Fresca di contestata tornata elettorale, la Russia di Putin si ritrova in un momento particolare della sua storia. La figura del Presidente appare più forte che mai, ma saprà far fronte alla difficile situazione economica e alle promesse di rinnovamento fatte? E riuscirà a legittimarsi in politica estera, a discapito dell’ostilità di Europa e Stati Uniti?
UNA DISCUSSA VITTORIA ELETTORALE
“Nostro riferimento è una Russia per tutti e per ciascuno, un Paese in cui ciascuno possa realizzarsi. E io, da capo dello Stato, farò tutto per accrescere la potenza, la prosperità e la gloria della Russia”.
Con queste parole Putin si è ripresentato a giurare da Presidente della Federazione Russa lo scorso 7 maggio. Si tratta del suo quarto mandato alla guida del Paese. Sono passati 18 anni dal primo e, nonostante varie difficoltà sul fronte nazionale ed internazionale, lui è ancora lì, pronto a governare fino al 2024.
Le elezioni presidenziali, svoltesi il 18 marzo scorso, hanno visto trionfare l’ex funzionario del KGB con il 77% dei voti e un’affluenza al 67,5%. Non sono mancate le polemiche: il principale oppositore, Alexei Navalny, è stato dichiarato ineleggibile dalla commissione elettorale a causa di una contestata condanna per appropriazione indebita. Numerose proteste, prima e dopo il risultato elettorale, hanno scosso il Paese. Al culmine di quest’ondata, a inizio maggio, un corteo anti-Putin ha visto l’arresto di 1300 manifestanti, tra i quali lo stesso Navalny. Insomma, un certo fermento nei confronti di un sistema politico ancora troppo poco democratico è ancora vivo e l’atteggiamento governativo verso le opposizioni resta ostile (talvolta in maniera anche pesante). Tuttavia, non ci sono dubbi: Putin è ancora oggi una figura molto amata in patria e questo record di consensi ne è la prova. Nonostante il risultato, però, il periodo non è dei più semplici e il Presidente appena rieletto si ritrova a dover affrontare una situazione politica complessa e delicata.
Fig. 1 – Putin assiste alla partita inaugurale dei Mondiali di calcio, 14 giugno 2018
PROBLEMI ECONOMICI E PROMESSE ELETTORALI
La riconferma a pieno titolo di Putin è coincisa con la scelta politica di riconfermare, poco dopo, Dmitry Medvedev come Primo Ministro. Similmente tutti i ministeri rilevanti sono rimasti in mano ai loro precedenti detentori. La scelta è emblematica dell’intenzione di Putin di restare in continuità con il passato. Si vocifera che sia anche dovuta al non fidarsi di un Medvedev (che rappresenta una visione più morbida e liberale di Governo) al di fuori del controllo presidenziale. Il ruolo del Governo, infatti, è stato fortemente ridimensionato negli anni e, di fatto, appare sempre di più di carattere tecnico. È comunque una scelta in controtendenza con le richieste di cambiamento che il Paese aveva avanzato e che lo stesso Putin aveva accolto a suon di grandi promesse elettorali.
La Russia, infatti, ha in questi anni visto una forte contrazione del PIL, in parte dovuta alle sanzioni della comunità internazionale, in parte all’andamento del mercato petrolifero, dalle cui esportazioni la Russia è più che dipendente. Il rublo si è fortemente deprezzato, mentre l’inflazione ha raggiunto picchi del 13% annuo (seppur calmierandosi molto recentemente). I redditi medi si sono ridotti; secondo il World Inequality Report 2018 la disuguaglianza sociale è tornata addirittura ai livelli del 1905. Allo stesso tempo Transparency International colloca la Russia al 135esimo posto della sua classifica internazionale sulla corruzione e la percezione è che il Paese non riesca ad eliminare questo pesante fardello politico e economico.
Ad ogni modo, l’economia russa ha mostrato recentemente diversi segnali di ripresa (nel 2017 il PIL è tornato a crescere dell’1,5% e il deficit di bilancio dovrebbe essere eliminato prima del previsto), ma essi non liberano Putin dalle promesse fatte di cambiamenti strutturali nel Paese.
Per recuperare competitività rispetto alle altre grandi potenze mondiali, il Presidente si è quindi preposto di fare grandi passi in avanti in campo scientifico-tecnologico e di rilanciare il tessuto economico-sociale russo. Tuttavia, gli investimenti necessari per realizzare quanto indicato nei nove obiettivi nazionali (dall’aumento dell’aspettativa di vita e del Pil, al discostamento dalla dipendenza degli export dal petrolio), come scrive il Financial Times, sono così ingenti da sembrare praticamente un’utopia. Ma le promesse vanno rispettate (o almeno va fatto sembrare che sia così). E al dunque, probabilmente, arriveranno, seppur in maniera “soft”, le risorse promesse per welfare e infrastrutture. Tra cui un aumento del 40% della spesa per gli asili e un raddoppio della spesa per la costruzione e manutenzione delle strade.
Fig. 2 – Putin con il Presidente iraniano Rouhani all’ultimo vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), 9 giugno 2018
OPPORTUNISMO E STRATEGIA IN POLITICA ESTERA
Se la situazione interna rappresenta un’incognita per il Paese e per lo stesso Putin, è la politica estera che, come già accaduto in passato, continua a richiedere le maggiori attenzioni del Governo russo. In questi anni Mosca è infatti riuscita a consolidare la sua posizione di “nazione forte” grazie alla sua capacità di colmare il vuoto statunitense in Medio Oriente e alla discussa annessione della Crimea. Ed è proprio dalla tanto agognata penisola che si può partire per ricostruire l’agenda estera della Russia
È di qualche giorno fa la notizia del completamento del Krymsky Most, ponte che collegherà la Crimea alla regione di Krasnodar, unendo così definitivamente la Russia alla sua nuova provincia (non riconosciuta e ancora contestata dalla comunità internazionale). E così la figura del neo-Presidente alla guida di una fila di camion alla vigilia dell’inaugurazione è un’immagine tanto potente quanto simbolica. Indietro non si torna, ma si deve ripartire da quanto costruito, legittimamente o meno che sia. E allora le debolezze altrui possono rappresentare una risorsa per legittimarsi in Europa, dove l’obiettivo principale resta l’eliminazione delle sanzioni. Ne sono testimoni i recenti incontri di Putin con Macron e Merkel (quest’ultimo, in particolare, legato al contestato progetto del gasdotto Nord Stream 2, che vedrebbe un ulteriore rafforzamento della Russia come principale approvvigionatore di energia in Europa).
Un altro ponte, che Putin vorrebbe costruire per unire la Russia alla Corea del Nord, simboleggia la strategia globale che Mosca sta cercando di intraprendere: voler dire al mondo, in tutte le sue aree nevralgiche, che la Russia c’è e va trattata come interlocutore di primo piano. In particolare l’Orso russo mira a posizionarsi nelle fratture geopolitiche create dall’azione “disturbante” degli Stati Uniti di Trump. Il caso più eclatante è la questione iraniana. L’Iran ha rappresentato per Mosca una pedina importante per l’equilibrio mediorientale. L’appoggio comune al regime di Assad, oltre che ad alcune sinergie di carattere militare, ha permesso alla Russia di accrescere la propria legittimazione regionale, in cambio dell’appoggio alla causa sciita. Le ostilità di Washington nei confronti dell’Iran, in particolare la decisione di Trump di uscire dall’accordo internazionale sul nucleare e riapplicare sanzioni economiche a Teheran, rappresentano quindi un’opportunità (che Putin sembra voler cogliere al volo) per acquisire ancora maggior influenza nel contesto mediorientale. Con gli Stati Uniti che sembrano aver scelto di stare in “seconda linea” nell’area, costruire un asse ancora più solido con Teheran potrebbe infatti essere fondamentale per ridimensionare Turchia e Israele, le altre due pedine fondamentali del complesso scacchiere regionale.
Fig. 3 – Magnetini con l’immagine di Putin in vendita in un negozio di Mosca
AMBIZIONI E LIMITI DELLA POTENZA RUSSA
Insomma, ora come ora, nonostante le difficoltà che potrebbero derivare dalla difficile e complicata situazione economica interna, la Russia si trova in un contesto storico abbastanza favorevole. La debolezza di un’Europa frammentata e le avventatezze di Trump potrebbero allargare la sfera d’influenza del neo-Presidente Putin. Tuttavia, il castello di rapporti internazionali è molto fragile e non tutto va pesato sul breve termine; molti analisti concordano che la stessa annessione della Crimea in realtà sia stata, oltre che un’ottima manovra per il consenso politico interno, un passo falso che ha spinto l’Ucraina verso le braccia di Stati Uniti e Unione Europea. E così un domani la situazione potrebbe anche volgere al peggio per Mosca, soprattutto se non ci sarà un’economia forte a sorreggerla.
Mario Janiri