ma lo stesso vale per le numerose denominazioni protestanti presenti nel Paese e per le altre confessioni religiose) fa i conti da decenni con la pretesa del Partito comunista di controllare ogni attività religiosa, attraverso organismi dipendenti dal Governo quali l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi e il Consiglio dei Vescovi Cinesi. Con l’accordo la Santa Sede ha acconsentito a che sia lo Stato cinese a presentare i candidati alle sedi episcopali vacanti, riservandosi però l’ultima parola sulle singole nomine. Contestualmente, ha riammesso alla piena comunione con Roma sette vescovi precedentemente ordinati senza mandato pontificio. La piena unità della gerarchia ecclesiastica cinese con Roma raggiunta grazie all’accordo non ha fatto d’altra parte venir meno la preoccupazione di settori rilevanti del cattolicesimo cinese e globale circa le violazioni alla libertà religiosa che avvengono in maniera sempre più sistematica nella Cina di Xi-Jinping, all’insegna del principio della “sinicizzazione delle religioni”. Sul punto fanno riflettere le parole pronunciate il 7 gennaio da Francesco, il quale ha auspicato “che il prosieguo dei contatti sull’applicazione dell’Accordo Provvisorio siglato contribuisca a risolvere le questioni aperte e ad assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa”. I prossimi mesi mostreranno se e in che misura gli auspici della diplomazia pontificia saranno confermati dai fatti. Va registrato che all’indomani dell’accordo la propaganda antireligiosa e la persecuzione legale attuate contro le comunità cattoliche (soprattutto quelle non riconosciute dallo Stato) non paiono essersi in alcun modo interrotte. Nelle prossime settimane i riflettori saranno puntati sulla nomina del nuovo vescovo di Hong Kong, da cui – anche se le nomine episcopali nella ex-colonia britannica non rientrano nel nuovo iter procedurale concordato da Cina e Santa Sede – potrebbero trarsi utili indicazioni per comprendere la linea che la Santa Sede intende seguire nei riguardi del gigante cinese.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Papa Francesco in occasione del suo recente viaggio a Panama
Venezuela e Nicaragua
Ai due Paesi latinoamericani, dilaniati dal confronto tra la leadership sempre più autoritaria e repressiva dei presidenti Nicolas Maduro e Daniel Ortega e l’opposizione di vasti settori della società civile – che in Venezuela, attraversato da una crisi umanitaria senza precedenti, contestano la legittimità del secondo mandato presidenziale di Maduro (2019-2025) – il papa ha dedicato due significativi passaggi del suo discorso, invitando le parti in causa a uno sforzo comune volto alla riconciliazione e alla pace. Negli stessi termini si era espresso pochi giorni prima, in occasione della benedizione natalizia “Urbi et orbi”. La posizione assunta dal papa in quell’occasione ha suscitato la reazione del tutto inedita di un gruppo di 20 ex-presidenti latinoamericani – tra cui il colombiano Álvaro Uribe (tra i principali oppositori dell’accordo con le FARC sostenuto nel 2016 dal Vaticano) e i messicani Vicente Fox e Felipe Calderón – che in una lettera aperta al papa hanno sottolineato come gli inviti alla riconciliazione tra le parti in Venezuela e in Nicaragua, dove il potere politico si impone con metodi antidemocratici e violenti sugli oppositori, possano essere facilmente fraintesi e strumentalizzabili. In questo contesto anche la decisione della Santa Sede di inviare un proprio rappresentante (per quanto non di rango elevato) alla cerimonia di presa di possesso del secondo mandato presidenziale da parte di Maduro, il 10 gennaio scorso, non è passata inosservata. Se da una parte l’atteggiamento aperto al dialogo “contro ogni speranza” con le autorità civili di qualsiasi Stato rappresenta una costante nella plurisecolare storia della diplomazia pontificia, dall’altra parte colpisce la differenza tra l’atteggiamento qui assunto dal Vaticano (fortemente rimarcato da Maduro nel suo discorso inaugurale) e quello della conferenza episcopale venezuelana, che proprio il giorno prima aveva dichiarato illegittimo il nuovo mandato presidenziale. Più che di strategie divergenti potrebbe trattarsi di una “divisione del lavoro” (fatto non inedito per la diplomazia ultrateverina), che apre comunque interrogativi su come la Santa Sede – dopo aver inutilmente tentato di favorire una mediazione tra Governo e opposizione già nel 2016 – continuerà a operare nello scenario venezuelano e in quello nicaraguense.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – In Venezuela Maduro non sembra disposto ad abbandonare il potere
Viaggi, appuntamenti e possibili sorprese
Nel suo discorso papa Francesco ha ricordato gli importanti viaggi internazionali che lo attendono nel 2019 – alcuni dei quali molto rilevanti per la delicatezza del contesto geopolitico in cui si inseriscono (come quello a Panama previsto dal 23 al 27 gennaio in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù) e per il dialogo interreligioso: è il caso della visita negli Emirati Arabi Uniti prevista per i giorni 3-5 febbraio (si tratta della prima volta che un papa visita il Paese) e di quella in Marocco prevista per il 30 e 31 marzo – e altri appuntamenti quali l’importante Sinodo sull’Amazzonia, dal quale è lecito attendersi anche una riflessione sulle scelte del presidente brasiliano Jair Bolsonaro in merito ai diritti delle popolazioni indigene che vivono nella regione e allo sfruttamento delle risorse naturali. Sul piano bilaterale è da segnalare lo storico annuncio dello stabilimento di regolari relazioni diplomatiche con il Vietnam, presso il quale dal 2011 era già presente un “rappresentante pontificio non residente” (nella persona del nunzio a Singapore). Tra le possibili sorprese del 2019 potrebbe infine inserirsi un “accordo quadro” con il Messico, ventilato dall’ambasciatore presso la Santa Sede Jaime del Arenal prima di lasciare il suo incarico nel novembre scorso. Si tratterebbe di un evento sensazionale per chi conosce la sofferta storia dei rapporti Stato-Chiesa nel Paese, ma che verrebbe a coronare d’altra parte relazioni diplomatiche ormai consolidate, che vedono Santa Sede e Messico collaborare su più tavoli (a cominciare dal delicato tema delle migrazioni, oggetto di un importante bilaterale svoltosi lo scorso giugno in Vaticano). Sarebbe inoltre il primo accordo diplomatico con un Paese latinoamericano nel pontificato di Francesco (l’ultimo in ordine di tempo fu infatti il Concordato con il Brasile del 2008). Sarà interessante capire in ogni caso come si svolgeranno i rapporti del Vaticano con la nuova presidenza di Andrés Manuel López Obrador (AMLO), anche a partire dalla nomina del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Tra i possibili dossier comuni su cui lavorare spicca quello del Venezuela, rispetto al quale la decisione di AMLO di astenersi dal duro comunicato pubblicato il 4 gennaio scorso da 13 dei 14 Paesi facenti parte del c.d. “gruppo di Lima” ha suscitato un certo scalpore.
Paolo Valvo