In 3 sorsi – Alla luce delle recenti riforme approvate dal Governo di Quito, la situazione delle comunità indigene ecuadoriane potrebbe cambiare. Vediamo come.
1. DALLE ORIGINI ALLA COSTITUZIONE DEL 1998
L’Ecuador è tra i Paesi latinoamericani dove le comunità indigene sono più corpose e meglio radicate, con un 7% di popolazione di origine amerindiana. Tra queste la più numerosa è senza dubbio quella dei Kichwa, che conta quasi un milione e mezzo di appartenenti sparsi in diverse zone del Paese, ma che ha fatto di Otavalo il suo principale centro culturale ed economico. In generale le comunità andine restano da sempre quelle più coese, stabili e interconnesse. Basti pensare che i lori appartenenti possono viaggiare nei Paesi limitrofi senza passaporto e beneficiano anche di una discreta rappresentanza politica all’interno del cosiddetto “Parlamento andino”. La situazione rimane più difficile per le tribù amazzoniche, come ad esempio i Bagua e gli Waorani, da sempre in lotta contro l’espropriazione dei terreni per scopi petroliferi. In particolare, nelle zone waorani, il contrasto alle esplorazioni delle imprese petrolifere ha assunto momenti di scontro particolarmente duri. A questo si devono anche aggiungere le attività illegali legate al contrabbando e al narcotraffico nelle zone di frontiera, che continuano a provocare enormi problemi alle varie tribù. Ad ogni modo la loro principale battaglia riguarda il possesso e la proprietà delle terre. Il Paese ha fatto dei notevoli passi avanti in questo senso soprattutto da quando, nel 1998, la nuova Costituzione dell’Ecuador ha ufficialmente riconosciuto tali principi.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Indigeni ecuadoriani prendono parte a un battesimo nel Lago San Paolo a Otavalo, Ecuador
2. IL RUOLO DI CONAIE
La Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (in spagnolo: Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), o più comunemente CONAIE, è la più grande organizzazione indigena dell’Ecuador. Costituita nel 1986, la CONAIE ha perseguito il cambiamento sociale incentrato, tra l’altro, su sollevazioni popolari (“levantamientos populares“) che spesso hanno anche incluso il blocco delle arterie commerciali e l’acquisizione di interi edifici governativi. Anche la Fundación Pachamama svolge da sempre un ruolo di primo piano nella difesa dei diritti delle comunità indigene. Quest’ultima ha più volte contrastato le politiche governative, impedendo in ogni modo di consegnare le terre dei popoli indigeni alle compagnie petrolifere occidentali. Le sue battaglie sono quasi sempre condivise anche dalla CONAIE, che continua a svolgere un ruolo di primissimo piano nella rappresentanza politica delle comunità indigene.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente ecuadoriano Lenín Moreno
3. LA SITUAZIONE ATTUALE
A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti o in Canada, dove si è cercato di sottrarre con la forza (e spesso con dei veri e propri genocidi) le aree poste sotto al controllo dei nativi, in America latina la conquista nei territori indios è avvenuta diversamente. Gli strumenti per sottomettere i nativi sono stati l’evangelizzazione e il divide et impera. Come riferisce Daqui Lema, esperto in diritti umani e docente all’università di Otavalo:«In Ecuador, il processo di frammentazione sociale delle comunità indigene è una diretta conseguenza dell’instabilità politica del Paese. Non a caso, durante il doppio mandato di Rafael Correa, sono stati conferiti incarichi importanti a numerosi rappresentanti indios, provocando diverse scissioni interne al movimento. Dal 2010, però, è iniziato un periodo di netta rottura tra Correa e il movimento indigeno, dovuto proprio all’autorizzazione concessa da Correa a compagnie petrolifere canadesi e cinesi per l’esplorazione del Parco Yasuni». Inoltre: «È altresì vero che negli ultimi decenni la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha riconosciuto il diritto alla proprietà privata dei nativi amerindiani. E anche la nuova Costituzione del 1998 ha rappresentato un importante passo in avanti, almeno sul piano formale. Tuttavia, in tutto il Paese, ma anche in quelli limitrofi, persiste una forte differenza tra teoria e pratica. I Governi che si sono succeduti a Quito non hanno mai consentito delle vere aperture alla protezione delle terre delle comunità indigene. Nessuno è mai stato realmente intenzionato a passare dalle parole ai fatti.» Lo scorso aprile, però, gli Waorani sono riusciti a fermare, con una storica sentenza, lo sfruttamento petrolifero di circa 200mila ettari nei territori di loro appartenenza. Un giudice di Quito, ha infatti riconosciuto il diritto costituzionale dei nativi di essere interpellati «in modo adeguato» sulla sorte dei loro territori. Si tratta di un’area immensa, su cui, però, lo Stato continuerà ad avere la giurisdizione del sottosuolo. Solo il tempo ci dirà se si tratta di una vera svolta. Gli Waorani, intanto, incrociano le dita.
Alessandro Paglialunga