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Il futuro del Qatar nel Golfo

In 3 sorsi – È di pochi mesi fa l’annuncio dell’uscita del Qatar dall’OPEC, che, da più di un mese, ha effettivamente perso uno dei suoi membri storici. Come vanno le cose nel Golfo? In 3 sorsi, gli aggiornamenti sulle relazioni regionali, e non solo, di Doha.

1. UN PASSO INDIETRO: DALLA CRISI DIPLOMATICA NEL GOLFO ALL’USCITA DEL QATAR DALL’OPEC

Con il PIL pro-capite più alto al mondo e una crescita economica costante, il Qatar vuole costruirsi la propria sfera d’influenza, smarcandosi dalla pressione saudita. Questa emancipazione aveva portato gli al-Thani a sfruttare le Primavere arabe per allargare la propria rete e a sostenere la temuta Fratellanza Musulmana come perno della politica araba. È nel giugno 2017 che avviene la frattura definitiva con Arabia Saudita ed Emirat in primis. Evitato il conflitto aperto grazie alla comune alleanza con gli Stati Uniti, si arriva al blocco delle relazioni diplomatiche e di qualsiasi forma di scambio. L’embargo sul piccolo Emirato vuole colpirne l’autonomia e spingerlo ad allinearsi alle posizioni saudite, soprattutto in merito al finanziamento di gruppi sunniti e alle relazioni con l’Iran. L’effetto, a un anno e mezzo, è stato opposto. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’impatto sull’economia è stato transitorio e già riassorbito, tanto che, proprio grazie all’autonomia raggiunta, il Paese ha vietato le importazioni provenienti dai Paesi ostili. Gli al-Thani, infatti, si sono impegnati a proteggere gli interessi nazionali e hanno trasformato l’isolamento in un’occasione di grande dinamismo economico e politico, concentrandosi sul rafforzamento delle proprie capacità industriali, soprattutto alimentari ed energetiche. Leader nella produzione di gas naturale liquefatto, del quale è primo fornitore mondiale, il Qatar vuole aumentare la produzione da 77 a 110 milioni di tonnellate annue in sette anni. L’Emirato è determinato a proseguire sulla propria strada e ha chiara la strategia da seguire. È della settimana scorsa, per esempio, l’annuncio di voler dar vita alla più grande banca islamica per finanziare progetti incentrati su gas, petrolio ed energie rinnovabili – sia a livello nazionale che internazionale, sia nel settore pubblico che privato. Con un capitale iniziale di $2,5 miliardi che arriverà a toccare i $10 miliardi, la Energy Bank finanziata dal Qatar sarà attiva già a partire dal quarto trimestre del 2019. Ecco che l’uscita dall’OPEC è un’inevitabile conseguenza simbolica dell’indipendenza qatariota: Doha, esportando solo il 2% del greggio dell’Organizzazione, non ha il potere di incidere sui mercati, ma può attirare altri Paesi nella propria direzione, mettendo in discussione la stabilità dell’OPEC e lo strapotere saudita, ponendosi come modello alternativo. In quest’ottica si collocano anche i recenti rinnovamenti politici (rimpasto di governo e sostituzione dei vertici delle aziende statali attive a livello internazionale), che, da una parte, mirano a proteggere l’Emirato dai contraccolpi del boicottaggio e, dall’altro, ne promuovono l’immagine con lo scopo di attrarre investitori esteri.

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Fig. 1 – L’emiro al-Thani con Angela Merkel al Qatar Germany Business and Investment Forum, settembre 2018, Berlino

2. LE RELAZIONI NEL GOLFO E NELLA REGIONE

Dimostrando una resilienza inaspettata, Doha continua a fare affari con vecchi e nuovi partner nonostante l’embargo, costruendo nuovi equilibri locali. Sostenuta dal Bahrein, Riyadh rimane ferma sulle proprie posizioni, tanto che pare intenzionata a scavare un canale lungo il confine qatariota, in modo da isolare geograficamente l’Emirato dal resto del Golfo. Lontano dall’ammettere il fallimento sono anche gli Emirati, che, pur troncando qualsiasi relazione con gli al-Thani, non possono permettersi di veder chiuso il gasdotto Dolphin, che soddisfa il 35% del fabbisogno interno grazie alle riserve qatariote. Al contrario, Oman e Kuwait giocano il loro tradizionale ruolo di pacieri, rispettivamente aiutando Doha nella gestione delle vie di comunicazione e ponendosi come mediatore interno al Consiglio di Cooperazione del Golfo. Contrariamente a quanto auspicato dai sauditi, il Qatar ha fatto di Iran e Turchia i due alleati principali. Oltre all’aumento di oltre il 100% delle esportazioni non petrolifere nel 2017, Teheran ha intensificato il traffico aereo e gli scambi culturali verso Doha, mettendo anche a disposizione il porto di Bushehr come nuovo perno per i commerci qatarioti. Inoltre, insieme collaborano allo sfruttamento del maggiore giacimento mondiale di gas South Pars/North Dome. Tuttavia, Doha, per evitare di rovinare il rapporto, ancora cordiale, con gli Stati Uniti, deve bilanciare le proprie alleanze. La vicinanza della Turchia, invece, si spiega soprattutto come il risultato degli investimenti qatarioti ad Ankara, che ammonterebbero a $1,5 miliardi, e dei contratti legati alla Coppa del Mondo del 2022 per un totale di $13 miliardi. Il Qatar, oltre a ospitare la base militare statunitense più grande della regione, accoglie anche una base turca.

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Fig. 2 – Incontro dell’emiro al-Thani con il presidente sudanese Omar al-Bashir in Qatar, gennaio 2019

3. IL QATAR GUARDA FUORI DAL GOLFO

Intenzionato a occupare un posto rilevante anche sulla scena internazionale, il Qatar ha investimenti industriali e finanziari su scala globale. Al-Thani punta ad aprire nuove rotte commerciali e a definire nuove alleanze strategiche. Il fondo sovrano del Qatar si estende praticamente ovunque (tra gli altri: Cina, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Russia, Svizzera, Stati Uniti), accompagnando, a un’intensa attività commerciale, il rafforzamento delle relazioni diplomatiche con i Paesi dove decide di investire. Il gas e il denaro qatariota riescono a superare i tradizionali legami politici e a far vacillare anche storici amici sauditi, come il Bangladesh, ormai dipendente dalle rimesse inviate dai cittadini soggiornanti nell’Emirato. Inoltre si intensificano i contatti con il Pakistan: Doha esporta gas a Islamabad (fino ad ora neutrale nella disputa infra-Golfo), che si dimostra disposto alla conclusione di partenariati e all’aumento dei visti turistici verso il Qatar (d’altronde, il Pakistan è il grande rivale dell’India, oggi alleato privilegiato degli Emirati, ovvero i più accesi accusatori degli al-Thani).
Con l’uscita di Doha dall’OPEC potrebbero aprirsi nuovi scenari. Se si dovesse arrivare alla creazione di un’OPEC del gas insieme a Russia e Iran, l’OPEC potrebbe avere vita breve, considerato che gli Stati Uniti sono sempre meno dipendenti dalle importazioni e che l’Arabia Saudita, così come l’intera regione, dovrebbe affrontare una vera rivoluzione, causata proprio da se stessa.

Sveva Sanguinazzi

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Sveva Sanguinazzi
Sveva Sanguinazzi

Sono nata nel 1989 a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) ed ho conseguito la laurea specialistica con lode in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna, scrivendo una tesi sul rapporto tra Arabia Saudita e terrorismo islamico (marzo 2014). Dopo un breve soggiorno Erasmus a Copenhagen, attualmente (ottobre 2014 – giugno 2015) vivo a Tunisi, dove seguo un corso di perfezionamento della lingua araba. Una volta tornata in Italia mi piacerebbe iniziare un dottorato o un periodo di ricerca presso società private. Affascinata dai Paesi del Golfo (e più in generale da tutta la regione MENA), mi interesso di tutto ciò che riguarda il terrorismo, dell’influenza che la religione esercita sulla politica e di tribalismo.

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