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Si può davvero parlare di pace con le Farc?

Analisi A tre anni dallo storico accordo tra il Governo e le FARC, la Colombia è di fronte a una nuova minaccia alla pace.

TRE ANNI DALL’ACCORDO

Il 24 novembre 2016, dopo oltre quattro anni di negoziati, il Governo colombiano e il gruppo guerrigliero delle FARC hanno firmato un accordo di pace, concludendo un conflitto che durava da più di 50 anni. Due le conseguenze fondamentali di questo accordo: la trasformazione delle FARC da movimento di guerriglia a partito politico (Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común) e l’amnistia per gli ex guerriglieri che abbandonano le armi e che sono disposti a reintegrarsi civilmente nella società. Alle elezioni del marzo 2018, il neo-partito ha ottenuto cinque seggi in Senato e altrettanti alla Camera dei deputati, che corrispondono al minimo garantito dagli accordi di pace de L’Avana. Tra gli eletti: Seuxis Pausías Hernández (Jesús Santrich) e Luciano Marín Arango (Iván Márquez).

Gli accordi e l’introduzione nel processo democratico delle ex Forze Armate si possono considerare come presupposti per una pace duratura nel Paese? La risposta sembrerebbe positiva, ma purtroppo non è così. Secondo il rapporto della ONG Instituto de Estudios Sobre Paz y Desarrollo (INDEPAZ) e del movimento politico Marcha Patriótica, il trend degli omicidi dal 2016 al 2018 è andato in costante aumento. Secondo le stime dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU, nel 2018 il numero di omicidi e massacri nel Paese è aumentato del 164% rispetto all’anno precedente e 110 attivisti a tutela dei diritti umani avrebbero perso la vita. Al riguardo, in una lettera aperta il leader delle FARC Rodrigo Londoño Echeverri (Timoleón Jiménez o Timochenko) ha accusato il Governo di passività davanti alle violenze nei confronti degli ex guerriglieri e ha invitato la comunità colombiana e internazionale a esigere una soluzione efficace dal Presidente Iván Duque.

Intanto, il dialogo tra il Governo colombiano e l’Ejercito de Liberación Nacional (ELN) è sempre più complicato dopo l’attentato alla Scuola dei Cadetti di Bogotá, rivendicato dalla guerriglia, e l’appoggio che la stessa ELN starebbe dando a un’iniziativa di alcuni dissidenti delle FARC che rischia di mettere in serio pericolo gli accordi de L’Avana.

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Fig. 1 – Il presidente Iván Duque durante un evento.

IL “CASO SANTRICH” E I DISSIDENTI CHE MINANO LA PACE

Elemento turbativo della pace raggiunta tre anni fa è stato il “caso Jesús Santrich”: uno dei maggiori esponenti delle FARC ai tempi della guerriglia e durante le negoziazioni a Cuba, Santrich è stato accusato di traffico di droga verso gli Stati Uniti insieme al cartello messicano di Sinaloa, che faceva capo a Joaquín Guzmán Loera (El Chapo). L’arresto di Santrich nell’aprile 2018 e la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti hanno provocato forte indignazione nelle fila delle FARC. Nel maggio del 2019, i giudici della Jurisdicción Especial para la Paz (JEP) hanno bloccato l’estradizione per mancanza di prove e l’hanno rilasciato. I pubblici ministeri colombiani hanno ordinato un nuovo arresto dopo pochi minuti esibendo nuove prove contro di lui; Santrich è stato poi scarcerato dalla Corte Suprema sulla base dell’immunità parlamentare. Ancora sotto indagine, Santrich ha fatto perdere le sue tracce alla fine del giugno 2019 ed è riapparso, armato, il 29 agosto scorso accanto a Márquez e a Hernán Darío Velásquez Saldarriaga (El Paisa) in un video in cui viene annunciata la riorganizzazione militare per “una nuova fase di lotta”, dopo il tradimento della pace avvenuto, sostengono, per colpa dello Stato. I punti salienti di questo “manifesto”, come indicato dalla Fundación Ideas Para La Paz (FIP), possono essere riassunti in tre macro-aree:

  • 1) la violazione dell’accordo de L’Avana;
  • 2) una nuova lotta armata che non colpirà obiettivi militari ma sarà prettamente difensiva;
  • 3) l’inserimento di un nuovo governo nel Paese che coinvolga tutti gli attori armati. Passaggi delicati riguardano la volontà di costruire un nuovo ordine sociale “giusto” (“contra los malos gobernantes y por la construcción de un nuevo ordine social justo”); l’attacco al Presidente Duque accusato di aver disconoscuito l’accordo di pace (“ahora su sucesor en la presidencia de la república Iván Duque asegura sin inmutarse que lo que él firmó no lo obliga desconociendo así que el acuerdo se firmó con el Estado no con un gobierno”).

Infine, il riferimento all’ELN (“Buscaremos buscar esfuerzos con la guerrilla del Eln, y con aquellos compañeros y compañeras que no han plegado sus banderas”). La Fundación Paz y Reconciliación ha individuato più di 2000 guerriglieri operanti in 85 comuni nei 15 dipartimenti del Paese. Questi potrebbero entrare in contatto con alcuni altri gruppi armati (l’ELN, ad esempio) rafforzando lo scenario di una possibile nuova guerriglia. Le posizioni dei dissidenti si scontrano con quelle delle “FARC politiche”. Il leader Londoño ha preso le distanze dall’operato di Márquez, riaffermando l’impegno nel mantenere gli accordi di pace per assicurare la stabilità nel Paese. La rottura interna alle FARC è evidente e profonda, così come netta è la presa di posizione dei dissidenti nei confronti dello Stato, e rischia di polarizzare la società in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.

Il 27 ottobre 2019 si terranno le elezioni regionali e comunali. Anche in questo caso non sono mancati episodi di violenza, dalle intimidazioni all’assassinio di candidati. Secondo il report dell’osservatorio colombiano Misión de Observación Electoral (MOE) il bilancio delle vittime di violenza politiche è allarmante: 265 vittime tra ottobre 2018 e giugno 2019. Il caso più recente riguarda la candidata a sindaco di Suárez Karina García, membro del Partido Liberal Colombiano uccisa insieme alla madre e allo staff elettorale. Secondo il Governo, i responsabili sarebbero proprio i dissidenti delle FARC.

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Fig. 2 – I dissidenti nel video in cui annunciano la creazione di una nuova guerriglia.

LA CRISI IN VENEZUELA RICADE SULLA COLOMBIA

La situazione del vicino Venezuela è un fattore influente nelle dinamiche interne colombiane. Se da un lato la connivenza tra i gruppi criminali alla frontiera dei due Paesi è fatto ben noto, dall’altro la crisi economica che ha investito il Paese guidato da Maduro ha avuto delle ripercussioni sul tessuto sociale colombiano. Secondo il Direttore Generale di Migración Colombia, Christian Krüger Sarmiento, nell’ultima pubblicazione di agosto con riferimento ai dati raccolti fino a giugno, il numero di venezuelani presenti in Colombia era di circa 1,4 milioni, destinati ad aumentare entro la fine del 2019. Di questi, 742.000 si trovano in una situazione regolare: la grande maggioranza sarebbe titolare del permesso speciale di permanenza (PEP) che consente ai cittadini venezuelani di accedere ai servizi primari e al mercato del lavoro colombiano. Nella stessa pubblicazione vengono indicati i dipartimenti con maggior presenza venezuelana: circa il 22% risiede a Bogotá, seguito da Norte de Santander con il 13,17%, La Guajira con l’11,64, Atlantico con l’8,8% e infine Antioquia con l’8,01%.

Davanti a questi numeri la decisione del presidente Iván Duque, nonostante i pesanti attacchi diretti al leader venezuelano Maduro, è stata quella di concedere la cittadinanza a circa 24.000 bambini venezuelani immigrati. Questa misura è entrata in vigore lo scorso 20 agosto, ha validità biennale, e sarà a beneficio di tutti i bambini nati dal 19 agosto del 2015 da genitori venezuelani. Questa risoluzione permetterà l’accesso ai programmi sociali statali quali sanità e scuola. Di contro, secondo un sondaggio effettuato dall’istituto di ricerca Invamer, il disappunto della popolazione locale per la gestione della crisi migratoria venezuelana è aumentato: dal 34% al 56% nel periodo tra febbraio a luglio 2019, con una conseguente diminuzione dei pareri favorevoli all’accoglienza che è passata dal 56 al 46% nel medesimo periodo. Questo ha portato inoltre, all’aumento della rabbia e della xenofobia verso gli immigrati, dovuto specialmente alla mancanza di fondi e risorse per gestire un flusso migratorio di questa portata. Il rischio paventato è quello di un aumento dell’economia clandestina e di attività criminali e, non secondario, quello di far collassare il sistema pubblico sanitario.

Marco D’Amato

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Marco D'Amato
Marco D'Amato

Nato a Brescia, sono laureando in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi della Tuscia con una tesi in diritto internazionale sul Cyberspace. Appassionato di relazioni internazionali, il passo verso la geopolitica era inevitabile. Ulteriori interessi sono: viaggiare, il calcio, la musica e la lettura.

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