In 3 sorsi – In Sudan la violenta repressione del 3 giugno ha fatto saltare gli accordi tra i manifestanti e i leader militari che hanno assunto la guida del Paese dopo la caduta di al-Bashir.
1. UN GOLPE TUTT’ALTRO CHE RIVOLUZIONARIO
Qualche mese fa avevamo accolto con speranza il canto rivoluzionario di Alaa Salah, studentessa e attivista sudanese che, avvolta nel toub bianco (l’abito femminile tradizionale), incitava la folla al grido di thawra (rivoluzione, in arabo). Proprio in seguito all’acuirsi delle proteste, durate ben 4 mesi, lo scorso 11 aprile un colpo di Stato aveva destituito il Presidente al-Bashir. In quei giorni concitati, vi avevamo raccontato come – sin da subito – i militari avessero assunto la guida del Sudan, costituendo il Consiglio Militare di Transizione (TMC). I protagonisti del Sudan Uprising si erano opposti, chiedendo di costituire un Governo civile e, soprattutto, allontanare alcune figure legate ad al-Bashir e al suo entourage. Il 15 maggio TMC e manifestanti sembravano aver raggiunto un accordo formale in cui concordavano un periodo di transizione di 3 anni che avrebbe condotto a nuove elezioni democratiche entro il 2021.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Manifestanti protestano a Khartoum, capitale del Sudan, davanti al quartier generale dei militari. Sullo sfondo, un manifesto che raffigura l’attivista Alaa Salah, diventata simbolo del Sudan Uprising
2. SALTANO GLI ACCORDI, BAGNO DI SANGUE E ARRESTI
Il 3 giugno i leader militari hanno cancellato questi accordi, scatenando una violenta repressione nei confronti dei manifestanti, riuniti da giorni nella capitale Khartoum per un sit-in. Le opposizioni sostengono che a sferrare l’attacco sia stata un’unità paramilitare, la Rapid Support Forces (RSF), milizia derivata da janjaweed. Si tratta di un gruppo attivo in passato nelle operazioni sudanesi in Darfur, che oggi ha di fatto assunto il controllo dei confini e dei flussi migratori. Il bilancio delle vittime è ancora incerto, ma per il momento pare che la repressione di questi giorni abbia causato 108 morti. Nei giorni successivi all’attacco, oltre 40 corpi sono stati estratti dalle acque del Nilo. Lunedì sera il capo del Consiglio dei militari, il generale Abdel Fattah al Burhan, ha annunciato in diretta TV di aver interrotto il dialogo con le opposizioni, promettendo nuove elezioni entro i prossimi 9 mesi e la creazione di un Governo ad interim composto esclusivamente da militari. Contemporaneamente, le opposizioni hanno invitato i cittadini sudanesi a un atto di disobbedienza civile, organizzando uno sciopero generale. Nei giorni scorsi i militari hanno arrestato tre figure emblematiche dell’opposizione, coinvolte nel delicato processo di mediazione. Mohamed Esmat è stato prelevato venerdì 7 giugno, poche ore dopo il suo incontro con il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed, recatosi in Sudan nel tentativo di incentivare il processo di mediazione. Esmat è uno dei leader di Declaration of Freedom and Change Forces (DFCF), che unisce diversi partiti di opposizione e l’Associazione dei Professionisti Sudanesi (SPA), composta da molteplici organizzazioni di medici, avvocati, sindacati. Sabato 8 giugno sono stati arrestati anche Ismail Jalab, uno dei leader del gruppo SPLM-N e il suo portavoce Mubarak Ardol.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il 7 giugno il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed (sinistra) incontra il capo del Consiglio Militare di Transizione sudanese Abdel Fattah al-Burhan (destra) a Khartoum
3. LA CRISI IN SUDAN TRA APPOGGI E CONDANNE INTERNAZIONALI
Il giro di vite e le violente repressioni dell’ultima settimana hanno suscitato forti reazioni da parte della comunitĂ internazionale, che addossa alla TMC la piena responsabilitĂ di quanto accaduto. Dapprima l’Unione Africana ha chiesto al TMC e ai leader della protesta di riprendere urgentemente i negoziati di pace, seguita a stretto giro da Qatar e Germania. Anche gli Stati Uniti hanno condannato la repressione militare e dichiarato che è necessario porre fine alle violenze. Il 6 giugno l’Unione Africana ha sospeso il Sudan in seguito alle violenze di questi giorni. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha indetto una riunione straordinaria per votare una risoluzione sul Sudan. Cina e Russia hanno bloccato la risoluzione, condannando un possibile intervento delle Nazioni Unite nel Paese. Intanto, alcuni Paesi europei – Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Paesi Bassi, Svezia – hanno diffuso una nota congiunta per condannare gli attacchi compiuti dalle forze dell’ordine ai danni dell’opposizione, chiedendo che la volontĂ dei manifestanti di costituire un Governo civile sia finalmente rispettata. Come abbiamo visto a poco è servito l’intervento del premier etiope Abiy Ahmed che il 7 giugno ha incontrato sia il TMC che i gruppi di opposizione. Ciò che invece al momento sembra sortire il proprio effetto è il sostegno dei regimi di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti al TMC, sia dal punto di vista politico che economico. Arabia Saudita ed Emirati hanno assicurato al Consiglio militare un finanziamento di 3 miliardi e 500 milioni di dollari, a patto di continuare a beneficiare dell’appoggio da parte di Khartoum sul fronte della guerra in Yemen.
Caterina Pucci