Analisi – Conoscete la Scala dell’Escalation di Kahn? Dovreste, se vi interessa capire quello che sta succedendo tra USA e Iran. E come uscirne.
VERSO IL CONFLITTO
La tensione tra USA e Iran è cresciuta quasi costantemente dall’elezione alla Presidenza USA di Donald Trump a oggi. La denuncia dell’accordo sul nucleare (il cosiddetto Nuclear Deal o, più esattamente, JCPOA – Joint Comprehensive Plan Of Action), le tensioni nel Golfo, l’abbattimento di droni e il rischio di bombardamento USA, le petroliere dirottate sono tutti eventi raccontati dei media in questi anni (se temete di esservi persi qualche puntata, il Post ha qui un buon riassunto).
Perché la situazione è progressivamente degenerata fino al rischio di conflitto? Nulla viene fatto per evitare un tale rischio? Le dinamiche che coinvolgono l’attuale fase di confronto aspro tra USA e Iran non sono così strane se pensiamo che in realtà esse seguono, almeno in linea generale, alcuni pattern conosciuti. Non che questo renda il tutto meno preoccupante, ma ci aiuta a comprenderne le dinamiche e perché esse si siano svolte (e ancora stiano proseguendo) secondo le linee che vediamo.
Fig. 1 – Il Presidente iraniano Rouhani ha tenuto un discorso lo scorso 1° agosto in cui ha sottolineato il coinvolgimento del Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif nelle sanzioni USA
COME CI SIAMO ARRIVATI?
Al di là dei dettagli specifici, il confronto-scontro si è avuto secondo i seguenti passaggi:
- Si viene a creare una situazione di crisi: USA affermano che l’Iran non rispetti il JCPOA, Iran nega. In realtà il nucleo della questione è l’espansione dell’influenza regionale iraniana e le operazioni dei Pasdaran in Siria, Libano, Iraq e altri Paesi, che il JCPOA non regola.
- Vengono compiuti gesti diplomatici, economici e politici: gli USA escono dal JCPOA, aumentano sanzioni e pressioni sull’Iran. L’Iran denuncia alla comunità internazionale le azioni USA.
- Entrambi fanno dichiarazioni aggressive: in media possono essere riassunte con la minaccia che l’altra parte si pentirà di quanto sta facendo perché si è pronti a ogni azione, anche la più estrema.
- Le posizioni si arroccano, con un progressivo aumento della propaganda reciproca, infiammata dalle dichiarazioni ufficiali non concilianti. L’uso dei social media avviene sia per colpire (o anche solo ridicolizzare) l’avversario, sia per infiammare la propria opinione pubblica, o almeno la parte più sensibile a tali messaggi.
- Le due parti mostrano i muscoli: mostrano (o rimarcano pubblicamente) le proprie capacità militari pubblicizzando i propri mezzi più efficaci.
- Avvengono le prime mobilitazioni di truppe, navi e aerei. USA inviano portaerei e aerei per rendere più visibile e concreta la minaccia.
- Aumenta la guerra legale e le ritorsioni: sanzioni più stringenti, inclusa la revoca USA del permesso a varie nazioni alleate (compresi Stati europei come l’Italia) di continuare a fare affari con l’Iran tramite asset e banche USA. Iran prova a reagire chiedendo a UE di trovare alternativa.
- Iniziano gli atti di violenza per far pressione mostrando ulteriormente i muscoli: l’Iran abbatte un drone USA, vengono colpite petroliere vicino al Golfo Persico.
- Iniziano faccia a faccia pericolosi nelle acque attorno all’Iran: vengono sequestrate alcune petroliere, mentre USA (e Gran Bretagna) iniziano a organizzare un sistema di sicurezza marittimo per proteggere il naviglio civile.
Fig. 2 – Il Security Advisor americano John Bolton mentre rilascia un’intervista a FOX News il 31 luglio scorso riguardo alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti al Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif
LA SCALA DELL’ESCALATION
Questi nove passaggi riassunti velocemente qui sopra sono stati in gran parte sequenziali (con qualche eccezione, che comunque non cambia il concetto di fondo) e corrispondono ai primi 9 gradini della cosiddetta Scala dell’Escalation di Herman Kahn, stratega USA durante la Guerra Fredda. La scala, dotata di 44 “gradini”, è stata creata per valutare i percorsi che potevano condurre alla guerra nucleare, ma teniamo presente che il conflitto convenzionale (quella che noi chiameremmo guerra tra Stati) avviene già al dodicesimo…
Intendiamoci: lo studio di Kahn è per alcuni aspetti datato, la sequenza dei passaggi (cioè dei gradini) potrebbe essere diversa, soprattutto nel mondo odierno che presenta caratteristiche diverse da quello di oltre quarant’anni fa. Anche una sua variante più specifica, a 16 gradini, comunque andrebbe tarata a una modernità che oggi prevede l’uso estensivo di social network, di armi informatiche e così via, tutte cose che ai tempi di Kahn non esistevano. Servirebbe dunque un aggiornamento, ma è comunque singolare che almeno a grandi linee essa ricalchi molto bene quanto avvenuto. In altre parole, nonostante l’età e con le dovute tare, gli studi di Kahn sono oggi utili per farci comprendere meglio la realtà.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il 7 luglio 2019 il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif incontra il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres (destra)
SIAMO DESTINATI ALLA GUERRA?
Se dunque questo modello ha ricreato molto bene la situazione reale, cosa possiamo aspettarci? Siamo destinati a salire anche gli ultimi tre gradini? La guerra è inevitabile?
La risposta è no. Lo stesso Kahn ricorda – ed è questo il concetto chiave che ci interessa – che salire un gradino non è mai qualcosa di inevitabile. È sempre una scelta che si compie consapevolmente, nasce dopo aver soppesato pro e contro. Il problema è che non sempre tale valutazione è corretta, o non sempre la si effettua nella migliore delle condizioni di calma o di freddezza.
In altre parole, la guerra può essere frutto di valutazioni sbagliate (spesso lo è) ma non è mai “un caso”. C’è sempre la possibilità di fermarsi. Nella situazione attuale, nonostante la tensione perdurante, ci sono in effetti varie indicazioni di come i due contendenti non vogliano salire altri gradini: come riporta, tra gli altri, il quotidiano israeliano Ha’aretz, dietro le quinte stanno avvenendo numerose mosse diplomatiche che potrebbero portare allo sblocco della situazione, e in effetti per ora le parti stanno evitando di arrivare a uno scontro diretto, preferendo azioni “diversive”, anche se preoccupanti. La stessa decisione di Donald Trump di richiamare i cacciabombardieri prima che colpissero va in questa direzione, anche se c’è chi valuta che almeno parte del suo staff in realtà vorrebbe altrimenti.
Embed from Getty ImagesFig. 4 – Il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif durante una conferenza a Tehran in 5 agosto 2019
OCCHIO A QUESTI RISCHI
Ma allora come spieghiamo quei nove gradini percorsi? Non ci si poteva fermare prima? Ci sono due punti chiave o, se volete, aspetti di rischio: innanzi tutto nella mentalità politico-militare (soprattutto, ma non solo, quella occidentale) quei nove gradini sono comunque accettabili strumenti di pressione negoziale: un generico Paese A li usa per convincere l’avversario (generico Paese B) a cedere, di fronte a minacce sempre crescenti.
Il problema è che B, invece di cedere, almeno inizialmente preferisce alzare a sua volta la posta o come minimo rispondere alla pari («non ci intimidite»). Del resto, come potrebbe perdere la faccia?
Questo, di conseguenza, porta A a provare uno strumento negoziale ancora più incisivo: il gradino successivo. B risponde analogamente. E così via.
La guerra dunque inizia quando una delle parti coinvolte considera necessario salire il dodicesimo scalino. Può avvenire perché l’avversario ha superato una certa “linea rossa”, ad esempio perché il gesto di pressione diplomatica è invece stato interpretato non più come, appunto, gesto diplomatico, ma come atto di guerra.
Si evita invece quando uno dei contendenti decide di non salire più alcun gradino, alto o basso che sia, e l’altro, accorgendosene, fa lo stesso. Generalmente, ed è il caso anche per Iran e USA, è possibile trovare ottime ragioni concrete per farlo. Ma, ricordiamolo, ha sempre un costo, spesso politico o elettorale: tutti fattori che entrano in quella valutazione di “pro” e “contro” che, si spera, possa essere fatta in maniera accurata e non frettolosa. Il che porta al secondo aspetto di rischio: quello che il prof. Daniel Shapiro nel suo libro “Negotiating the Nonnegotiable” chiama vertigo: a volte, presi dal confronto e dal desiderio di prevalere, finiamo attirati in una spirale di aggressività sempre maggiore per “non perdere” a tutti i costi, perdendo invece di vista proprio il fatto che alcuni costi sono comunque eccessivi.
Lorenzo Nannetti