Analisi – La crisi migratoria seguita alle cosiddette primavere arabe ha rivelato storture e miopie strategiche europee relative ai flussi di ingresso e alla gestione del proprio vicinato. Adesso, demografia, (geo)politica e fattori strutturali rivendicano una nuova considerazione. Il recente accordo raggiunto a Malta può cambiare davvero gli scenari?
DAL 2014 A OGGI: UNA SINTESI
Fra il 2014 e il 2016, più di un milione e mezzo di persone ha raggiunto i territori dell’Unione Europea, in fuga da conflitti, terrorismo, crisi umanitarie. Un’ondata di persone che ha dato avvio a una delle maggiori crisi comunitarie dal punto di vista politico, giuridico e valoriale, acuendo le tensioni socio-economiche legate alla crisi finanziaria del 2007-2008 e alle incertezze dovute alla globalizzazione. In questo contesto, i Paesi dell’Unione hanno agito principalmente in ordine sparso e con risposte focalizzate sul breve periodo. Alla fine, le ricadute sono state notevoli:
- Nel 2016 si è raggiunto un accordo dal contestato valore legale e umanitario fra UE e Turchia, al fine di fermare migranti, richiedenti asilo e profughi in arrivo attraverso il Paese, accordo seguito nel 2017 da un Memorandum di Intesa tra l’Italia e il Governo di unità nazionale libico, entità sostenuta in maniera più o meno concreta dalla comunità internazionale, ma dipendente sul territorio dal sostegno di una serie di milizie, tribù e clan;
- Sono cresciuti i sentimenti xenofobi e le paure anti-immigrati lungo il Vecchio Continente, cavalcati da diverse fazioni politiche in molteplici Paesi;
- È emersa la mancanza di uno spirito di collaborazione comunitaria in tema di migrazioni e rifugiati, oltre che il blocco dell’Area Schengen in determinati Stati (ancora attivo in Francia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia).
Fig. 1 – Migranti africani detenuti in un centro libico
MIOPIA E VISIONE INTEGRALE
La miopia europea sul fenomeno delle migrazioni si è rivelata in un approccio ancora oggi fondamentalmente securitario ed emergenziale al fenomeno, senza che la politica abbracci tutti i fattori in gioco. Innanzitutto, la popolazione europea a livello complessivo sta progressivamente invecchiando: nei prossimi decenni, qualora il sistema lavorativo dovesse rimanere uguale, ciò implicherà il bisogno di risorse attive, ossia lavoratori che sostengano i costi crescenti di spese sanitarie e pensionistiche.
In secondo luogo, le condizioni strutturali: alle condizioni attuali, cambiamenti climatici e scarsità di risorse idriche, unite a una potente crescita demografica – causa di maggiori necessità alimentari ed energetiche – potrebbero provocare circa 143 milioni di migranti ambientali entro il 2050, ripartiti fra Africa subsahariana, Asia e Medio Oriente. È plausibile aspettarsi che una buona fetta di queste persone cercherà rifugio nella regione più vicina e che offre più benefici: il Vecchio Continente, proprio per la sua condizione demografica e l’alta qualità della vita.
In terzo luogo, i fattori (geo)politici, come la presenza di regimi autoritari e repressivi, tensioni etniche, sociali ed economiche, o l’emergere di conflitti caldi o freddi, potrebbero avere un impatto notevole sui flussi migratori. In particolare, si pensi al significativo “anello di fuoco” che circonda l’Unione Europea:
- L’instabilità dei Paesi nordafricani, dalla fragile democrazia tunisina alla guerra intestina libica, passando per il conflitto infra-egiziano e le difficoltà del regime algerino;
- La situazione nel Corno d’Africa, dall’Eritrea alla Somalia;
- Il Medio Oriente, sempre in ebollizione, dalla Turchia alla Siria, dal Libano allo Yemen, dall’Arabia Saudita al Qatar, da Israele all’Iran all’Afghanistan;
- I conflitti e le crisi che travagliano tanti Paesi africani;
- I conflitti congelati dello spazio post-sovietico, dall’Ucraina alla Georgia.
UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA COMUNITARIA
Per quanto la situazione sia complicata, esistono delle soluzioni. A lungo l’Occidente ha vissuto come in una campana di vetro, dall’illusione della “fine della storia” a quella della crescita economica infinita in un mondo di risorse finite. Tuttavia, si possono presentare alcune opzioni per operare sul fenomeno delle migrazioni da un punto di vista non meramente securitario ed emergenziale.
In questo contesto, nel prossimo futuro sarà fondamentale il ruolo giocato dalle Istituzioni europee, anche avvalendosi della cooperazione del sistema ONU e della NATO:
- Si parta dal concetto, tanto scontato quanto incompreso, che non è in atto una invasione reale dell’Europa, mentre esistono assodate problematiche, legate alla mancanza di seri e costruttivi percorsi di integrazione in molti Paesi Membri. Le politiche di salvataggio e accoglienza, da sole, rimangono focalizzate sul breve periodo. La sfida che attende il Vecchio Continente sarà trovare soluzioni efficaci per agire sui flussi migratori senza esserne sopraffatti, fermo restando che le migrazioni sono tanto antiche quanto l’umanità, quindi anche le politiche dei muri e delle chiusure sono applicabili solamente fino a un certo punto. Nel 2019, le prime nove nazionalità di migranti e richiedenti asilo che arrivano via Mediterraneo sono: Afghanistan, Siria, Marocco, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Mali, Costa d’Avorio, Guinea, Palestina. Sarebbe opportuno elaborare una politica comunitaria che preveda il rilascio di visti di studio e lavoro direttamente nelle ambasciate europee situate nei Paesi di partenza, avvalendosi di distaccamenti di funzionari nazionali. Ciò avrebbe il doppio effetto positivo di limitare le attività delle criminalità organizzate e di avere maggiore sicurezza, sia per chi parte sia per chi riceve. Certo, ci sarebbe anche l’impegno, gravoso, di dovere agire a livello di politiche di sviluppo nelle zone dove oramai l’economia è fortemente condizionata dai traffici di persone, specialmente in alcune zone di Niger e Libia.
- In caso di persone in fuga da conflitti e dittature, invece, si potrebbero rafforzare i già presenti corridoi umanitari sperimentati con il sostegno di organizzazioni cattoliche e protestanti, unendo in questo modo la sicurezza nazionale all’operatività del terzo settore, favorendo altresì l’integrazione di coloro che arrivano e vengono introdotti in famiglie e contesti sociali sicuri. Nell’operazione si potrebbero coinvolgere le autorità locali, quelle che si trovano in prima fila quando si tratta di accogliere, integrare e gestire in termini pratici migranti e richiedenti asilo.
Riguardo a questi punti, il ruolo delle Istituzioni comunitarie e, specialmente, della nuova Commissione Europea sarà gravido di sfide politiche e diplomatiche, in un contesto comunitario ove molti politici temono ricadute elettorali quando si considerano le tematiche migratorie. Sarebbe perciò proficua anche l’elaborazione di una nuova narrativa, volta a spiegare con realismo e lucidità alle cittadinanze le sfide che attendono l’Europa nel prossimo futuro. Inoltre, più le Istituzioni europee saranno in grado di comunicare agli Stati Membri e alle autorità locali i principi di solidarietà e sussidiarietà, più si riuscirà a capire che bisogna agire a più livelli, poiché nessun Paese può rispondere in autonomia a sfide per loro natura transnazionali.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La nuova Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen
La nuova Commissione avrà un altro onere, ossia riuscire a comporre i variegati interessi dei Paesi Membri a livello di politica estera, tentando di trasmettere il messaggio che, in un mondo di giganti (USA, Cina, India e, quantomeno a livello cyber e militare, Russia) e nelle attuali condizioni europee, il maggiore interesse strategico comune e comunitario dovrebbe focalizzarsi su:
- Favorire la distensione e la risoluzione di crisi e tensioni nel proprio vicinato, depotenziando proprio i motivi che potrebbero portare a nuove ondate migratorie o a destabilizzare le regioni che circondano il Vecchio Continente;
- Preparare strategie di accoglienza, integrazione, contenimento e resilienza per quanto concerne migrazioni, cambiamenti climatici e aggiustamenti socio-demografici del prossimo futuro.
I Paesi dell’Unione Europea, complessivamente, presentano più di 500 milioni di abitanti e circa il 22% del PIL globale, ma negli ultimi anni, se non decenni, hanno affrontato il fenomeno delle migrazioni in maniera miope e tesa a elaborare misure-tampone sul breve periodo. È notizia di pochi giorni fa la firma di un accordo fra Malta, Francia, Germania e Italia per permettere lo sbarco e la ridistribuzione dei migranti tramite un sistema di quote e la rotazione dei porti di sbarco. Accordo che verrà presentato al Consiglio Europeo dei Ministri dell’Interno il prossimo 8 ottobre. Ciò sembra rappresentare un primo passo, seppur non privo di lacune e problematiche, che si interseca con la crescente presa di coscienza – da parte di molti attori a livello locale, nazionale, sociale e internazionale – dei cambiamenti in atto nel nostro mondo. Da come le Istituzioni comunitarie e i Paesi Membri riusciranno a operare – elaborando nuove narrative, componendo gli interessi dei vari Stati, rispondendo alle ansie e alle paure delle proprie cittadinanze – si vedrà se l’Unione riuscirà ad avere successo nel gestire le rilevanti questioni legate alle migrazioni.
Paolo Corbetta