Analisi – Il risultato delle elezioni locali svoltesi lo scorso 8 settembre in tutta la Federazione implica due conclusioni. La prima è che mesi di proteste anti-Putin possono avere effetto con la giusta strategia, la seconda è che nonostante ciò, la Russia è ancora “unita” intorno al suo Presidente. Il deludente risultato ottenuto nella capitale dovrebbe preoccupare Vladimir Putin? O è solo una reazione isolata dovuta al tesissimo clima che ha infiammato l’estate moscovita?
LA CLAMOROSA SCONFITTA NELLA CAPITALE
Il movimento politico che fa capo a Vladimir Putin, Russia Unita, ha confermato nelle elezioni per il rinnovo delle amministrazioni locali la sua forte presa. In questa enorme tornata elettorale, che ha coinvolto circa 50mila collegi, gli elettori erano chiamati a rinnovare 16 governatori, 13 deputati regionali e soprattutto la Duma di Mosca (il parlamento locale). Se Russia Unita non ha avuto grossi problemi con i governatori e i deputati delle regioni, a far rumore è stata la sconfitta nella capitale. A Mosca il partito di Putin mantiene 25 seggi rispetto ai 38 precedenti (su 45 totali). Formalmente Russia Unita non ha partecipato: il partito non ha proposto nessun candidato, ma molti dei nomi presentatisi come indipendenti erano in realtà volti noti legati al movimento del Presidente.
I seggi persi da Russia Unita (che conserva la maggioranza) sono andati ai comunisti, ai liberali del partito Yabloko e ai socialdemocratici di Russia Giusta. I movimenti d’opposizione salgono da 7 a 20 seggi, accrescendo notevolmente il proprio peso. A cosa si deve la perdita di almeno un terzo delle preferenze a Mosca per Putin, la cui fiducia è stata ampiamente confermata nel resto del Paese? Quelli precedenti alle elezioni sono stati mesi molto duri tra accese manifestazioni e scontri violenti con le Forze dell’ordine. Le proteste iniziarono con l’esclusione di molti candidati dell’opposizione dalle elezioni per la suddetta Duma.
Fig. 1 – Vladimir Putin vota durante le elezioni locali per il rinnovo della Duma di Mosca, 8 settembre 2019
L’ESCLUSIONE DEGLI INDIPENDENTI
Delle 228 candidature registrate per le elezioni alla Duma di Mosca, ben 56 furono respinte a luglio dalla Commissione elettorale. La maggior parte degli esclusi era composta da candidati dell’opposizione indipendenti, ossia non legati a nessun partito. Questa tipologia di candidatura richiede una raccolta firme presso l’elettorato cittadino. A metà luglio la Commissione respinse diversi candidati indipendenti contestandone le firme raccolte, e quindi negando loro la possibilità di concorrere per un seggio. Le settimane successive alla decisione hanno visto le forti proteste degli esclusi, e non sono mancati momenti drammatici. Tra arresti e scioperi della fame, gli oppositori scesi in piazza contro Putin hanno vissuto una difficile estate solo in parte ripagata dalla sconfitta di Russia Unita dove più contava, cioè proprio a due passi dal Cremlino. In questo clima di tensione il leader delle proteste, Alexei Navalny, ha lanciato l’idea del “voto intelligente”. Una strategia politica per contrastare Putin sul suo stesso campo, alle urne. E, almeno nel cuore della Russia, ha funzionato egregiamente.
Una parte dell’opposizione e dell’opinione pubblica, però, non è soddisfatta del risultato storico. A occupare i 20 seggi nella Duma di Mosca sarà la cosiddetta opposizione “sistemica”, cioè quella meno avversa all’influenza di Vladimir Putin, e ritenuta più disposta a subirne le limitazioni. Gli oppositori considerati “veri” sono tra quelli esclusi. Solo con quest’ultimo tipo di opposizione si può scalfire davvero il potere incontrastato di Putin, come sostiene l’imprenditore dissidente Mikhail Khodorkovsky, tra gli scettici del metodo “intelligente” avanzato da Navalny.
Fig. 2 – Lyubov Sobol, collaboratrice di Alexei Navalny e protagonista delle proteste moscovite di questa estate
LA CALDA ESTATE MOSCOVITA
Dalla decisione della Commissione elettorale ci sono state regolarmente ogni week-end mobilitazioni generali che hanno portato Mosca sotto i riflettori dei media internazionali. A guidare le proteste sono stati principalmente Alexei Navalny e la sua collaboratrice Lyubov Sobol, anch’essa tra i candidati esclusi alle elezioni. Navalny negli ultimi anni è diventato una figura di riferimento delle proteste anti-Putin, organizzate sin dal 2011 per denunciare la corruzione della classe politica al potere. Arrestato più volte per il suo attivismo, nel 2018 ha visto riconosciuto un cospicuo risarcimento danni a suo favore dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Russia è stata condannata per i ripetuti arresti subiti da Navalny, valutati come strumenti di persecuzione politica. L’ultimo arresto (durato 30 giorni) è avvenuto il 24 luglio, a seguito delle proteste condotte in vista delle comunali di Mosca.
Navalny ha definito “un successo” l’esito della strategia del “voto intelligente”, ringraziando tutti gli elettori che vi hanno preso parte. La piattaforma promossa dal leader dell’opposizione, grazie a un sofisticato software di analisi dei dati, suggeriva ai cittadini il candidato con più probabilità di contrastare quello proposto da Russia Unita (o comunque espressione del potere) nella propria circoscrizione. L’esito del voto moscovita dimostra quanto sia stata efficace questa soluzione, che corona una lunga estate contrassegnata da violenti arresti e repressioni, condannate anche dall’UE. Il Servizio di Azione esterna dell’Unione, con un comunicato diffuso il 27 luglio, ha espresso preoccupazione per il rispetto delle libertà fondamentali sancite dalla stessa Costituzione russa. Anche Sobol è stata arrestata, così come il giornalista Ilja Azar, venendo poi subito rilasciati. L’attivista Konstantin Kotov invece, dopo l’arresto nell’ambito delle proteste di Mosca, è stato condannato a 4 anni di carcere.
Fig. 3 – Alexei Navalny si reca a votare accompagnato dalla sua famiglia, 8 settembre 2019
IL PRESIDENTE DOVREBBE PREOCCUPARSI?
Il voto dell’8 settembre per gli osservatori internazionali (e per il Cremlino) è stato un test importante. I prossimi anni vedranno altre sfide sul tavolo per Putin, con le legislative nel 2021 e la fine del mandato presidenziale nel 2024. Secondo Navalny quello di Mosca è un chiaro campanello d’allarme per la leadership attuale, segno che i cittadini sono stanchi e pronti al cambiamento. Ma proprio nella capitale si è registrata un’affluenza appena sopra il 20%, e Russia Unita non è stata messa in discussione nel resto della Federazione (tranne nella città di Khabarovsk, dove è stata pesantemente sconfitta dai liberaldemocratici).
A preoccupare però Putin potrebbe essere la crisi interna al suo stesso partito, per la quale alcuni membri hanno preferito presentarsi come indipendenti nelle comunali di Mosca. Un’altra ragione di tale scelta politica potrebbe trovarsi nei sondaggi che vedono crescere il malcontento verso Russia Unita e di conseguenza sulla politica del Presidente Putin. Secondo quando riportato dall’istituto di sondaggi statale russo Vtsiom, solo il 22% dei moscoviti avrebbe optato per un candidato proposto da Russia Unita, contro il 37% in caso di nome indipendente. Lo stesso Vladimir Putin alle presidenziali del 2018 ha preferito presentarsi come indipendente, forte del suo indiscusso prestigio personale.
Non solo la fiducia dei russi, ma anche la capacità di gestire il dissenso era sul banco di prova. Amnesty International ha denunciato alla vigilia del voto nella capitale russa “attacchi senza precedenti ai diritti umani”. Nel comunicato diffuso il 6 settembre, Amnesty ha riportato i maltrattamenti subiti dai manifestanti e in particolare da Ilya Yashin, Presidente del municipio di Krasnoselsky e attivista politico, arrestato più volte da fine luglio e attualmente detenuto. Anch’egli era tra i candidati esclusi alle elezioni di Mosca. Il vero campanello d’allarme potrebbe essere questo in futuro: l’esasperazione di coloro che non sostengono l’attuale regime repressivo e che sono pronti a rischiare tutto. Per capire se quello di Mosca è stato solo un another brick in the wall, bisognerà attendere almeno due anni.
Mario Rafaniello